La miniserie di sei episodi dedicata ad Ayrton Senna e disponibile su Netflix dal 29 novembre non è arrivata per caso. Sono passati trent’anni esatti dalla morte del pilota brasiliano e gli spettatori che negli anni ‘90 seguivano le gare della domenica, quelle immagini in diretta tv se le ricordano bene.
Io rientro in questa categoria, anche se ero solo una bambina, perché in famiglia la Formula 1 era un interesse e una passione, tanto che ogni anno partecipavamo persino al Gran Premio di Monza. Ogni settembre eravamo là, spesso in situazioni divertenti e faticose, in piedi per ore in mezzo a migliaia di tifosi, magari anche sotto la pioggia. Mi ricordo tutto. Del resto la prima volta che si sente dal vivo il rombo dei motori di quelle macchine da corsa, è impossibile dimenticarlo. Lo senti dentro, fin nel profondo del torace e dell’addome, come quando si assiste a un concerto live di qualche gruppo rock eccellente.
Quello stesso rombo e quelle stesse emozioni la miniserie Senna li fa rivivere minuto per minuto. Ma non si rivolge solamente ad appassionati e conoscitori della storia di questo sport. Anche coloro che non erano ancora nati potranno scoprire le vicende e la carriera di questo incredibile atleta, tramite sequenze girate con gli attori, alternate a brevi scene reali di repertorio. E questo è un primo punto a favore della serie. Non esclude nessuno, raccontando ciò che successe quel tragico giorno a Imola e ripercorrendo le tappe principali della vita pubblica e privata di Ayrton, qui interpretato da Gabriel Leone.
È abbastanza difficile vestire i panni di una persona che non c’è più e che oltretutto è scomparsa in giovane età. Non ci si può parlare né confrontare per poter entrare meglio nella parte. Inoltre bisogna mostrare rispetto per il lutto dei famigliari e degli amici che sono tutt’ora in vita. Eppure l’attore brasiliano è riuscito nell’impresa di trasmettere al pubblico la forte personalità di questo grande campione. La sua performance è equilibrata e attenta. Da un lato ci mostra un Ayrton più intimo e dolce, mentre dall’altro fuoriesce tutta la sua determinazione, i suoi sacrifici e il suo perfezionismo.
E così veniamo trasportati dal caldo e colorato Brasile, all’Inghilterra avvolta dall’umidità e dal verde. Accompagniamo il protagonista lungo la sua strada, dai Go-Kart alla Formula Ford, gara dopo gara, fino al suo debutto in Formula 1. La regia di Vicente Amorim dà il meglio di sé proprio nelle riprese in pista, composte da primi piani adrenalinici. Le scarpe di Senna che schiacciano freneticamente i pedali, il volante che vibra sotto le sue mani, la concentrazione dello sguardo, i duelli con gli avversari ruota contro ruota.
Soprattutto quando la corsa si svolge sotto una pioggia torrenziale, il pilota e il regista sembrano fondersi in un’unica entità. Ci siamo anche noi spettatori seduti nello spazio angusto dell’abitacolo. Sentiamo le gocce d’acqua caderci addosso, infilarsi fin sotto la tuta e picchiettare la visiera del casco incessantemente. Del resto Senna era un fuoriclasse quando guidava sul bagnato. Era perfettamente in simbiosi con quell’elemento naturale e la serie è riuscita a rappresentare fedelmente questa sua caratteristica, più unica che rara.
Non solo Gabriel Leone però, ma anche il cast di attori semi-sconosciuti ha dato prova di essere all’altezza della situazione, in particolare Matt Mella nei panni di Alain Prost, il rivale storico di Ayrton. Dall’episodio numero tre in avanti vediamo infatti i due sportivi sfidarsi a colpi di punti in classifica e di millesimi di secondo, in una corsa instancabile verso il titolo mondiale. È stato dedicato un largo spazio per descrivere il legame tra i due e gli anni complicati trascorsi alla McLaren. Il loro rapporto era stratificato, contradditorio, e queste sfaccettature vengono approfondite molto bene nel corso delle puntate.
Accanto a loro, moltissimi personaggi che hanno fatto la storia dell’automobilismo in quegli anni: Ron Dennis, Nelson Piquet, Niki Lauda, solo per citarne alcuni. Vederli nuovamente in azione, seppur filtrati attraverso le interpretazioni degli attori, è come fare un viaggio nostalgico nel tempo e nel passato.
C’è una sola nota stonata in mezzo a tutti questi elogi ed è il personaggio inventato di Laura (Kaya Scodelario), una giornalista che segue le imprese del pilota brasiliano dall’inizio della sua carriera. Il suo ruolo però non è stato ben definito dagli sceneggiatori, tanto che a volte la sua presenza risulta persino fastidiosa. Probabilmente questa caratteristica non è casuale, se vogliamo leggere nei suoi comportamenti il rapporto che Ayrton aveva con la stampa. Infatti, la vediamo comparire solitamente al termine di qualche gara, pronta a intervistare Senna, per il quale sembra provare una forte ammirazione. Ma a conti fatti, alla fine dei sei episodi, dobbiamo purtroppo ammettere che è un personaggio non necessario ai fini della narrazione.
Dopo aver seguito il percorso del campione, peraltro tutto in salita nonostante il suo evidente talento naturale, si arriva a quel fatidico 1° maggio 1994. Il giorno in cui Ayrton Senna perse la vita. I toni allegri e frizzanti che avevano contraddistinto la sua storia fino a qui, mutano completamente. Anche la fotografia viene modificata in base al periodo e agli avvenimenti che coinvolgono il protagonista. Dai toni caldi del Brasile e delle relazioni con i suoi famigliari, si approda a una luce e a dei colori quasi eterei, giocati tra un’alternanza di bianchi e di blu, come la sua tuta e la sua macchina.
Senna quindi è ancora lì, in mezzo ai suoi colleghi, ai giornalisti e soprattutto al popolo e ai tifosi che amava tanto. Ma contemporaneamente sembra essere già oltre, diretto verso una dimensione a cui noi non abbiamo accesso. Questa sensazione è delicata, ci tocca piano, in netto contrasto con il senso di angoscia crescente causato dalle tragedie di quei giorni.
L’episodio finale è interamente dedicato ai fatti che accaddero durante il week-end del Gran Premio di San Marino e tutto ciò che successe è stato riportato fedelmente dagli ideatori della serie. Ma il merito di questa scelta va sicuramente ricercato anche nel contributo della famiglia di Senna, in particolare di Viviane, la sorella del pilota. Però, a differenza del periodo trascorso alla scuderia McLaren, quello dedicato al suo passaggio alla Williams è molto più sbrigativo e veloce. Peccato, perché la morte di Ayrton e del suo collega Roland Ratzenberger cambiarono le regole della Formula 1 per sempre. Due piloti deceduti in pista nel giro di poche ore. Fu qualcosa di troppo importante per essere spiegato in pochi istanti. Ma capiamo sia difficile raccontare tutto in sole sei puntate. Probabilmente i salti temporali e le accelerazioni della trama sono la diretta conseguenza di un minutaggio ristretto.
La serie però recupera questa mancanza attraverso le ultimissime sequenze, delle quali non vi diremo nulla per non rovinarvi la visione. Perciò ora tocca a voi cari appassionati e neofiti, giovani e meno giovani. Guardando la serie Senna scoprirete che le imprese di questo campione vi faranno venire la pelle d’oca e vi emozioneranno come se non fosse passato un giorno. E che dietro la macchina da presa c’è stata una grande dedizione, una cura dei dettagli e dunque un immenso amore per il proprio mestiere, proprio come sarebbe piaciuto all’indimenticabile Ayrton Senna.