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C’è un celebre detto inglese che recita: When life gives you lemons, make lemonade. È un modo di dire che, per quanto possa sembrare banale, ha un gran bel significato. Farne una limonata significa rendere le difficoltà dei nuovi punti di partenza, significa affrontare con la giusta attitudine anche le sfide più dure, più ardue, più aspre che la vita ci mette davanti. Il detto in questione è talmente celebre che Beyoncé è arrivata a portarlo in uno dei suoi album – per l’appunto, Lemonade. Quando la vita ti dà dei limoni, fanne una limonata. Ma cosa fare invece quando la vita ti dà mandarini? Questo sta provando a dircelo Netflix con una delle sue ultime uscite, una serie coreana dall’impronta romantica e drammatica insieme.
La risposta definitiva alla domanda, la troverete nella recensione della seconda parte in uscita domani, dato che Quando la vita ti dà mandarini è uscita divisa in parti su Netflix, e oggi parleremo delle prime 4 su un totale di 16 puntate. Quello che so già di certo è che la vita ai – per adesso – giovani protagonisti della serie non regala molto. Anzi, non regala praticamente nulla, ma loro non hanno intenzione di darsi per vinti. E forse è questo che si fa quando la vita ti dà mandarini, o forse no e lo scopriremo più avanti, con gli episodi che usciranno il 14, il 21 o il 28 marzo. Per adesso ci accontentiamo di dire che la storia di questa serie è ancora tutta da costruire.
Quando la vita ti dà mandarini: la trama
Siamo negli anni Sessanta a Jeju, la più grande isola della Corea del Sud. Jeju è un ambiente ben diverso da quello del continente: la povertà è abbastanza diffusa, parecchie persone fanno lavori usuranti o pericolosi per vivere e la condizione sociale delle donne ha ancora parecchi passi avanti da fare. Sull’isola ci sono tante haenyeo, donne che si immergono in apnea nell’oceano per raccogliere alghe, frutti e altre risorse provenienti dal mare. Un lavoro parecchio tradizionale e altrettanto pericoloso al quale è destinata anche la piccola Ae-Sun. O almeno lo sarebbe se non fosse per il fatto che sua madre – una donna tanto pratica e poco empatica – non glielo permetterebbe mai e che lei stessa ha aspirazioni ben diverse.

Ae-sun vince premi per le sue poesie, studia, vuole laurearsi. È una bambina già donna con una personalità forte e una volontà di ferro che si scontra con quella di un Paese in difficoltà e di una società che affonda le sue radici nella religione e in una tradizione maschilista. Ma Ae-sun non è sola: al suo fianco c’è Gwan-sik. Gwan-sik c’è sempre, anche quando Ae-sun non lo vuole, o forse non sa ancora di volerlo. Da bambino che le sta sempre accanto e viene in più di un occasione maltrattato, si trasforma nel corso degli episodi in un dolce primo amore e in un fedele compagno di vita. È un ragazzo silenzioso e pacato che fa della fedeltà verso la persona che ama la sua stella polare, anche quando si tratta di saltare da una nave o di scappare rubando alla madre i suoi gioielli.
I primi quattro episodi di Quando la vita ti dà mandarini raccontano l’infanzia e la prima gioventù di Ae-sun e Gwan-sik.
Due giovani che crescono con non poche difficoltà, e insieme a loro (sempre con non poche difficoltà) cresce anche il loro sentimento reciproco. Un sentimento in cui credono – anche se va detto, lui ci crede più di lei – e che li salva da un mondo ostile. In un contesto in cui le persone muoiono, il lavoro è duro e le famiglie non li sostengono, ci sono un ragazzo e una ragazza che hanno l’uno l’altra. E questo basta, anche se non significa che le cose per i due siano facili. Una fuga dopo la quale vengono considerati e puniti in modo diverso, un matrimonio indesiderato e dalle prospettive infelici, una famiglia che vuole crescere la loro bambina secondo una tradizione che non vogliono portare avanti: le vite di Ae-sun e Gwan-sik sono complesse come il contesto storico, sociale e culturale in cui vivono.
Un contesto che Quando la vita ti dà mandarini racconta con un tuffo nel passato. La serie comincia con la protagonista ormai anziana e si sviluppa raccontandone per ora l’infanzia e l’adolescenza, senza rinunciare a dei piccoli salti avanti a quando Ae-sun è madre di una giovane donna testarda e capace almeno tanto quanto lei. Il fulcro di questi primi quattro episodi è però la sua primavera, quella gioventù che per quanto difficile resta uno dei periodi più belli. È il periodo durante il quale si sentono ancora la sensazione di avere tutta la vita davanti e di poter cambiare le cose. Di poter ribaltare il tavolo. È la stagione della fioritura della natura e delle vite, una stagione che passa prima ancora di rendercene conto. Una stagione che siamo costretti a rimpiangere. Sempre che, però, non riusciamo a trovare qualcosa – o qualcuno – in cui continuare a credere.
Se pensare alle serie coreane vi fa venire in mente Squid Game, con Quando la vita ti dà mandarini siete fuori strada.

Ben lontana dalla violenza del cult Netflix, questa miniserie che mini non è poi troppo, è un mix tra dramma e romanticismo, storia e cultura. Sullo sfondo delle vicende dei protagonisti vediamo una Corea del Sud in movimento, sentiamo arrivare le minigonne e le politiche sulla famiglia. Jeju però non cambia molto, e questo è un grande ostacolo. Ma per quanto il contenuto del racconto sia di per sé stimolante e descrittivo di una situazione davvero poco narrata almeno nel mondo occidentale, è lo stile a lasciarmi un po’ perplessa. La serie unisce il realismo di un contesto storico-culturale vero a una sorta di patina da soap opera che in tutta onestà non mi aspettavo di riscontrare. E questo soprattutto considerando che siamo in un momento in cui il mondo dell’intrattenimento ci sta consegnando prodotti dal forte impatto reale.
Alle battaglie che Ae-sun combatte quotidianamente per far valere la sua posizione di donna che vuole decidere che direzione dare alla propria vita si alternano tante, troppe, scene di pianti disperati e abbastanza esasperati. Pianti che diventano lamenti e sembrano stonare con tutto ciò che hanno attorno, con il racconto di una coppia che fa di tutto per perseguire ciò in cui crede. Per perseguire se stessa. La protagonista alterna momenti di incredibile empowerment con dei manierismi che sembrano non doverle appartenere e che rendono il tutto quasi surreale. E le reazioni degli altri non sono da meno, tra esagerazione e immobilità. Quello che Quando la vita ti dà mandarini crea diventa quindi una sorta di racconto tra il realistico e il surreale. Una contrapposizione tra l’interesse e il fastidio, tra la velocità della vita che passa e la lentezza del modo in cui viene mostrata.
Il vero peccato è che in alcuni momenti questo mette da parte ciò che di bello questa serie continua ad avere.
Se nello stile infatti mi ha lasciato un po’ perplessa, Quando la vita ti dà mandarini è stato invece uno spunto tematico non indifferente. Usare il passato per raccontare problemi ancora attuali nel presente è un espediente tanto frequente quanto valido. Ae-sun vive il suo presente fatto di discriminazione, mancanza di opportunità e soprattutto della voglia di scegliere prima per sé, poi anche per sua figlia senza mai poterlo fare pienamente. A questa realtà non si arrende. E pur non sapendo ancora tutto ciò che c’è da sapere, quello che abbiamo visto del suo futuro ci fa ben sperare. Ma il vero punto credo sia un altro.

Alla riflessione sociale e culturale si affianca e si fonde anche una personale: la gioventù è meravigliosa, ma lo è soprattutto quando la perdiamo. Presi dalla voglia di fare, dai problemi che sembrano insormontabili e dalla voglia di vedere realizzato il futuro che speriamo per noi e per le persone che amiamo, la giovinezza spesso e volentieri ci dimentichiamo di viverla davvero. Ci passa davanti come una primavera tanto desiderata e fremente, ma altrettanto rapida. La viviamo senza riuscire ad apprezzarla davvero, e quando la vogliamo? Quando ormai è troppo tardi per riaverla indietro. Ma è su quei fiori colorati che mettiamo le basi per vivere la nostra estate. Ci risentiamo domani per raccontarvi anche quella.