Sono passati dieci anni da quando la prima stagione di Rick & Morty andava in onda su Adult Swim e da allora sono cambiate parecchie cose. Ultima la notizia che, dopo essere stato accusato di violenza domestica da parte della ex fidanzata, il co-creatore della serie Justin Roiland è stato licenziato e non tornerà per le prossime stagioni né in veste di doppiatore né tantomeno in quelli di sceneggiatore. In casa Adult Swim si prospetta un futuro molto molto interessante e che comporterà cambiamenti radicali per una delle serie animate più famose al mondo. In realtà, però, per chi Rick & Morty lo segue davvero dall’inizio è già abbastanza evidente il cambio di rotta che lo show ha percorso negli ultimi anni.
Arrivata alla sua sesta stagione, la serie tv si è ormai imposta come un fenomeno pop culture globale, il che è ironico considerando che Rick & Morty ha sempre fatto del pop culture il suo cavallo di battaglia. Con il rinnovo nel 2018 per altri settanta episodi, lo show si è assicurato un futuro roseo ma sarà in grado di mantenere alto il livello e il suo buon nome? Con questa sesta stagione i dubbi iniziano a sorgere, nonostante le ottime critiche e ascolti registrati. Eppure, forse siamo noi a voler cercare il pelo nell’uovo o forse no, qualcosa sembra essersi incrinato nella formula magica di Rick & Morty. E no, non si tratta del politicamente corretto dilagante, da quello la serie continua a rimanere immune. Ci riferiamo piuttosto a due delle nemiche giurate di qualsivoglia narrazione: ripetitività e omologazione.
ATTENZIONE! La recensione potrebbe contenere spoiler, se non avete ancora visto la sesta stagione vi consigliamo di tornare più tardi.
Interamente disponibile sulla piattaforma Netflix, anche la sesta stagione consta di ben dieci episodi. Idealmente divisa in due blocchi, la trama si muove tra storyline autoconclusive e un notevole avanzamento nella lore di Rick Sanchez e famiglia. Ed è proprio quella lore a mantenere viva l’attenzione all’interno di una stagione che sarebbe, altrimenti, dimenticabile. Infatti, se si escludono puntate sparse – come “Night Family” (6×04) e “Final DeSmithation” (6×05)- la sesta stagione non brilla certo per episodi memorabili come quelli del passato. Appaiono lontani i giorni di “The Old Man and the Seat” (4×02) o “The Vat of Acid Episode” (4×08), episodio che in questa stagione viene, tra le altre cose, citato. Quindi, prima di parlare della lore, bisogna, purtroppo, riconoscere la ormai ripetitività di una narrazione che sembra avere pochissimo da dire e che gira e rigira finisce per parlare sempre delle stesse cose, nello stesso modo. Più o meno.
Rick & Morty è una serie tv animata che ha sempre utilizzato la volgarità e il politicamente scorretto in modo sagace e ironico, quasi mai fine a se stesso. Ed è stata proprio questa sua peculiare caratteristica a renderlo uno show famoso e apprezzato. Non si tratta solamente di un cartone per adulti ma di un cartone per adulti pensato in modo preciso e che, di conseguenza, non tutti gli adulti possono apprezzare sul serio. Specialmente quelli privi o indifferenti al dark humour. Con buona pace di tutti. Il problema è che quella stessa peculiarità si è trasformata, nelle ultime due stagioni, nella carta jolly buona per tutte le occasioni. Questo utilizzo ripetitivo e ridondante della volgarità in Rick & Morty ha portato a una svalorizzazione della stessa. C’è poco o nulla da ridere in puntate come “Analyze Piss” (6×08).
Il tono dissacrante che ha permesso allo show di ironizzare su tanti stereotipi e luoghi comuni in modo sempre intelligente, risulta quasi completamente rimpiazzato dal desiderio di soddisfare le risate ridanciane del pubblico medio. Ma a che pro? Perché omologarsi e smettere di essere una Seinfield in un mare di American Pie?
Lo stesso discorso si può fare per quanto riguarda quella pop culture che, come abbiamo detto all’inizio, ha sempre rappresentato un altro cavallo di battaglia dello show. In Rick & Morty i riferimenti si sono mossi in due direzioni: in maniera velata (riferimenti presenti più che altro nel titolo dell’episodio stesso) o in maniera prepotente, agendo da filo conduttore come in puntate quali “Promortyus” (4×07) oppure “Rickmancing the Stone” (3×02). Negli ultimi tempi, però, l’intrusione della pop culture è diventata meno coerente e più invasiva. Prova ne sono puntate come “Rick: A Mort Well Lived”(6×02), dove il riferimento a Die Hard è portato all’estremo, o “JuRicksic Mort”(6×06), “Ricktional Mortpoon’s Rickmas Mortcation”(6×10) e “A Rick in King Mortur’s Mort”(6×09), dove i rispettivi rimandi a Jurassic Park, Re Artù e Game of Thrones sono parecchio scialbi e inconsistenti. Soprattutto nell’ultimo episodio citato si poteva fare davvero molto di più e mi riamane, personalmente, il dubbio se quel riferimento a Dark Souls fosse voluto o me lo sia solo sognata.
D’altro canto, la lore in questa sesta stagione compie passi da gigante. Il segreto di Rick, che ormai non è più tanto un segreto, viene approfondito proprio nel primo episodio con implicazioni fondamentali per il futuro della serie tv. Diluita nell’arco dei dieci episodi, la lore degli Smith si arricchisce di nuovi dettagli, lasciandoci piacevolmente sorpresi e soddisfatti. Tra il primo e l’ultimo episodio, ne accadono di tutti i colori ma è possibile, più che in altre stagioni precedenti, percepire un senso di chiusura e coesione. Chiusura che, a dirla tutta, apre anzi le porte a una narrazione futura presumibilmente densa di lore.
La sesta stagione di Rick & Morty è decisamente consapevole del proprio passato.
La strada percorsa finora non è stata dimenticata, tutt’altro. E, oltre alla lore, un altro elemento positivo e significativo è la presenza massiccia di personaggi secondari: dal presidente degli Stati Uniti ad André, dall’altra Beth a Story Lord. Insomma, Rick & Morty si avvicina, da questo punto di vista, alla struttura tipica di cartoni come Futurama o i Simpson in cui la costellazione di personaggi secondari è sempre protagonista. Non più solo, quindi, in una puntata a sé stante. Il mondo degli Smith si allarga, si complica e interagisce molto più spesso con i personaggi del passato. Pur con questi lati positivi, la sesta stagione rimane, alla pari della quinta, nell’ambito della mediocrità, ormai vittima di quel sistema dei bisogni che punta tutto sulla quantità e poco sulla qualità.