ATTENZIONE! L’articolo potrebbe contenere SPOILERS della serie tv Secret Level.
L’evoluzione del videogioco, lunga oltre mezzo secolo, è una storia di trasformazioni culturali, progressi tecnologici e adattamenti di cui Secret Level (disponibile sul catalogo Prime Video qui) non è che l’ultima testimonianza. Da quel 1958, quando William Higinbotham creò Tennis for Two, di cose ne sono successe a bizzeffe. Realizzato su un oscilloscopio, il gioco simulava una partita di tennis con grafica rudimentale. Ma quelli che nascevano come esperimenti scientifici nati per sperimentare la potenza dei neonati computer, divennero, con il tempo, una nuova e innovativa forma di intrattenimento. Gli anni ’70 segnarono la nascita del mercato commerciale dei videogiochi. Nel 1972, Nolan Bushnell fondò Atari e lanciò Pong, un gioco di tennis elettronico che divenne un fenomeno di massa.
L’esperienza videoludica divenne così ben presto disponibile al vasto pubblico, grazie alle console che entravano nelle case dei consumatori.
La fine del decennio vide l’avvento di giochi come Space Invaders (1978), che consolidò il successo delle sale giochi e contribuì alla diffusione di una vera e propria cultura videoludica. Anche per questo motivo il periodo è spesso ricordato come l“Età dell’Oro dei Videogiochi Arcade”. Una scalata al successo così rapida porta, spesso e volentieri, anche a una precipitosa caduta. Gli anni Ottanta avrebbero potuto, infatti, segnare la fine dell’industria videoludica, salvata in extremis dalla Nintendo. Nel 1985, proprio la Nintendo con l’introduzione del suo Nintendo Entertainment System (NES) salvava il mercato, introducendo inoltre titoli iconici come Super Mario Bros prima e poi The Legend of Zelda e Metroid.
Con l’avvento della grafica tridimensionale, gli anni ’90 segnarono un ulteriore salto qualitativo. Console come la PlayStation di Sony (1994) e il Nintendo 64 (1996) rivoluzionarono l’esperienza videoludica. La PlayStation, in particolare, rese il gaming più accessibile e attraente per un pubblico adulto, grazie a giochi come Final Fantasy VII (1997), che introdusse una narrazione complessa e cinematografica, e Resident Evil (1996), che diede vita al genere survival horror. Insomma, forse più del cinema e delle serie, il videogioco si evolveva a una velocità sorprendente rispondendo man mano alle esigenze incalzanti del pubblico. Sempre più vorace, l’utente chiede di più: più mondi, più avventure, più azione. Semplicemente più partecipazione.
Le potenzialità tecniche e narrative del medium diventano chiare a tutti e permettono così di introdurre dispositivi maggiormente performanti e storie sempre più immersive.
Oggi, di fatto, il panorama videoludico sta vivendo un periodo florido. Non solo grazie a titoli che ne sottolineano la complessità e il valore artistico ma anche a una indubbia rivalutazione da parte del pubblico medio. Il mondo contemporaneo considera sempre meno il videogioco come semplice “intrattenimento per bambini” e sempre più, invece, come una forma d’arte ed espressione della cultura moderna. Un’opinione positiva che trova riscontro anche negli adattamenti televisivi, come appunto Secret Level. Le serie tv ispirate a videogiochi di ieri e di oggi crescono in numero. Basti pensare alle più recenti Fallout (qui la nostra recensione) e The Last of Us (HBO ha rivelato quando arriverà la seconda stagione), esempi notevoli anche della capacità di adattare degnamente il materiale di partenza.
Secret Level è l’ultima creatura di Tim Miller, già creatore di quel tesoro nascosto dell’animazione chiamato Love, Death & Robots (qui parliamo della terza stagione). L’intento è di per sé molto chiaro ed evidente: raccontare alcuni dei videogiochi più famosi della storia attraverso la chiave di lettura dell’animazione. Insomma, un cugino di Love, Death & Robots che non parta però da storie inedite ma da fondamenta solide e molto conosciute. Forse, quindi, sono proprio quelle stesse fondamenta a rappresentare anche il tallone d’Achille della serie tv di Prime Video. Perché quando decidi di dare in pasto al pubblico un piatto dalle premesse tanto ambiziose, ci sono tutti i presupposti perché lo riduca a brandelli. Laddove la libertà di Love Death & Robots rendeva facile poter esplorare e sperimentare, qui l’attaccamento al materiale di partenza rende la narrazione molto più legnosa. Per quanto ci siano dei guizzi creativi davvero notevoli. Nulla da ridire, ovviamente, sulla tecnica. Impeccabile, eccelsa e da capogiro.
L’animazione di Secret Level, nelle sue molteplici scelte stilistiche, è un piacere per gli occhi e per l’anima rimarcando le parole recenti di Guillermo Del Toro sul valore dell’animazione come “forma d’arte più pura”.
In questi primi otto episodi, Secret Level spazia tra diversi generi. Dal fantasy di D&D al sci-fi di Unreal Tournament, dal mecha di Armored Core fino alle arti marziali di Sifu. Storie che parlano di morte e rinascita, di fallimenti e seconde possibilità. Insomma, tutte ottime premesse, ma purtroppo la monotonia è dietro l’angolo. Secret Level, infatti, si discosta poco o nulla dal materiale di partenza finendo persino per ridurre i videogiochi più famosi a segmenti di dieci minuti scarsi. Il primo episodio, ispirato a Dungeons and Dragons, offre una bella varietà di personaggi ma senza sfruttarne il potenziale. La storia viene troncata di netto facendoci domandare se ne vedremo mai il seguito. L’ultimo episodio, d’altro canto, dedicato ad Armored Core e con protagonista Keanu Reeves, rimane troppo criptico fin dall’inizio.
La maggior parte, se non tutti gli episodi, appaiono deboli tentativi di raccontare storie vere e approfondite. Mancando però nella realizzazione delle stesse. In soli dieci minuti o più, i mondi videoludici appaiono splendidi ma solo a un’occhiata superficiale. Nessuna delle avventure raccontate rimane impressa, lasciandosi piuttosto il sapore amaro di un trailer promozionale per la nuova stagione Playstation. Arcane (ecco la nostra recensione del finale di serie) ha ampiamente dimostrato che il videogioco può assolutamente essere traslato sotto una forma diversa. Se si sa come farlo. Il che significa ispirarsi all’opera originale ma senza farne un calco in tutto e per tutto.
Per questo motivo la puntata più riuscita delle prime otto disponibili di Secret Level è, a mani basse, quella dedicata a Pac-Man.
In dieci minuti scarsi, l’episodio prende la direzione di un survival horror in cui il protagonista, definito “il Prescelto”, non ha alcun ricordo di chi sia o da dove prevenga, ma sa solo di dover sfuggire al labirinto in cui si trova. In questa traversata tra giungle, oceani di lava e deserti, viene accompagnato da un’intelligenza artificiale sinistra che ha, appunto, le fattezze della pallina gialla mangia tutto.
“Mangia o vieni mangiato”. Questo il mantra che Puck ripete incessantemente al protagonista, spingendolo ad agire in maniera sempre più bestiale e cruenta. Giunti, infine, davanti all’uscita del labirinto, Puck rivela la sua natura diabolica oltre al piano di fuga che, ormai in un loop infinito, tenta invano di realizzare. Il Prescelto, infatti, si rende conto che la vera prigioniera del labirinto è proprio Puck e le impedisce così di fuggire togliendosi la vita.
“Circle”, sesto episodio di Secret Level, rappresenta l’unico guizzo di pura creatività della raccolta.
La puntata, infatti, pur riprendendo palesemente gli elementi fondamentali del videogioco, li adatta in maniera furba e innovativa. Pac-Man è un mostro che divora corpi, anime e volontà. Il labirinto è la prigione entra la quale è stato rinchiuso e i fantasmi i suoi carcerieri. Insomma una rivisitazione in chiave horror che brilla in mezzo alle restanti puntate, poco ispirate. Si percepisce un tema comune, un fil rouge che collega tra loro queste storie: l’uomo decaduto.
L’essere umano, spezzato e distrutto, si ritrova a combattere contro demoni esteriori e non. La sua inizia come una lotta impari, perché non possiede né gli strumenti né la forza necessaria per riuscire. Ed effettivamente molte delle storie di Secret Level finiscono esattamente come sono iniziate, ovvero con la disfatta totale del protagonista. In altri casi, invece, la vittoria c’è ma a un costo troppo alto, tanto da farci dubitare che ne sia valsa la pena.