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Dream Productions: lo spin-off di Inside Out è lontano dall’intensità dei film – La Recensione

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ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Dream Productions e sui due film di Inside Out

Alla viglia del natale, Disney ha rilasciato la serie tv spin-off di Inside Out, dal titolo Dream Productions. Un progetto in quattro episodi che ci porta all’interno degli studi di produzione dei sogni di Riley. Si tratta di una sorta di interquel, visto che Dream Productions è collocato tra i due film Pixar. In scena, infatti, pure se per poco tempo, vediamo solo le cinque emozioni del primo capitolo. Nessuna traccia, invece, di Ansia e delle nuove arrivate del meraviglioso sequel uscito quest’anno (di cui qui potete recuperare la recensione).

Tempo fa avevamo chiesto a gran voce che la Disney, impantanata in un periodo complicato, puntasse a realizzare serie animate dei propri classici. Ha scelto di puntare sulla Pixar, al momento punta di diamante della casa di produzione, ma insomma poco cambia. Eravamo curiosissimi di questo progetto, dalle potenzialità estremamente alte, ma non possiamo mascherare una certa delusione per il risultato finale. Dream Productions non è male, anzi. Possiede, però, un grandissimo, gigantesco difetto: non sfiora nemmeno lontanamente il livello raggiunto da Inside Out.

I sogni al centro di Dream Productions

Il sogno è il grande tema di Dream Productions, dunque. Un primissimo elemento da sottolineare è la modalità narrativa scelta per affrontare questo tema. Il racconto si configura come una sorta di mockumentary che segue i registi e gli sceneggiatori della fabbrica dei sogni nella mente di Riley. Oltre a essere molto divertente, questa modalità di narrazione è coerente col soggetto del racconto, andando a configurare Dream Productions come una sorta di workplace comedy in salsa Disney, con una spiccata vocazione metanarrativa.

Viene presentata, dunque, tutta la struttura degli studi e veniamo proiettati al loro interno. L’intera realizzazione della cornice è davvero ben fatta, con un’attenzione ai dettagli impressionante. Si respira cinema, per così dire. Questo elemento, però, se da una parte connatura fortemente la serie tv, rendendola un prodotto unico, dall’altra finisce per diventare proprio ciò che la limita. Quest’attenzione posta verso il funzionamento degli studi di produzione domina un po’ troppo la scena, facendo perdere quella profonda riflessione esistenziale che è stata al centro dei due film di Inside Out. E che ne ha sancito l’impressionante successo.

Riley spaventata da uno dei suoi sogni
Credits: Disney+

Il vero limite di Dream Productions

Qui, dunque, sta il vero limite di Dream Productions. Nella sua incapacità di connettere a fondo tutto il meccanismo di produzione e funzionalità dei sogni con la crescita emotiva di Riley. Per come è stata realizzata, la serie tv ci sembra un po’ un’occasione sprecata. L’intento di partenza era quello di mostrare le modalità con cui i sogni possono orientare le decisioni quotidiane e influire sugli stati d’animo. Nonché quello di indirizzare gli spettatori più giovani verso la consapevolezza di saper distinguere il sogno e la realtà (come capita a Riley nell’episodio finale). Questo intento, però, viene raggiunto solo in parte. O meglio, viene più mostrato che sentito.

Il meccanismo immaginato è, di base, simile a quello che abbiamo visto nei film. Lì viene mostrato il funzionamento delle emozioni e l’influenza che queste hanno su Riley. La bambina, però, che nel secondo capitolo si fa adolescente, rimane costantemente al centro del discorso. Le emozioni sono un riflesso della sua personalità, sono la sua essenza. Vediamo come queste funzionano, ma soprattutto in relazione a come le percepisce e le elabora Riley. Qui, invece, i sogni hanno quasi una dimensione propria. E così Riley si configura più come un oggetto che come un soggetto del meccanismo. Il vero, grande e decisivo, limite di Dream Productions è proprio questo: l’incapacità di mettere Riley al centro del discorso, rendendo il ragionamento sui sogni funzionale alla sua crescita emotiva.

Sottolineiamo che non sarebbe mancato il tempo per fare un lavoro del genere. La serie tv ha un minutaggio di circa 90 minuti, quindi raggiunge quello di un lungometraggio animato. Troppa attenzione, però, è stata dedicata al funzionamento degli studi di produzione, che da elemento distintivo si è fatto fattore frenante. Ci è sembrato di essere finiti in una Boris nella mente di Riley. Un’esperienza anche divertente, ma non quella che ci aspettavamo dallo spin-off di Inside Out.

Riley? No, Paula

La testimonianza di come Riley scivoli ai margini della narrazione sta nella centralità che assume il personaggio di Paula Persimmon. Questa è la principale regista di alcuni dei migliori sogni da bambina di Riley, ma ormai sembra essere fuori sincrono con la crescita della protagonista di Inside Out. Rivediamo un po’ il copione affrontato con Gioia nel primo capitolo. Se non fosse che, diciamocelo senza problemi, Paula è decisamente più antipatica e meno funzionale. L’entusiasta emozione gialla manteneva costantemente, anche nei propri errori, una valenza positiva che la regista della Dream Productions non possiede. Anche per questo la serie tv di Disney+ perde un po’ di mordente, perché ruota attorno a un personaggio abbastanza respingente e tutto sommato anonimo.

Non si crea mai un filo empatico con lei. Soprattutto, però, non si crea mai un legame affettivo tra Paula e Riley. Non basta quella scena nel sogno lucido nell’ultimo episodio. Nei film Gioia (manteniamo questo paragone perché ci sembra abbastanza esplicativo) era costantemente motivata dal volere il bene di Riley. Paula, invece, sembra che usi il bene di Riley solo come una scusa per raggiungere i propri fini. Anche qui, insomma, Dream Productions compie un bel passaggio a vuoto. Se nel primo film le debolezze e gli errori di Gioia erano la rappresentazione della crescita emotiva di Riley, qui la parabola di Paula rimane ampiamente fine a se stessa e solo riflessa da lontano nel percorso della protagonista dei due lungometraggi Pixar.

Paula Persimmon, la protagonista di Dream Productions
Credits: Disney+

Nonostante alcuni elementi positivi, ci aspettavamo molto di più

Alla luce di tutto ciò di cui abbiamo parlato, è lecito dire che ci aspettavamo molto molto molto di più da Dream Productions. Al netto, comunque, di alcuni elementi positivi che si rintracciano soprattutto in fattori contestuali. La cura dei dettagli è come sempre maniacale. Oltre che il funzionamento degli studios, la serie tv mette in scena con precisione anche le diverse tipologie di sogni, da quello a occhi aperti al sonnambulismo, fino al sogno a occhi lucidi del finale. Questo dovrebbe essere, in teoria, il momento clou del racconto, la prova di maturità in cui Riley riesce a manipolare il sogno prendendone consapevolezza e riconoscendolo come tale. Il problema però è che questo momento arriva senza un apposito percorso emotivo e introspettivo. A differenza di quanto, invece, accade meravigliosamente nei film.

Torniamo a ripetere, dunque, che Dream Productions, alla fine di tutto, ci sembra più che altro una grande un’occasione sprecata. Indagare l’aspetto onirico costituiva uno spunto interessante, realizzato però in maniera superficiale. Alla serie tv disponibile su Disney+ manca, molto semplicemente, l’anima. Non viene fuori, come nei film, la profondità d’indagine e di analisi del funzionamento della psiche umana. Il comparto di produzione di sogni domina la scena, riflettendosi e interfacciandosi troppo poco con e su Riley. Manca quel salto di qualità che ha connaturato e consacrato i due film. Così come ci è arrivata, Dream Productions è una serie tv fine a se stessa, decisamente lontana dai meravigliosi capitoli di Inside Out.

Restando nel mondo Disney, vi consigliamo la visione di Monsters at Work, la serie tv spin-off di Monsters & Co.