Marco voleva correre e nessuno poteva contenerlo. E così, fin dall’infanzia, è salito su una minimoto e ha corso, ogni giorno della sua vita, anche quando sembrava che il mondo delle competizioni fosse troppo spietato, senza scappare nemmeno quando nel 2006 la sua carriera nascente appariva già agli sgoccioli. Marco “SIC” Simoncelli se n’è “Sbattuto I Co****ni” – da qui l’acronimo che è diventato per il campione un secondo nome – ed è andato avanti, con il sostegno incessante della sua famiglia di sangue e di quella acquisita, di quella squadra che lo ha circondato fin dai primi esordi e il cui amore incondizionato per Marco traspare per tutto il film, attraverso le loro parole commosse nel ricordare una persona che era tutto tranne che ordinaria e che aveva fatto innamorare il mondo del motorsport con quella genuinità rara, nonché una totale assenza di filtri che in un ambiente dove tanti hanno paura di commettere passi falsi è stata una boccata di aria fresca. SIC, film che abbiamo visto in anteprima grazie all’invito di Sky, è la storia della grande impresa sportiva di Marco Simoncelli, della conquista del motomondiale nella Classe 250 avvenuto nel 2008, una vittoria contro ogni aspettativa che pur non essendo avvenuta nella classe regina dello sport è ricordata come un successo straordinario. E come tale lo racconta la regista Alice Filippi, il cui amore per il motorsport e l’ammirazione per SuperSic traspaiono in ogni inquadratura, riuscendo a raccontare in modo toccante ma non pietistico la vita e le imprese di un grande sportivo la cui vita si è conclusa inaspettatamente, quando il meglio sembrava dover ancora venire.
Guardare SIC vuol dire riscoprire un Marco che tanto nella sua immagine privata che in quella pubblica, nonché in sella al sua moto quando nient’altro che la velocità sembrava contare, è capace di catturare tutte le attenzioni, con quella sua simpatia strabordante ma anche la schiettezza a tratti spiazzante e con quell’audacia che non conosce limiti, che è incoscienza e sicurezza di sé, che forse è entrambe o nessuna delle due, perché alla fine SuperSic non si fermava a farsi domande, si tuffava nel mare della vita a braccia aperte, nel racconto che ne fanno i suoi amici e i suoi famigliari era solo un ragazzo che non voleva né essere fermato. Un’immagine di Marco Simoncelli che traspare soprattutto nella seconda parte del film, quella che racconta il mondiale del 2008, mentre la prima mezz’ora circa di SIC si concentra sulla storia della sua infanzia e adolescenza senza riuscire a coinvolgere del tutto lo spettatore, soprattutto qualora questo non sia un appassionato dello sport e non conosca già almeno parzialmente la figura del pilota. Da questo punto di vista SIC soffre il contrasto con un altro documentario sul motorsport uscito quest’anno e dedicato a una figura leggendaria la cui vita recente è stata segnata dalla tragedia, lo “Schumacher” prodotto da Netflix e all’unanimità definito uno dei migliori prodotti recenti della piattaforma (qui trovate la nostra recensione), un’opera che pur concentrandosi sull’ascesa sportiva di quello che è uno dei più grandi piloti di Formula 1 di tutti i tempi riesce tuttavia a definire chiaramente la personalità, l’eredità e il talento puro di Michael Schumacher in modo tale da essere fruibile e apprezzabile anche per coloro che di lui non conoscevano che il nome.
Lo stesso non si può dire di “SIC”, che, schietto come la figura che vuole raccontare, è molto più essenziale, a volte quasi scarno, solo le parole della famiglia allargata di Sic accompagnate dalle immagini della sua vita a mostrarne la straordinarietà.
Se l’intento di non speculare sul dolore di chi ha conosciuto Marco è evidente e come tale il ricordo del pilota come figura autentica, vitale e sempre fedele a se stessa, questa essenzialità narrativa penalizza lo spettatore che si approccia al film senza conoscerne davvero il protagonista, senza averlo mai visto correre come se non contasse altro. Dall’altra parte il pubblico appassionato di motori e motomondiale tira un sospiro di sollievo davanti a un’opera priva di una retorica che può risultare stucchevole e riesce a essere diretta nel suo descrivere la carriera di Marco Simoncelli, caricando della giusta combinazione di pathos e adrenalina la rievocazione gara per gara di quel mondiale del 2008 che ha visto SuperSic laurearsi campione del mondo e che è senza ombra di dubbio la parte più riuscita dell’intero film, in grado di tenere lo spettatore incollato allo schermo sebbene sappia già come andrà a finire.
Viviamo il mondiale del 2008 attraverso le immagini dell’epoca e le parole di chi era al suo fianco, gli amici di sempre, la sua ragazza, la sua squadra, la famiglia, l’amico fraterno Valentino Rossi (sulla cui rivalità con il pilota spagnolo Marc Marquez vedremo presto una serie tv) e persino il principale avversario per il titolo Alvaro Bautista, in una ricostruzione minuziosa che alterna la narrazione delle gare ad aneddoti che mostrano di quanta ambizione, quanto coraggio, quanta determinazione e non da meno quanto talento Marco abbia fatto sfoggio in quell’anno magico in cui ha realizzato il suo sogno fin da quando da bambino guardava correre Valentino e scriveva sul bordo dei quaderni di scuola “Io diventerò campione del mondo”. La seconda parte di “SIC” è allora un vortice di emozioni pure come solo lo sport sa regalare, tale da rendere al pubblico – anche a coloro che non hanno mai visto una corsa motociclistica in vita loro – impossibile staccare gli occhi dallo schermo e tifare spudoratamente per Marco, per il ragazzo con quel sorriso sincero e dalla parlantina disarmante che sembra lottare contro il mondo intero per realizzarsi.
La fine di SIC, che coincide con l’incoronazione di Marco Simoncelli a campione del mondo, è rapida, volontariamente improvvisa, poiché il film pare interrompersi proprio sul più bello, una scelta che forse rimanda proprio a ciò che è stata anche la vita del pilota. Più che comprensibile la scelta di non discuterne la tragica morte, avvenuta in pista il 23 ottobre 2011 proprio su quello stesso circuito della Malesia in cui tre anni prima aveva realizzato il suo più grande sogno, e celebrarne invece quanto di incredibile ha realizzato in vita. A dieci anni dalla morte di Marco “Sic” Simoncelli la sua persona rimane celebrata e amata dagli appassionati di tutto il mondo e se questo amore collettivo è palpabile solo in parte durante la visione del film, questo tuttavia non manca di trasmettere l’affetto strabordante che chiunque abbia conosciuto Marco sembrava provare per lui e per la sua anima incontenibile, sempre alla ricerca dell’emozione successiva. Ecco allora che SIC assume una dimensione più intima, un taglio meno documentaristico e più familiare, che ci restituisce un’immagine vivida e calda di una leggenda che ci manca tremendamente.