Qualcuno deve morire è un ritratto crudo e violento della società spagnola degli anni Cinquanta che, con tinte scure e inquietanti, esplora i drammi e le difficoltà di chi vorrebbe soltanto vivere il proprio amore liberamente.
Si tratta di una miniserie spagnola originale Netflix diretta da Manolo Caro (che ha diretto anche il film italiano Perfetti Sconosciuti) e composta da tre episodi dalla durata di circa un’ora. Nel cast ritroviamo anche Ester Expósito (qui tutto quello che c’è da sapere su di lei), la Carla di Élite, che si misura con qualcosa di ben diverso e lontano dal teen drama con cui ha raggiunto la fama (anche se il suo personaggio sembra proprio una Carla Rosón Caleruega anni Cinquanta). La tematica attorno a cui ruotano tutte le vicende è quella dell’omosessualità, vista non solo come un tabù, ma addirittura come una malattia da curare, in questa Spagna franchista. Una denuncia che affonda le sue radici nel passato e riemerge nel presente per ribadire quanta strada ci sia ancora da fare per combattere i pregiudizi e la crudeltà che spesso vengono rivolti contro chi vuole semplicemente amare.
Il primo dei tre episodi è una dettagliata introduzione di personaggi e situazioni e, sebbene possa risultare a tratti lento e macchinoso, è necessario affinché lo spettatore riesca a cogliere il contesto e a conoscere le due famiglie protagoniste. Da un lato abbiamo la vedova Doña Amparo, che con il suo carattere brusco e severo tiene le redini del resto della sua famiglia: il figlio Gregorio, un uomo rigido ancorato alla tradizione, sposato con Mina, uno dei pochi personaggi della serie con un animo buono. La coppia ha un figlio, Gabino, che torna in Spagna dopo aver trascorso dieci anni in Messico dalle zie materne, anche se non è subito chiaro il motivo della sua permanenza lontano da casa. Qualcosa, però, suggerisce che c’è dietro un grosso segreto. Doña Amparo ha già programmato il futuro del nipote: senza diritto di opinione, Gabino dovrà sposare Cayetana (ironia della sorte, il personaggio interpretato da Ester ha il nome di un personaggio di Élite), l’affascinante figlia di una famiglia di alto rango. La matriarca, però, comincia a temere per la riuscita del suo piano quando scopre che Gabino non è tornato solo dal Messico: ha portato con sé Lazaro, un ballerino.
A livello di trama, dunque, nel primo episodio di Qualcuno deve morire succede ben poco. Si tratta più che altro di gettare le basi di un dramma che raggiungerà il suo apice nella conclusione.
Iniziamo a conoscere una società dominata dalle leggi dell’apparenza, dove i sentimenti e le passioni della gente vengono schiacciate dalla necessità cieca di salvare la faccia e mantenere un certo contegno. Da qui, matrimoni combinati che non tengono conto del volere delle persone coinvolte, in questo caso Gabino e Cayetana, orchestrati da gente, Doña Amparo, che forse non è così limpida e pulita come vuol far pensare. Perché una cosa è chiara fin da subito: oltre all’innocente Gabino e il povero Lazaro che si ritrova in una girandola di eventi che non può controllare, non ci sono personaggi positivi. Sono tutti dominati da cattiveria, cinismo e opportunismo, caratteristiche che – in alcuni momenti – sono talmente portate all’esasperazione da lasciare basito lo spettatore.
C’è una sorta di inquietudine che cresce minuto dopo minuto, un campanello d’allarme che fa presagire qualcosa di tragico (un senso di disagio che si può paragonare – anche se probabilmente qui meno riuscito – a quello del recente film originale Netflix Le Strade del Male, che abbiamo recensito qui).
Nel secondo episodio di Qualcuno deve morire ci addentriamo nella trama vera e propria. Le voci sull’omosessualità di Gabino si fanno più insistenti e gli altri personaggi, Cayetana in primis, cercano di averne una prova. Gabino viene costantemente deriso dai suoi coetanei, in particolare da Alonso, il fratello di Cayetana.
Alonso, tuttavia, dietro la corazza di arroganza nasconde un dramma ben più profondo perché è facile per lo spettatore indovinare che il ragazzo faccia a pugni con la verità: anche lui prova qualcosa per gli uomini e probabilmente proprio per Gabino. Ma come può un ragazzo vivere liberamente il proprio amore, quando nella Spagna franchista l’omosessualità veniva ritenuta una malattia? O quando è addirittura un padre che denuncia il figlio e lo sottopone a torture, cercando di trovargli un posto in qualche sanatorio affinché guarisca? Si tratta proprio del caso di Gregorio, il padre di Gabino, che vergognandosi come davanti a un omicidio, tradisce il suo stesso figlio.
E mentre emergono altri frammenti del passato di Gabino, intrecciati in qualche modo a qualcosa che riguarda anche la nonna Doña Amparo, e che suscitano la curiosità del pubblico, un’altra linea narrativa prende piede: nasce una passione tra Lazaro e Mina, la madre di Gabino. Una passione che potrebbe avere le proprie radici dal rapporto disfunzionale di Mina con il marito (nel primo episodio si era notato un certo attrito tra i due, senza contare i tentativi di Gregorio di costringere Mina ad avere rapporti anche quando la donna non aveva voglia). Tuttavia, si tratta solo di un’ipotesi, perché non viene data alcuna spiegazione dell’accadimento: è qualcosa che succede di fretta, in maniera quasi scollegata dal resto delle vicende.
E qui incontriamo uno dei punti deboli di Qualcuno deve morire: ci sono passaggi affrettati e poco chiari, confusi e ambigui che lasciano molte domande nello spettatore e che forse avrebbero avuto bisogno di un maggior approfondimento.
Questo difetto emerge in particolar modo proprio nel finale. Il terzo episodio si apre con molte domande da parte dello spettatore: per il momento non è morto nessuno, ma come si evince dal titolo, qualcuno dovrà pur morire. Chi? Le possibilità sono infinite. E chi potrebbe premere il grilletto? Anche in questo caso, si possono fare molte ipotesi. Come si è detto, la crudeltà gratuita è un tratto che accomuna molti personaggi. Nella prima parte del finale assistiamo al tentativo di fuga di Gabino e Lazaro, che come se fossero due criminali sono costretti a lasciare la Spagna. Le cose però non vanno a buon fine, sia Gabino che Lazaro vengono catturati e tenuti separati. E qui assistiamo all’ennesima fiera della spietatezza, nel momento in cui Cayetana si presenta da Lazaro fingendo di volerlo aiutare, per poi addirittura sputargli in faccia con fare sprezzante. L’unica colpa di Lazaro è quella di aver rifiutato le avances della ragazza in precedenza.
Qualcuno però si rivela più gentile con Gabino: si tratta di Alonso, che decide di aiutare il prigioniero introducendo una pistola nella sua cella. Inizia così l’ultimo veloce giro di giostra. Gabino ricorda finalmente cosa è successo dieci anni prima. Da bambino ha assistito all’omicidio del nonno da parte di Doña Amparo. Un delitto di cui anche Gregorio viene a sapere proprio nell’ultima parte dell’episodio. E poco dopo, Gregorio scopre anche della relazione tra sua moglie e Lazaro, grazie (o per colpa di) a Cayetana che li sorprende in atteggiamenti intimi in un bosco. Proprio lo stesso bosco dove dieci anni prima la matriarca ha ammazzato il marito. Gregorio vuole uccidere Mina e Lazaro, ma sopraggiunge Gabino con l’arma che gli aveva dato Alfonso. Ed è un susseguirsi di uccisioni: Alonso uccide Gregorio, ma viene ucciso da Doña Amparo, che uccide Lazaro, ma viene uccisa da Gabino. Qualcuno deve morire, ma alla fine muoiono tutti. Così. In fretta.
E dopo? Dopo non si sa. I titoli di coda appaiono in seguito all’ultima inquadratura, i volti di Mina e Gabino.
Un finale sbrigativo, che non risponde a tutte le domande del pubblico di Qualcuno deve morire. Una serie di colpi di fucile che sembra dimostrare quanto la cattiveria ponga fine a qualsiasi cosa. Resta l’amaro in bocca al termine di una miniserie senz’altro godibile, a cui mancano chiarezza e una conclusione degna. Ciò non toglie, tuttavia, valore al modo in cui è stato presentato uno spaccato della Spagna anni Cinquanta tanto crudo, quanto realistico. Gli attori si sono dimostrati all’altezza e, anche se con alcune imperfezioni, il progetto ha raggiunto il suo scopo di raccontare la terribile situazione vissuta da persone omosessuali a quei tempi.