ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste imbattervi in spoiler su Rabbit Hole.
Se vi piacciono i complotti Rabbit Hole è la serie che fa per voi. Sul serio: Paramount+ con queste otto puntate ha davvero fatto il botto.
Rilasciata negli Stati Uniti il 26 marzo (in Italia il disponibile dal 26 maggio) la serie è germogliata a metà 2021 quando la Paramount ha ordinato alla sua consociata minore, la CBS Studios, l’idealizzazione e realizzazione di una serie di spionaggio. Per questo progetto sono stati ingaggiati Glenn Ficarra e John Requa. I due hanno già avuto modo di collaborare insieme sia come sceneggiatori (Focus – Niente è come sembra), sia come sceneggiatori (Crazy, Stupid, Love) sia come produttori esecutivi (This is Us). Non stupisce dunque che il duo abbia ideato, scritto e diretto, seppure in parte, questo nuovo progetto davvero interessante.
Rabbit Hole ha visto il ritorno sulle scene televisive di Kiefer Sutherland, come protagonista, dopo Designated Surviror, un insuccesso abbastanza clamoroso, e la non abbastanza apprezzata The First Lady nella quale interpretava il ruolo di Franklin D. Roosevelt accanto a una splendida Gillian Anderson nei panni della First Lady Eleonor.
Accanto a lui sono co-protagonisti Meta Golding (Teri in Empire), Enid Graham (Dawn in Omicidio a Easttown), Rob Yang (Lawrence Yee in Succession), Walt Klink (Justin in Ivalo) e Charles Dance (Twyn Lannister in Game of Thrones).
Rabbit Hole racconta la storia di John (Kiefer Sutherland), un imprenditore un po’ sui generis. Si occupa, infatti, di spionaggio aziendale ma non solo. Con la sua équipe è in grado di gestire i dati, quelli sensibili, per pilotare acquisizione, fallimenti, movimenti di mercato eccetera. È indagato da Jo Madi (Enid Graham), agente dell’FBI passata dalla divisione investigativa a quella dei crimini finanziari, e per questo piuttosto frustrata.
John, durante una missione, flirta e finisce a letto con Hailey (Meta Golding) ma il mattino dopo scopre che la loro notte di fuoco è stata videoregistrata. Piuttosto innervosito dalla faccenda, e dopo aver accusato Hailey di lavorare per la concorrenza, John riesce comunque a portare a termine una nuova operazione che però si conclude malamente: il tizio del quale doveva occuparsi muore e il suo studio e i suoi collaboratori esplodono in aria. L’uomo, sconvolto dai due eventi che considera correlati tra loro, si dà alla fuga scoprendo di esser diventato il ricercato numero uno in tutti gli Stati Uniti.
La serie che trovate su Paramount+ è composta da otto episodi della lunghezza media di una cinquantina di minuti abbondanti. In questi otto episodi gli autori fanno succedere veramente di tutto partendo da una delle idee più sfruttate di sempre del genere thriller spionistico: il complotto. In particolar modo quello per prendere le redine del potere negli Stati Uniti. Da qualche parte, infatti, c’è un Grande Vecchio, un’eminenza grigia bramosa di comandare e riportare l’ordine e la disciplina in una nazione che ha perso i valori vendendosi al mercato e alla globalizzazione.
Grazie a questo incipit, incipit che si scopre proseguendo la visione, il duo Ficarra-Requa confeziona un prodotto davvero interessante che non si limita a semplicemente a sparatorie, inseguimenti e cose del genere, già viste e riviste. No, va ben oltre perché diversi sono gli argomenti tratti in quella che potrebbe essere la prima stagione di una serie della quale c’è bisogno nel panorama delle spy stories.
Rabbit Hole fa riferimento alla “Tana del Bianconiglio” di carrolliana memoria. Attraverso le azioni dei personaggi, infatti, lo spettatore è portato a scoprire quanto possano esser profondi i rapporti umani perché la serie non si limita a raccontare una semplice storia di buoni e cattiva ma la farcisce con un’ampia disamina sulle relazioni. C’è quella amorosa e non importa che stia nascendo o sia morta e sepolta; c’è quella tra padre e figlio, basata sul rancore derivato dall’abbandono e la menzogna. C’è quella tra amici di sempre che non finisce nemmeno con la morte; c’è quella lavorativa dove sono importanti i ruoli e il rispetto derivato e guadagnato. C’è quella più grande tra il popolo, la democrazia, i suoi rappresentati e le istituzioni che ci ricorda concetti importanti nei quali dovremmo impegnarci di più, giornalmente, ma che invece deleghiamo molto spesso. Infine, c’è quella tra realtà e finzione rappresentati dai contatti umani e quelli social.
Prendendo spunto da capolavori come I Tre Giorni del Condor, The Manchurian Candidate e Marathon Man e sfruttando un argomento controverso come il controllo da parte delle autorità di tutti quelli che sono i dati sensili presenti in rete (e non solo quelli), la serie può essere analizzata sotto diversi punti di vista. Tra un colpo di scena e l’altro, prendendosi il tempo di raccontare chi siano i personaggi e, conseguentemente, perché agiscano in un certo modo allo spettatore è permesso il tempo di comprendere e interiorizzare i comportamenti e non limitarsi a un giudizio affrettato che potrebbe cambiare nella scena successiva.
Sì, perché in Rabbit Hole è molto facile prendere un abbaglio. Il continuo gioco di specchi al quale gli autori sottopongono gli spettatori non ha la pretesa di esser titanico e intricato ma è ben strutturato e fa sì che le certezze siano davvero poche.
Una di queste è certamente Kiefer Sutherland il quale è un ottimo interprete del ruolo di fuggitivo, quello cioè che si ritrova ad aver perso tutto e poter fare affidamento soltanto su se stesso per riuscire cavarsela.
Sutherland è una garanzia in questo genere di ruoli. Lo ha dimostrato ampiamente interpretando Jack Bauer in 24. E proprio il suo più iconico personaggio avrebbe potuto restargli appiccicato addosso in questa serie. Ma così non è, fortunatamente. John Weir, infatti, è uno psicologo abituato a pianificare nei minimi dettagli anche se tutto, poi, finisce in malora. Soffre di ansia e scarica la tensione attraverso tic che innervosiscono chi gli sta attorno. Patisce l’uso delle armi ma sa come procurarsi informazioni da chi ha di fronte attraverso l’osservazione e l’analisi. Contrariamente a Jack Bauer si prende un sacco di botte e fatica a rialzarsi ma alla fine, passo dopo passo, riesce a compiere il suo dovere.
Certamente l’attore americano non ha grandi espressioni e quelle che mette in campo nella serie targata Paramount+ sono già viste e riviste. Ma sono comunque efficaci per trasmettere la sua incapacità di essere l’eroe invincibile, senza macchia e senza paura. Il personaggio di Sutherland, al contrario, ha paura perché è un pesce fuor d’acqua. Abituato a esser predatore questa volta è la preda e dovrà ricostruire se stesso fidandosi e aprendosi al nuovo mondo che lo circonda.
Dentro questo mondo ci sono diversi personaggi interessanti a cominciare da quelli femminili. Hailey e l’agente Mady sono ben scritti, credibili e ottimamente interpretati. Così come il personaggio interpretato da Charles Dance che fa comprendere bene le motivazioni per le quali John è paranoico e problematico.
Intrigante è il personaggio dello stagista, Walt Klink, che all’ultima inquadratura rivela un’ambiguità che ci coglie di sorpresa. E sopra tutti c’è il personaggio del contabile che da semplice assicurazione diventa il perno centrale della storia riuscendo a decifrare una serie di codici e di informazioni senza apparire un supereroe dalla super intelligenza.
Cos’ha di bello Hobbit Hole è che la fiducia tra i personaggi cresce in modo graduale e contingente alla situazione seguendo una trama complessa ma per nulla complicata, senza eccessivi scossoni né sorprese troppo sorprendenti.
Rabbit Hole, in sostanza, è un ottimo prodotto capace di avere momenti incredibilmente drammatici alternati ad altri incredibilmente stupidi e per questo divertenti, ironici, ma mai sopra le righe, mai fastidiosi. Non è un capolavoro, certamente, ma nemmeno un compitino a casa fatto per accontentare il pubblico. Rispetto a certe ultime uscite, con budget incredibilmente più alti, sa il fatto suo e non si limita a essere un semplice passatempo. Sotto la patina dell’azione (comunque poca rispetto ad altre serie) e dell’adrenalina c’è molto di più. Ed è proprio guardando a questo di più che la serie diventa interessante e nemmeno scontata. I continui capovolgimenti di fronte, con le dovute spiegazioni annesse, sono costruiti bene e risultano credibili e il finale, risolutivo, chiude la faccenda lasciando però uno spiraglio per una seconda, speriamo altrettanto intrigante, stagione.