E’ tornato, e sta peggio di prima. Quando ci si chiede se esiste un limite al peggio, forse bisognerebbe rispondersi con la faccia con cui Rocco Schiavone ci ha guardati per la prima volta all’inizio della puntata di stasera. Quanto può crollare un mondo che è già crollato? Quanto ancora più giù può arrivare a scendere? Forse in alcuni casi il fondo non è una destinazione, ma un modo esplicativo per scoprire che ogni volta è sempre peggio. Va sempre peggio. Rocco Schiavone 6 comincia così: con un personaggio ancora più distaccato e disilluso delle altre stagioni.
E lo sappiamo: non se la passava bene neanche precedentemente. Era già stato umiliato dalla sofferenza, quest’ultima era già stata la sua più spietata carnefice. Ma per un po’ di tempo, seppur poco, Rocco aveva potuto fare leva su un’inconsapevolezza. E l’inconsapevolezza ha di buono che, anche se stai male e sei logorato dal dolore, non sai tutta la storia. Una parte di te è al sicuro, anche se tutto il resto delle altre parti sta patendo l’inferno. Non è una consolazione, ma è un dato di fatto: una parte di te è protetta da quell’omissione. Ma la protezione a volte presenta la data di scadenza.
A un certo punto, la vita – o chi per lei – ti vomita addosso la verità. E così, quell’unica parte che era rimasta al sicuro, protetta dall’incoscienza, si fracassa completamente. E tu resti senza armi e scudi. Da solo, con tutti i dolori, e senza il lusso dell’incoscienza. Ed è questo, adesso, Rocco Schiavone.
Rocco Schiavone 6 comincia nel più doloroso dei modi, ma anche nel più realista
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Sarà una stagione breve come Rocco Schiavone ci ha sempre abituati. Solo quattro episodi da 100 minuti ciascuno che vedranno il ritorno di Marco Giallini nel ruolo del vicequestore di Polizia che per campare e sopravvivere ai dolori tenta di camuffarli con il lavoro. Ma non si camuffa niente quando le sofferenze urlano sovrapponendosi a qualsiasi altra cosa. E in questa stagione, Rocco Schiavone 6, farà anche più male delle altre volte. Lo abbiamo detto poco prima: a volte non sapere è una forma di protezione inconsapevole, ma quando questa protezione viene mancare restiamo completamente nudi, completamente alienati da quella sofferenza ingigantita dalla conspevolezza.
Il finale della quinta stagione (qui recensito) aveva infatti rivelato una verità a cui Rocco non era ancora pronto. E non importa quanto oramai distaccato e disilluso fosse. Quando certe verità arrivano ti fanno male anche se non credi più neanche al bene più miserabile. Ti affossano rendendoti protagonista di una vita in che non sembra altro che una bugia. E così a un nuovo peso se ne aggiunge presto un altro direttamente collegato alla cosa che più ha logorato e spezzato in due Rocco.
Perché il vicequestore adesso deve fare i conti con la scoperta del tradimento da parte di Sebastiano, colpevole di essere il responsabile della morte di Marina. La moglie di Rocco continua a essere il nodo che collega tutti i dolori del protagonista. L’unica cosa che vede quando non vuole vedere più niente. Continua a modellare la sua vita, a provocargli indirettamente rabbia, malinconia, tristezza, rancore. Perché, pur non essendoci, Marina è più viva che mai.
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Tratta dalla penna di Antonio Mazzini, Rocco Schiavone 6 ritorna in prima serata con una prima puntata che rispecchia fedelmente le atmosfere delle precedenti. La trama orizzontale si mischia qui con la trama verticale, dando vita a un primo episodio che dà alle due linee narrative la possibilità di convergere. Si sente il dolore e il peso che Rocco si porta addosso anche sul lavoro, anche di fronte ai casi disumani e terribili con cui deve aver a che fare per portare il pane a casa. Perché ogni vittima, come vedremo nei suoi occhi soprattutto in questa puntata, porta il peso d’aver avuto lo stesso destino di sua moglie. Di aver dovuto fare i conti con la disumanità tanto quanto Marina. Di non aver avuto, prima di morire, la possibilità di godere di un ultimo barlume di umanità.
Le premesse sono quelle di sempre, in questa storia che, anche alla sesta stagione, non smette di far evolvere il proprio dolore con sé. Sono due parti integranti l’una dell’altro: dove va l’evoluzione, va anche il dolore. Non è ancora giunto il momento, per Rocco, di trovare il modo per addormentare almeno la metà di tutta quella sofferenza che porta con sé. Ma forse questo momento non arriverà mai davvero.
Forse, se proviamo a immaginare un finale, quel che viene fuori è una specie di epilogo molto simile a BoJack Horseman: un arrivederci in cui tutto resta in bilico, ma con la speranza che un giorno la convivenza con quel dolore ci aiuti a distrarci. D’altronde la serenità – e attenzione, non la felicità – è fatta di momenti di distrazione. Ma per questo, se mai dovesser arrivare, ci vorrà ancora tempo. Intanto siamo solo alla prima puntata della sesta stagione, e fa ancora più male di prima.