ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Rustin, il film Netflix prodotto dagli Obama.
I have a dream: quattro parole che rievocano subito un contesto, un’epoca, un personaggio. Correvano gli anni Sessanta, quelli delle segragazioni razziali, delle leggi Jim Crow e delle grandi mobilitazioni di massa sotto la Presidenza di J.F. Kennedy. Da un palco del Lincoln Memorial, davanti a una folla maestosa, Martin Luther King, leader delle proteste degli afroamericani, pronunciava il suo più celebre discorso politico, cambiando per sempre la storia della sua gente negli Stati Uniti d’America. Tra i fotogrammi che hanno fatto la storia, quello della grande marcia su Washington è uno dei più popolari. Un fiume umano aveva invaso le strade della capitale, portando persone di colore da ogni angolo del Paese. La manifestazione fu talmente imponente che l’opinione pubblica e la politica americane non poterono evitare di parlarne e di riconsiderare tutto il dibattito attorno al tema dei diritti degli afroamericani. Il Civil Rights Act del 1964 fu una conseguenza diretta di quel monumentale sommovimento di persone. Da quel momento in poi, le leggi Jim Crow divennero di fatto prive di ogni validità e le disparità di trattamento tra individui bianchi e individui di colore all’interno degli uffici pubblici, nelle scuole e sul posto di lavoro venne dichiarata illegale. Un grosso passo avanti nella lotta contro le discriminazioni razziali, che viene ricondotto all’attivismo e all’influenza politica di un personaggio pubblico in particolare: Martin Luther King. La maggior parte delle persone, invece, non ha idea di chi sia Bayard Rustin, la mente dietro l’organizzazione della marcia su Washington.
Il film Netflix, prodotto dai coniugi Obama, ripesca dalle pagine della storia la figura dell’attivista che ha fatto della difesa dei diritti civili la costante della sua vita.
Bayard Rustin è stato l’ispiratore della manifestazione del 1963, anche se, al grande pubblico, il suo nome dice poco o niente. George C. Wolfe si è addossato la responsabilità di metter su il racconto della storia di Rustin, concentrandosi in particolare sulla manifestazione nella capitale USA. Alcuni hanno parlato del film come di un biopic, anche se in realtà non è propriamente la ricostruzione della biografia di Bayard Rustin. La cronaca della sua vita è solo accennata, ci sono brevi flashback a corredo che servono a chiarire alcuni aspetti del passato del personaggio, ma Rustin non è un film biografico. L’intreccio è tutto avvinghiato attorno alla lotta in difesa dei diritti civili. Che, nel caso del protagonista, non riguarda solo le discriminazioni razziali, ma anche la difesa della libertà sessuale. Omosessuale e di colore, Bayard Rustin si è speso per tutta la sua vita per l’affermazione dei diritti di ogni individuo, contro una società retrograda e claustrofobica, che, all’inizio degli anni Sessanta, era ancora profondamente influenzata da comportamenti discriminatori e intolleranti. Il film rende giustizia al fervore politico del suo protagonista, animato da ideali ispirati alla nonviolenza e alla disobbedienza civile pacifica. Rustin prova anche a mettere in risalto le divergenze d’opinione all’interno dello stesso movimento in difesa dei diritti degli afroamericani: l’organizzazione della marcia fu un’impresa ardua non solo per le resistenze esterne, ma anche per i dissidi interni tra gli organizzatori, molti dei quali intenzionati a usare ogni mezzo per sfilare a Rustin la paternità della manifestazione.
Rustin è un film politico e i nomi di Michelle e Barack Obama tra i produttori ne sono una conferma.
Le produzioni dell’ex coppia presidenziale sono state altalenanti, con qualche titolo più convincente e altri meno. Il mezzo biopic di Netflix non è una proposta entusiasmante, ma la produzione ha badato molto di più al messaggio da lanciare al pubblico che alla resa stilistica e cinematografica. Rustin è stato presentato in estate al Telluride Film Festival ed è apparso in distribuzione limitata nelle sale americane, prima di approdare su Netflix. Il colosso dello streaming ha già dato spazio alle produzioni degli Obama nel suo catalogo. Il film di George C. Wolfe risente del linguaggio e delle sensibilità dei suoi produttori, rivelandosi in certi casi un po’ troppo lezioso e retorico. E in questo, la regia di Wolfe non aiuta, perché il regista, autore principalmente di spettacoli teatrali, si sofferma poco sui dettagli cinematografici per puntare tutti i riflettori sui personaggi, come fossero i protagonisti di un dramma raccontato sul palcoscenico, davanti agli occhi fissi del pubblico. Che non è una cattiva notizia quando a interpretare il personaggio principale è uno come Colman Domingo, che di certo è abituato a lavori come questo (Lincoln, Selma – La strada per la libertà, The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca sono alcuni dei film più noti dell’attore americano, che abbiamo visto di recente anche in Euphoria), ma che nel ruolo di Bayard Rustin si è addirittura esaltato, dando vita a una straordinaria performance. Il film Netflix, senza di lui, sarebbe insipido e privo di trasporto. Il protagonista gioca un ruolo cruciale, nella trama così come nella buona riuscita dello spettacolo.
Rustin è un political speech più che un film. Un discorso politico che vuole parlare al cuore della gente, trasportarla nel clima di quegli anni e spingerla a considerare come modello di ispirazione un comportamento come quello di Rustin.
È l’idealismo che trionfa sul pragmatismo e sullo scetticismo. È il racconto di una politica di cui sembrano perdersi completamente le tracce, bloccata com’è in discussioni sterili che non riescono ad arrivare più al cuore delle persone. In una fase di compressione della partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica del proprio Paese, un film come questo non vuole tanto badare alla forma quanto alla sostanza. Il sottotesto è più o meno questo: ci vogliono silenti, disinteressati e pigri, ma se abbiamo un’idea e per quell’idea siamo disposti a dare tutto, qualsiasi cosa potrà cambiare. Sarà pure un film costruito per puntare alla vittoria di qualche premio, nell’ottica della logica dell’oscar bait. Sarà pure un po’ insapore e privo di slancio, specie quando sulla scena manca il protagonista. Sarà pure superficiale nell’indagare certi aspetti lasciati invece in secondo piano, ma Rustin non se ne cura più di tanto: è il messaggio che conta. È il significato politico che deve attecchire. È il passato che parla al presente, in un dialogo che trascura il contorno e che va dritto alla sostanza.