A poco più di due anni dalla morte di Raffaella Carrà, Disney+ ha deciso di realizzare una docuserie che raccontasse e soprattutto raccogliesse il mito di una donna che ha cambiato per sempre la televisione italiana e con essa la cultura del nostro paese. Il binomio tra il piccolo schermo e la società è stato sempre fortissimo nella penisola, lo è in parte tutt’ora, ma è stato totalizzante soprattutto dagli anni Sessanta agli anni Novanta, per cui raccontare l’ascesa di Raffaella Carrà significa raccontare la società italiana, fortemente indirizzata dall’iconica cantante, ballerina, showgirl e conduttrice, capace con le sue movenze e la sua sicurezza di stravolgere l’intrattenimento televisivo e di proporre un modello di libertà e d’identità che ha saputo davvero sconvolgere la società italiana.
Raffa si concentra molto sulla prima parte di carriera di Raffaella. La formazione come ballerina, la trasformazione da Raffaella Pelloni a Raffaella Carrà, poi lo spettro del cinema, il successo televisivo e l’esportazione del mito in tutto il mondo. La narrazione si stronca, un po’ bruscamente, a cavallo del nuovo secolo, tralasciando la carriera di Raffaella negli anni Duemila, dopo lo straordinario successo di Carramba! Che sorpresa. Una scelta che forse priva Raffa di un po’ di completezza, ma che non inficia sul risultato finale, perché l’obiettivo, quello di restituire l’iconicità della Carrà, è pienamente centrato. Tuttavia, a onor di cronaca, mancano dei passaggi fondamentali, che con una puntata in più avrebbero trovato tranquillamente spazio. Al di là di questo piccolo appunto, la narrazione di Disney+ è impeccabile, si avvale di moltissimo materiale di repertorio, allestito in modo ipnotico, con un focus continuo sul corpo e sul viso della Carrà, e restituisce al meglio moltissimi fattori della carriera della regina delle televisione, dalla dicotomia tra persona e personaggio alle difficoltà degli esordi, fino alla vera e propria costruzione del mito.
Da Raffaella Pelloni e Raffaella Carrà: la costruzione di un mito
La narrazione messa in piedi da Raffa si costruisce a partire da una dicotomia di base tra la persona e il personaggio. Raffaella Pelloni, vero nome della cantante, diventa Raffaella Carrà, ma non c’è mai una sovrapposizione armonica o una continuità naturale tra le due personalità, per così dire, della diva. Lungo tutto il documentario si sottolinea questa distanza inesorabile tra la Pelloni e la Carrà, come fossero due persone distinte, e forse per certi versi lo sono davvero. La Carrà è il mito che ha costruito la Pelloni, ma anche il suo scudo, il mantello che le è servito per gettarsi nel complesso mondo dello spettacolo. I vari testimoni che si succedono nel racconto provano a dare una loro versione di questa dicotomia, una lettura interessante è sicuramente quella che vede la nascita di Raffaella Carrà come reazione al trauma dell’abbandono del padre, che la Pelloni non ha mai superato. La Carrà, con la sua energia inesauribile, non sente il peso del passato, che appartiene alla Pelloni e non crea ostacoli sulla strada per il successo. Senza questa dicotomia, in sostanza, non ci sarebbe stato il mito che oggi conosciamo.
Oltre alla reazione a questi traumi, c’è anche un modo diverso, tra le due personalità, di affrontare le difficoltà. Raffa spiega benissimo come i primi anni di carriera siano stati davvero complessi per la giovane romagnola: prima la delusione proveniente dal mondo della danza, poi quella dal cinema, dove il successo al fianco di Frank Sinatra e lo sbarco a Hollywood non hanno minimamente appagato la diva italiana. Insomma, in queste prime battute il mito di Raffaella Carrà ha vacillato moltissimo, ma è intervenuta la Pelloni a darle forza, a non farla arrendere. Come ben sappiamo, infatti, poi è arrivata la svolta in televisione, prima i balletti a Io, Agata e tu, poi Canzonissima e l’immortale Tuca Tuca. Qui la Carrà ha trovato la sua consacrazione, oscurando la Pelloni finché non arrivava il momento di cambiare, di dare voce all’insoddisfazione che è stato un tratto caratterizzante della showgirl, capace, anche durante i più grandi successi, di capire quando era il momento di dare una svolta alla propria carriera.
Seguendo questo interessantissimo filo, dunque, viene raccontata la carriera di Raffaella Carrà. Lei stessa, stando a diverse interviste proposte nel documentario, aveva colto la portata di questa dicotomia personale e questo dualismo è venuto fuori con la sua massima forza proprio al momento della morte della diva, quando si è scoperto che da anni Raffaella combatteva con una malattia di cui non solo non aveva fatto trapelare nulla al pubblico, ma di cui non aveva parlato nemmeno ai suoi affetti. La Pelloni è stata ermetica fino all’ultimo, ha consegnato al pubblico la Carrà, ma ha custodito gelosamente la sua essenza più profonda. Forse questo è stato il segreto del successo della showgirl, la capacità di non farsi travolgere mantenendo al riparo il proprio io più recondito con la creazione di questa dicotomia tra persona e personaggio, tra individuo e mito.
Raffa e l’esaltazione dell’iconicità
Se la dicotomia costruisce la narrazione, l’esaltazione dell’iconicità di Raffaella Carrà è il fine ultimo del documentario e viene ampiamente raggiunto. Come accennato nell’introduzione, il racconto crea una sorta di effetto ipnotico, insistendo tantissimo sui movimenti della Carrà, sui dettagli del suo viso e del suo corpo. Così facendo, lo spettatore non può che rimanere rapito da quei gesti repentini, da quel caschetto biondo che svolazza qua e là, dagli abiti scintillanti che avvolgono il corpo di Raffaella. Raffa è un’esperienza profondamente fisica, che restituisce l’impatto che la diva ha avuto in televisione, quando milioni di spettatori sono rimasti ipnotizzati prima dal suo corpo, poi dalla sua voce e dalle sue emozioni. Il filo comune che lega le varie tappe del successo di Raffaella Carrà è questa capacità di creare una connessione diretta con lo spettatore, irrimediabilmente rapito dal magnetismo della diva, capace di scuoterlo col Tuca Tuca, di inchiodarlo al telefono con Pronto, Raffaella? o di emozionarlo con Carramba! Che sorpresa. In ogni passaggio della sua carriera, Raffaella ha saputo dare al pubblico ciò che questo desiderava, senza, al contempo, mai rinunciare a se stessa e alle sue idee.
Il racconto dell’iconicità della Carrà passa, poi, anche per altri fattori. Intanto c’è l’esportazione del mito all’estero, ovviamente in Spagna e in Sudamerica, ma anche nel resto d’Europa e in America. Raffaella è uno dei grandi simboli della cultura italiana nel mondo intero e forse, come sottolinea anche Tiziano Ferro nel corso del documentario di Disney+, il pubblico italiano nemmeno si rende conto dell’ossessione che c’è all’estero, soprattutto in Spagna e in Sudamerica, per la Carrà. Poi c’è tutto il racconto di Raffaella come simbolo di libertà, come icona femminista e dell’amore libero, come modello di sovvertimento del tradizionalismo. Il Tuca Tuca è stato una rivoluzione incredibile, un balletto capace di sfidare apertamente la censura della Rai, ma dietro a questo massimo esempio ci sono i vestiti succinti, i balli scatenati, lo spirito e la libertà che la Carrà ha portato in ogni programma e spettacolo mai messi in piedi. Raffaella è stata un punto di riferimento per tutti coloro che volevano semplicemente vivere liberamente il proprio amore ed essere liberamente se stessi e, mentre il mondo li azzittiva con forza crescente, hanno trovato una voce squillante e vivace in Raffaella Carrà.
Insomma, andando a tirare le fila del progetto, non possiamo che sottolineare moltissimi aspetti positivi in Raffa. Il documentario di Disney+ cattura e restituisce l‘iconicità di un personaggio che è storia pura e rende soprattutto omaggio a un grandissimo mito dell’intera cultura italiana. L’unico neo possiamo trovarlo in quel fermarsi a un certo punto della carriera della Carrà di cui abbiamo parlato in apertura, ma per il resto la docuserie procede in modo impeccabile e propone una quantità di materiale davvero impressionante. Chiudiamo, dunque, questo 2023 con un bellissimo racconto che contribuisce a rendere eterno il mito di Raffaella Carrà, un simbolo, un’icona, una diva che ha saputo rappresentare e ipnotizzare l’Italia e gli italiani come forse nessuno mai è riuscito a fare.