Sull’episodio del cavallo di Troia, titolo di questa 2×05 di Scissione, sono state date infinite interpretazioni. Una macchina d’assedio. Hippos, il nome di una nave fenicia. Una metafora per indicare un terremoto. Secoli e secoli a dibattere, avanzare teorie, smentirne altre. Eppure per quasi un millennio, fino a ridosso dell’età romana, nessuno o pochissimi si erano posti questo problema interpretativo. Come mai?
Non perché sapessero esattamente cosa indicasse, non perché non gli importasse. La ragione è un’altra. È la stessa alla base di tanti miti che così incredibilmente sembrano adattarsi a un’interpretazione psicologica. I Greci conoscevano l’inconscio, il doppio e la scissione? O siamo noi a strumentalizzare il racconto per piegarlo alle nostre conoscenze? Quello antico è un pensiero che solo attraverso secoli di sofismo, scienza e crisi culturale ha portato alla razionalità per come la intendiamo oggi.
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Da un certo momento in poi s’è sentita l’esigenza di spiegare, di indagare le cause, di scoprire le ragioni, di chiedersi un razionale perché. Prima era “solo” pensiero magico, geniale, mistico, profondissimo intuito di lettura e interpretazione intima della realtà. Del mondo, dell’uomo, del proprio Io. Per questo non aveva senso domandarsi il perché razionale. Il perché era già nel mito. Nel risultato di quel grandioso pensiero magico. E solo adesso, a distanza di migliaia di anni ci stiamo rendendo conto che il sistema cartesiano presenta dei buchi neri che mettono costantemente in dubbio l’atto stesso del conoscere. E che il mondo (pensiamo solo alla realtà subatomica) segue schemi tutt’altro che sequenziali.
Il cavallo di Troia nel mito, in Scissione, nella nostra interiorità è l’apparenza dietro cui si nasconde il virus.
È l’illusione che ci creiamo ogni giorno per bypassare le nostre difese, per scalfire il duro muro che un severo Super-Io ha innalzato attorno a noi stessi. Superare le difese significa permettere la diffusione dell’infezione, lasciarla imperversare, distruggendo dal didentro, bruciando e radendo al suolo quella parte di noi che rifiutiamo.
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Così fa Helly che più volte da greca ha provato a sconfiggere la sua troiana, a costo di distruggere tutta se stessa. Si è ferita, impiccata, ribellata a qualcosa che ha sempre percepito come estraneo, Altro, da sé. “Quella non ero io. Io non sono lei, non sono lei! Io sono io! Helly!“, ripete, grida, supplica ancora in questa 2×05 di Scissione. Helly ed Helena sono due mondi diversi, due poli opposti, l’una cattiva e incattivita, l’altra rabbiosa ma buona. Da un lato in lei vive l’Ettore troiano difensore strenuo dei valori della famiglia, del padre, pedina di una guerra che non avrebbe voluto combattere. Dall’altro l’irato Achille, eroico ma orgoglioso, che torna a combattere la sua battaglia solo per amore.
Eppure, se leggiamo l’Iliade, quello che dovrebbe essere il poema della Grecia, non riusciamo mai ad accettare soltanto una della due parti. Da piccoli siamo stati Ettore ed Achille, ci siamo messi i panni dell’astuto Odisseo, quelli dimessi ma saggi di Nestore, compassionevoli ma forti di Andromaca. Non possiamo dire di non essere l’uno e l’altro, il greco e il troiano. Così Helly è l’una e l’altra. È l’erede designata degli Eagan, ma è anche la fragile e ostinata donna prigioniera della Lumon. Per questo può affermare “Io sono io! Helly!” e insieme, crudelmente, rivolta agli interni: “Sono dei fottuti animali“.
La divisione interiore separa e mette in conflitto due realtà che per quanto possano farsi guerra sono imprescindibili l’una per l’altra.
Lo sa anche Mark che nella sua personale guerra di Troia ha provato ad alzare le difese in questo episodio di Scissione. Rifiuta il sentimento guardando con distacco alla cerimonia per Irving e facendo lo stesso con il ritorno di Helly. Lo fa per proteggersi da un inganno, da un cavallo di Troia (Helena mascherata da Helly) che lo ha messo a nudo. “Io come faccio a saperlo [che non sei lei]?“, domanda freddo.
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C’è poi Dylan. A lui il cavallo di Troia lo ha lasciato Irving. Quella frase, “Tieni duro” (Hang in there) pronunciata da Irv prima di essere disconnesso, ha trovato un senso, come vi avevamo anticipato, nel poster della break room. Un biglietto nascosto rivela il percorso per arrivare alla Exports Hall che tanto sembra ossessionare l’esterno di Irving. Dovrà essere ora Dylan a servirsi del cavallo di Troia, di quel bigliettino con indicazioni minuziose, per approdare nel luogo misterioso e svelarne il mistero.
Significativo che proprio a inizio di questo episodio di Scissione vediamo l’ascensore della Exports Hall che continua a scendere in basso. C’è insomma ancora un livello più profondo nella Lumon, un subconscio ancora più intimo che potrebbe arrivare fino all’essenza stessa, brutale, irrazionale, animale dell’uomo. Un Es che non risponde a nessuna morale.
Far entrare un cavallo di Troia significa veicolare un’infezione, l’abbiamo detto.
Significa porre le basi perché la distruzione avvenga dal didentro. Una pulsione di morte che fa parte di noi stessi. Non è però una morte reale, una morte definitiva. Il fuoco di Troia che brucia è anche il fuoco della purificazione, di quel bisogno di radere al suolo per rifondare tutto noi stessi. San Valentino prima ancora che festa d’amore è festa pagana di purificazione, febbre rituale in vista dell’inizio del nuovo anno (che partiva a marzo). È il passaggio necessario del fuoco che arde e distrugge ma che pure purifica e anticipa la rinascita di marzo.
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Per tutti i protagonisti di Scissione quella che apparentemente è una morte interiore, un conflitto destinato a distruggerli può essere però l’occasione per una rinascita, per una ricomposizione di se stessi in cui nessuna delle due identità possa sentirsi nemica dell’altra ma necessario e inevitabile presupposto per la sopravvivenza di entrambe. A ben guardare, come fecero Glauco e Diomede nella guerra di Troia, uno contro l’altro, si può scoprire che il nostro nemico è persona cara, altro nostro volto. Se ne accorgeranno, forse, Helena ed Helly, modellate e condizionate, come Glauco e Diomede, da esperienze diverse ma intimamente una sola entità, né buona né cattiva: semplicemente, irriducibilmente umana.
Emanuele Di Eugenio