La Warner Bros. ci ha dato la possibilità di guardare in anteprima la prima pellicola cinematografica di Lisa Joy intitolata Reminiscence, uscita in Italia il 26 agosto 2021 col titolo “Reminiscence – Frammenti dal passato” . Vi raccontiamo un po’ cosa ne pensiamo.
You’re a going on a journey. A journey through memory. Your destination? A place and time you’ve been before. To reach it, all you have to do is follow my voice.
Un viaggio. Così il protagonista Nick Bannister (interpretato da Hugh Jackman) descrive la lettura della memoria attraverso la Reminiscence, una macchina in grado non solo di recuperare frammenti del passato ma di farli rivivere come se fossero appena accaduti, crudi, nudi, forti. In un mondo che lentamente annega nel surriscaldamento globale, lasciando a galla solo i disperati e i dimenticati, Nick e la sua collega Watts (una bravissima Thandie Newton) cercano in ogni modo di sopravvivere, aggrappati alla memoria di tempi più felici o forse solo più idealizzati.
Il passato infatti è ingannevole perché bugiarda è la nostra mente, che accuratamente seleziona, distorce, cancella, modifica e ammanta di luce i ricordi. Così si rischia di perdere se stessi e la realtà nel tentativo di recuperare l’intensità di emozioni ormai passate, rincorrendo memorie fallaci.
Come un disco rimandato indietro più e più volte o una strofa, sempre la stessa, canticchiata nel corso del tempo, il passato viene riavvolto, rivisitato da più angolazioni e smontato fino a quando non si sa neanche più quale sia la verità. E Nick, esperto della mente, è paradossalmente il primo a cascarci quando mette gli occhi sulla bellissima Mae (un’affascinante Rebecca Ferguson) e intreccia con lei una relazione quasi salvifica, che viviamo con lui fotogramma dopo fotogramma nel presente. O almeno, così crediamo.
Presente e passato si rimescolano continuamente su un tempo non lineare, aprendo finestre sulla vita della donna. Chi è veramente Mae? Qual è il suo scopo?
Domande che Nick si pone incessantemente, scivolando sempre di più nel baratro che separa il ricordo, o l’illusione, dalla realtà concreta. Importa davvero trovare la verità? E che cos’è davvero? In un mondo che sta morendo lentamente e nel quale gli esseri umani vengono trascinati alla deriva come ciocchi senza vita, la verità non sembra essere più così rilevante. Essa appartiene a un futuro che non esiste più neanche nei sogni, mentre l’uomo è ormai totalmente rivolto al passato, dove la verità è ciò che si decide di ricordare.
La verità non diventa altro che l’insieme dei frammenti che si ricordano, una collezione di momenti perfetti e felici, non importa quanto costruiti. Un luogo caldo, accogliente, sereno, quasi artificiale, in cui cullarsi per sempre.
The past can haunt a man. That’s what they say. That the past is just a series of moments. Each one perfect. Complete. A bead of the necklace of time. The past doesn’t haunt us. Would’nt even recognize us. If there are ghosts to be found, it’s us who haunt the past.
Lisa Joy: la regia, il mondo e il mood di Reminiscence
In Reminiscence Lisa Joy gioca con lo spettatore, confezionando un gioco labirintico nel quale è facile perdersi. Come Nick, siamo travolti dai cocci di un passato complesso ormai in frantumi; come schegge, tagliano in profondità e fanno male. Ma soprattutto, intristiscono. Perché il mood principale che ammanta questa realtà non è la rabbia della verità, ma la nostalgia del presente che cade a pezzi e allora guarda al passato, la decadenza di un’umanità alla deriva che si limita a trascinarsi fuori dall’acqua per morire all’asciutto nelle terre dei baroni. Questa tristezza filtra attraverso ogni fotogramma e avvolge tutti i personaggi: da Nick, disilluso reduce di guerra dalla camminata claudicante, che insiste a proteggere le sue memorie felici a Rebecca, femme fatale da noir, il cui sorriso è l’unica diga che la frena dallo sbriciolarsi in mille pezzi. Soprattutto, la tristezza si avverte amara in Watts, altra reduce che annega nell’ironia sprezzante, nella durezza e nell’alcol un futuro che non vuole accettare.
Lisa Joy sa come giocare con la camera e con la luce per restituire quest’affresco di umanità in declino e lo fa con colori al neon stagliati contro il buio di una Miami inedita, con il bianco crudo che fende l’oscurità, con il bagnato che filtra da ogni inquadratura.
Sa anche come ammaliarci con la costruzione di un mondo affascinante, che riusciamo a percepire solido e denso attraverso inquadrature apertissime e soddisfacenti voli d’uccello sull’intera città. Forse ancora troppo poco per un universo che sembra persino troppo dettagliato per essere lo sfondo di un’altra storia. Resta la curiosità di conoscerne qualcosa di più, si sviscerarne le regole, il prima e il dopo di quell’attimo che la sua narratrice ha deciso di raccontarci.
La sceneggiatura e i personaggi
Se la regia è poetica, a tratti struggente, più debole è la sceneggiatura, che riesce solo in parte a restituirci il complicato gioco di specchi di un noir fantascientifico. Non tutte le parti della narrazione scorrono nei tempi giusti e alcuni momenti fondamentali sembrano svolgersi troppo velocemente a detrimento di una più credibile costruzione delle vicende. La storia d’amore tra Nick e Mae per esempio avrebbe giovato di un’attenzione maggiore nel momento dello sviluppo, in modo da rendere più viscerale il senso di smarrimento e di disperazione di Nick. Stessa cosa vale per il personaggio di Mae, sicuramente il più complesso della storia, che avrebbe avuto bisogno di una focalizzazione maggiore che favorisse l’empatia del pubblico.
Discorso simile per i Sylvan, che per la loro stessa natura rappresentano la “facciata luminosa” di questa realtà, quella che solo raramente intravediamo tra una notte e l’altra. Sono i ricchi che ancora sopravvivono, aggrappati alle dighe che li tengono all’asciutto. Il modo in cui decidono di affrontare il loro destino ha qualcosa di tragico e degenerato che sarebbe stato interessante esplorare in profondità, soprattutto tenendo conto dell’importanza che avranno sul finale. D’altra parte, invece, abbiamo Watts e Cyrus Booth, due personaggi secondari che riescono a trasmettere rispettivamente la drammatica arrendevolezza e la furia violenta della realtà che vivono. Con i loro modi di vivere agli antipodi, Watts e Booth rappresentano tutte le piccole costellazioni di umanità di questo mondo.
Reminiscence è un’ottima prima pellicola per una regista e sceneggiatrice di cui si possono già intravedere le cifre stilistiche e che farà sicuramente parlare di sé. Consiglieremmo di vederlo al cinema già solo per come è descritto il mondo, perché solo il grande schermo può permettere di cogliere lo spettacolo di questa Miami intrisa d’acqua, nella quale si specchiano le luci dei bordelli e dei locali notturni.
Mae: Tell me a story
Nick: What kind of story?
Mae: One with a Happy Ending
Nick: No such thing a happy ending. All endings are sad. Especially if the story was happy
Mae: Then tell me a happy story, but end it in the middle