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Sei nell’anima – Tutto molto interessante, ma manca il coraggio: la Recensione del biopic su Gianna Nannini, ora su Netflix

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ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Sei nell’anima, biopic di Netflix sui primi anni di carriera di Gianna Nannini

Ha visto la luce su Netflix Sei nell’anima, attesissimo biopic sui primi anni di carriera di Gianna Nannini. Nel film viene narrata la nascita di una grande icona della musica italiana (a proposito, presto arriverà un ambizioso biopic su un mito della musica mondiale), con un filtro che punta molto sull’intimità e sull’emotività, riuscendo a convincere però solo a fasi alterne. Il più grande demerito di Sei nell’anima, infatti, è quello di rimanere un po’ troppo in superficie, non riuscendo a sfruttare alcune grandi potenzialità narrativa sia del personaggio che della sua rappresentazione. Manca alla pellicola soprattutto il coraggio di osare in molti punti decisivi. D’altra parte, però, il film di Netflix ci presenta una Gianna Nannini incarnata alla perfezione da una pazzesca Letizia Toni e punta il mirino su alcuni passaggi fondamentali della parabola della cantante, un po’ secondari nella narrazione comune.

Sei nell’anima era un film estremamente atteso. La curiosità era tanta perché siamo davanti non solo a un mostro sacro della musica italiana, ma anche a un personaggio da sempre controverso e rivoluzionario. L’immensa carica di Gianna Nannini emerge però solo a tratti, come dicevamo. Il film si perde in un atteggiamento frenetico e autocelebrativo, con una gestione non perfetta dei tempi e delle tematiche. Al contempo, tuttavia, non lesina spunti d’interesse, offerti più che altro dalla peculiare traiettoria emotiva e artistica della cantante. Scendiamo maggiormente nel dettaglio, dunque, di questo biopic su Gianna Nannini (qui potete trovare anche altri insospettabili titoli del genere).

Da Siena all’America

Sei nell’anima, come detto, si concentra sui primi anni di carriera di Gianna Nannini. Il film mette immediatamente in chiaro alcune componenti: l’indole estremamente ribelle della cantante, la sua decisione di fare musica contro ogni ostacolo e una certa predestinazione nella sua riuscita. Questa ribellione in una primissima fase si esprime soprattutto tramite il conflitto col padre, con una contrapposizione molto significativa tra il tennis, lo sport imposto dalla figura genitoriale, e la musica. Il rigore e l’eleganza della racchetta, contro il caos e il sogno del microfono. La molla è il trasferimento a Milano, dove Gianna con fatica prova a far emergere la propria musica.

Tra delusioni artistiche e personali (la morte di Tina per overdose poteva lasciare un impatto maggiore), la svolta per Gianna Nannini arriva attraverso l’incontro con Mara Maionchi (che ha le sembianze della bravissima Andrea Delogu). Così arrivano il primo cd, l’incontro con Carla Accardi (Selene Caramazza) e soprattutto arriva America, il grande successo che lancia la carriera di Gianna Nannini e che ci mostra il cruciale lato provocatorio della personalità della cantante, non sottolineato a sufficienza. Da qui, però, le cose si fanno più complicate.

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Andrea Delogu nei panni di Mara Maionchi

Sei nell’anima e il crollo di Gianna Nannini

Dopo America qualcosa si rompe in Gianna Nannini. I famosi demoni del successo si concretizzano in una spiccata insicurezza emotiva, nella rottura definitiva col padre e in una certa confusione sentimentale. La ribellione di Gianna si orienta contro quell’industria musicale che vuole imporle delle etichette preimpostate, che non possono stare bene su una rivoluzionaria come la Nannini. La seconda parte di Sei nell’anima è quindi dedicata soprattutto al crollo psichico avvertito dalla cantante mentre stava lavorando in Germania. Una debacle fortemente accentuata dalla richiesta di una hit. Questo è un passaggio insolitamente lungo, che spezza la frenesia che aveva contraddistinto fino a quel punto il film. Un momento volutamente sottolineato perché formativo di tutto ciò che poi rappresenta la cantante.

Questo crollo porta Gianna a far pace coi propri demoni. La riconciliazione col padre è un passaggio importantissimo, sintomo di quella maturità necessaria per andare avanti. Allo stesso modo il ritorno sul palco, che permette alla cantante di far pace anche con quella musica che stava cercando di spremerla. Annunciata per tutto il film, arriva finalmente la rinascita. Il resto, poi, è storia che va oltre il racconto. Non serviamo noi a sottolineare la grandezza della carriera di Gianna Nannini, diventata iconica anche perché capace di passare attraverso enormi tormenti, senza mai piegarsi.

Letizia Toni è una straordinaria Gianna Nannini

Nel cuore dell’analisi, partiamo dall’elemento migliore del film. La prova di Letizia Toni è una di quelle che ti fa esclamare: “Dove diamine è stata tutto questo tempo?”. L’attrice toscana è una vera e propria folgorazione. Veste alla perfezione i panni di Gianna Nannini. Ne incarna lo spirito e l’arte, si cala al meglio nei passaggi emotivamente più pesanti e in quelli dove fuoriesce tutta la forza della cantante. Nel valutare un biopic (genere che ormai sta dominando la scena) si tiene sempre in gran considerazione la somiglianza tra il protagonista e chi lo interpreta. Bhe, in questo caso si arriva quasi a una sovrapposizione, a testimonianza dello splendido lavoro fatto.

Ad arricchire la prova dell’attrice pistoiese concorre il fatto che il film poggia quasi interamente sulla sua performance. Sei nell’anima si arricchisce di pochi personaggi secondari importanti. Sicuramente hanno un peso il padre Danilo, la tenace Carla e l’iconica Mara Maionchi, ma nessuno riesce ad avvicinarsi minimamente alla luce di Gianna. E Letizia Toni, investita di questa importanza, brilla a non finire. Tanto di cappello, dunque, all’attrice la cui carriera, con un trampolino del genere, ora può davvero decollare.

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Gianna e la sua amica Tina

Grandi sentimenti e fragilità emotiva

Prima di arrivare al grande punto debole del film, facciamo uno step intermedio. Sei nell’anima si concentra sui primi anni di carriera di Gianna Nannini e per farlo cercare di dare spazio alla formazione caratteriale della cantante. Ne consegue che in scena vediamo tutto il carico emotivo dell’infanzia e soprattutto della giovinezza della voce senese. E si sa, in quest’età i sentimenti sono sempre amplificati. La ribellione è sicuramente l’elemento portante della formazione caratteriale di Gianna Nannini, ma concorrono anche altri fattori, come la sessualità, la spregiudicatezza, e una forte dose di fragilità. Tutte le battaglie di Gianna, contro il padre, contro l’industria musicale e persino contro se stessa in alcuni momenti, si fanno sentire in occasione del crollo psichico, vero cuore narrativo di Sei nell’anima.

Tutto, nel film di Netflix, prepara a questo momento, evidentemente considerato come decisivo nella parabola artistica della cantante. Senza morte, d’altronde, non ci sarebbe la rinascita. In questa costruzione c’è da apprezzare la voglia di sottolineare le difficoltà e i turbamenti del percorso della Nannini. D’altra parte, però, non si può non vedere un intento didascalico un po’ troppo accentuato, sfruttando la celebre metafora della fenice e della sofferenza che plasma l’arte. Insomma, con questo sguardo la storia di Gianna Nannini diventa un po’ meno personale più universale. Ed è un peccato, perché la peculiarità è il grande valore aggiunto della carriera dell’artista senese.

Sei nell’anima avrebbe potuto osare di più

In conclusione arriviamo, dunque, al grande punto debole del film. Lo stile frenetico (c’è una differenza abissale nella gestione dei tempi tra la prima e la seconda parte) e il tono fortemente autocelebrativo mascherano una mancanza di coraggio che si fa sentire. La parabola artistica di Gianna Nannini è ricca di spunti interessantissimi, che qui vengono concretizzati quasi esclusivamente nella ribellione di cui abbiamo parlato, ma che hanno una portata molto più grande.

La forza di Gianna è la sua unicità. La tempra, la capacità di resistere alle pressioni e di affermarsi come una figura innovativa e spregiudicata. Nel film tutto ciò scompare sotto il filtro della celebrazione e della sofferenza. Così l’impatto di una canzone che addirittura nel 1979 parla esplicitamente di masturbazione viene ridotto a meno successo commerciale, con solo un accenno – limitato a una mano che scende verso le parti intime – alla portata rivoluzionata che ha avuto. Allo stesso modo il passaggio sulle droghe è estremamente scarno. Troppo poco, soprattutto per un film che si concentra solo su quel periodo della carriera della cantante.

La sensazione è che Sei nell’anima non riesca a catturare tutto ciò che Gianna Nannini è stata.

Ne fuoriesce una narrazione un po’ troppo patinata, che poco si sposa a un personaggio così dirompente. Questa debolezza pesa tanto, è inutile nasconderlo. Con un po’ di coraggio in più (che non è mancato a un altro grande biopic come Elvis), si sarebbe potuto fare un grande film. Le potenzialità c’erano tutte.

Così siamo davanti sicuramente a un biopic interessante, ma che non va oltre la sufficienza e che soprattutto si auto-limita in certi punti. È stato sicuramente bello vedere un racconto più intimo di una grande icona della musica italiana, ma dall’altra dispiace che quella spregiudicatezza dimostrata dalla cantante per tutta la carriera, non sia confluita anche nel film. Giudizio sufficiente, dunque, ma con una bella dose di rimpianti.