Vai al contenuto
Home » Recensioni

Scissione 2×01 – Lo spettacolare ritorno della serie più alienante della nostra epoca

Un'immagine del primo episodio della seconda stagione di Scissione
Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

Una svolta a destra, ecco un corridoio alla nostra sinistra, ma puntiamo ancora a destra, sempre a destra, procediamo a zig zag, sinistra, destra, dritto, indietro, sinistra. E ancora sinistra, sinistra, destra, sinistra, destra, destra. In un bianco abbacinante, nel solito bianco abbacinante, posticcio, asettico della “prigione” della Lumon. Niente ha corpo, non c’è luce naturale, non c’è varietà, siamo in uno stato di privazione sensoriale. Siamo tornati. Siamo di nuovo in Scissione. Pura fantascienza per l’anima.

Con un magnifico incipit Scissione ci ricatapulta nel suo ventre angoscioso, asfissiante, meandrico.

E da quello stato di pace e quiete che aveva occupato giorni, mesi, anni, tutto quel lasso di tempo che ci avevano separato da questo febbricitante momento, adesso siamo di nuovo connessi. Siamo di nuovo interni. Un clic, un ascensore che si apre ed eccoci con Mark S. di nuovo là, di nuovo catapultati nell’incubo. Siamo scissi e insieme un tutt’uno con Mark. Non sappiamo quanto tempo è passato, cosa è successo, dove sono i nostri compagni di viaggio.

Mark fugge in Scissione
Credits: Red Hour Productions

Scissione in questo esordio di seconda stagione gioca magistralmente sulla prospettiva restituendoci un point of view alienante della realtà di un interno. Quella pressante domanda, a fondamento e cuore dell’intera serie torna prepotentemente a farsi largo: è giusto scindere una parte di sé, soggiogare la propria anima? Ce lo chiediamo di nuovo mentre annaspiamo e ci affanniamo in cerca della fine di quei corridoi, in cerca di volti amici. In cerca di Irv, Helly e Dylan. In cerca di umanità.

Ma ecco di nuovo che Scissione e la Lumon ci allontanano dalla vita vera, ci sottraggono alla nostra umanità e al legittimo di lei desiderio. Quei volti amici non ci sono più. Peggio, sono stati grottescamente sostituiti da altri. Siamo nel freudiano perturbante, là dove una situazione familiare e rassicurante d’improvviso si trasforma in qualcosa di mostruosamente distorto e incrinato. Niente più Irv, Helly e Dylan ma tre posticci sostituti, versioni angoscianti, spaventose dei nostri familiarissimi amici.

La scissione raddoppia, triplica quando ci troviamo di fronte un nuovo Mark, un doppio, un sosia di nome e di fatto, un perturbante sostituto di noi stessi.

Il nuovo Mark prende il nostro posto e le nostre mansioni, depauperandoci dal ruolo di capo dipartimento. Dobbiamo riconquistare la nostra identità, il nostro ruolo. Quella dignità di individui che lentamente ma convintamente ogni interno aveva ottenuto nella scorsa stagione di Scissione passando da semplice partizione di una mente a vero e proprio essere umane adesso deve essere ribadita nuovamente. Uomini con desideri, pronti a rivendicare i propri diritti.

Mark e il suo doppio in Scissione
Mark e il suo doppio (Credits: Red Hour Productions)

Una volta ancora Mark S. si ribella. Rinnova quella professione di umanità che aveva fatto in passato, quel grido di libertà e rigurgito di individualità che lo aveva reso consapevole di se stesso, anche grazie allo sprone di Helly. E la Lumon ora come allora è costretta a capitolare. A scendere a patti. A concedere un ritorno alla normalità. Un ripristino di quell’ordine che il perturbante aveva provato a compromettere. Ma guai a pensare che sia una vittoria per gli “schiavi” interni. Le concessioni sono blandi contentini, operazioni da marketing che ricordano un certo greenwashing contemporaneo. La Lumon dopo lo scandalo denunciato dagli interni nel mondo esterno, la “rivolta di macrodata”, deve riabilitarsi, deve ripulire il suo volto, l’aspetto, l’anima.

E allora via libera al “regno” di Milchick, l’uomo dal sorriso di facciata.

Via libera a un nuovo modo di intendere la scissione e a nuove libertà per tutti. L’ipocrisia che si cela sotto questa facciata di progressismo e human rights appare evidente sotto forma di concessioni di nuovi snack, incentivi e giochi. Forse anche la possibilità che ha l’interno di abbandonare il suo posto (e quindi la sua stessa esistenza) è nient’altro che un raffinato gioco di specchi. Perché, a ben pensarci, probabilmente è meglio l’inferno alla non esistenza.

Milchick in Scissione
Credits: Red Hour Productions

Non sembra pensarla così inizialmente Irving, travolto dal dolore di un amore impossibile e dalla pesante presa di consapevolezza che il mondo là fuori non è il mondo degli interni. Vorrebbe sparire. Vorrebbe spegnersi in un eterno sonno senza sogni annullando l’unica realtà possibile per un prodotto, come lui, della scissione. Ma anche Irv, alla fine, sceglie la peggiore delle vite possibili, e il dolore, al non-essere eterno.

Tornano i quattro protagonisti di Scissione, si siedono di nuovo al loro posto e il tempo sembra riavvolgersi. E tutto sembra ricomporsi come una grottesca e irrealistica sit-com anni ’80 in cui ogni cosa immancabilmente a fine episodio tornava salda, stabile, rassicurante come dapprincipio. Ma percepiamo chiaramente il disavanzo, il pruriginoso senso di insoddisfazione, l’agorafobica sensazione di prigionia e mancanza di verità che attutisce tutto noi stessi. Non sappiamo, non vediamo (vediamo solo bianco), non abbiamo modo di comunicare.

Cosa sarà successo là fuori? Come sono passati questi cinque e più mesi? Come può mia moglie morta essere stata fino a poco prima un interno?

Noi non lo sappiamo. Perché in questo episodio siamo interni alla stregua di Mark, Irving, Helly e Dylan e intorno a noi c’è solo confusione, attesa di risposte, diffidenza. Sentiamo di essere ovattati, sedati in un ambiente in cui ogni stimolo è ridotto al minimo. Fatichiamo anche solo a pensare. Ma rimettendoci a produrre, accoppiare, accumulare numeri e dati, non possiamo fare a meno di vedere proiettato sullo schermo del freddo pc il volto di Gemma, il volto di Mrs. Casey. Il volto di nostra moglie. Come può essere viva? Guardiamo meglio, ci soffermiamo su quel volto, su ciò che lo circonda. Su numeri, parole, dati. Quelle cifre e lettere sembrano indicare il suo battito cardiaco. Che significa?

Mrs. Casey o Gemma in Scissione
Credits: Red Hour Productions

Forse che siamo noi stessi a controllare, produrre, avviare la vita stessa. Forse tutto il dipartimento di macrodata non fa altro che processare, dietro codici di numeri, codici genetici. Il rasoio di Occam: la spiegazione più facile di solito è anche la più corretta. E allora se Gemma è morta e Mrs. Casey è viva l’unica spiegazione, o almeno la più facile, è che non siano la stessa persona. E rieccoci di nuovo al doppio, al perturbante raddoppiamento di noi stessi, al clone genetico che forse già quelle pecorelle della prima stagione di Scissione, novelle pecora Dolly, ci dovevano lasciar postulare.

Freud ci insegna che il perturbante per quanto estraneo e terrorizzante non è esterno da noi ma ci è incredibilmente familiare perché proviene da noi stessi, perché è parte di noi stessi.

Perché è nel nostro inconscio. E allora siamo noi a produrre il nostro doppio, a costruirlo passo dopo passo, numero dopo numero, sensazione dopo sensazione associata a quelle che sembrano fredde e vuote cifre e che invece si rivelano elementi imprescindibili seppur codificati della nostra individualità. Della nostra anima, o per dirla alla Freud, del nostro inconscio. È il senso del perturbante in Scissione.

Ecco perché troviamo i numeri accoppiati spaventosi: perché stiamo guardando a noi stessi, al nostro doppio, al clone. Lo stiamo facendo senza rendercene conto perché al di sopra agisce la maschera onirica del numero, del codice numerico, che nasconde la verità come in un sogno che cela il suo trauma nel simbolo per renderlo accettabile. E allora percepiamo quei numeri come estranei e insieme capaci di emozionarci. È il concetto di Spaltung, la scissione interiore di chi come Mark, come noi, rifiuta di confrontarsi con i propri traumi irrisolti. Traumi che immancabilmente però finiscono per riemergere apparendoci perturbanti ed estranei rispetto a noi stessi e che in realtà sono la parte più recondita e inconfessata della nostra anima. Di noi stessi. Bentornati in Scissione. Bentornati, perturbati, a voi stessi.

Emanuele Di Eugenio