Vendetta, sesso, hacker, serial killer, gore, sciamane, intelligenza artificiale e tanto altro nel nuovo thriller sudcoreano creato da Netflix. Presentato in anteprima il 6 ottobre al Busan International Film Festival, dal 18 novembre, sulla piattaforma, è disponibile Somebody (in coreano: 썸바디): “qualcuno”. Ed è proprio dall’esigenza di trovare “qualcuno”, qualcuno simile a noi, da cui si sviluppa il thriller-melodrama-crime diretto da Jung Ji-woo, scritto da Jung Ji-woo e Han Ji-wan, che vede protagonisti Kim Young-kwang, Kang Hae-rim, Kim Yong-ji e Kim Soo-yeon. Alle prese con la sua prima serie tv, Jung Ji-woo è un regista sudcoreano molto apprezzato in patria per essere un maestro della rappresentazione psicologica ed è noto soprattutto per i film Happy End (1999) e A Muse (2012). Mentre Kim Young-kwang (l’interprete di Sung Yoon-oh) è sicuramente più popolare a livello internazionale. Young-kwang è un modello molto richiesto ed è stato il primo asiatico a sfilare per Dior Homme. La sua carriera attoriale ha inizio nel 2008 e in poco tempo ha conquistato un nutrito stuolo di fan. Tra i suoi successi ricordiamo Good Doctor della KBS2, cioè la serie da cui è tratto l’omonimo remake statunitense (30 disagi che solo un vero fan di The Good Doctor può capire). Invece, per quanto riguarda le altre tre co-protagoniste, possiamo parlare di attrici esordienti. Kang Hae-Lim (l’interprete di Kim Sum) era già apparsa in Live On di Park Hye-Rim, ma è Somebody che segna il suo debutto internazionale. E in patria già si parla di una “nuova musa” per Jung Ji-woo. Dopo il successo planetario ottenuto da Squid Game, la sezione delle serie tv sudcoreane di Netflix diventa sempre più densa di prodotti particolarissimi, caratterizzati da un minimo comune denominatore: l’originalità. Sebbene siamo lontani dalla perfezione, Somebody è un prodotto insolito, difficile, ma irresistibile. Si distingue per una lentezza narrativa, quasi esasperante, che finisce per catturarci in un loop ipnotico. Il racconto è frammentato e si concentra in maniera spasmodica sulle reazioni ed espressioni dei personaggi. Eppure – sebbene la visione sia a tratti faticosa – il dramma ha qualcosa di magnetico che trascina per otto episodi della durata di un’ora ciascuno.
Somebody… to love
Il nuovo psico-thriller sudcoreano di Netflix, che mescola American Psycho alle suggestioni pop sudcoreane, esplora le pulsioni e i desideri più reconditi dell’animo umano, concentrandosi sull’altra faccia del trauma e della solitudine. La trama presenta un ensemble di elementi insoliti. E forse una frecciatina iniziale a Squid Game! Sum (Kang Hae-lim) è la creatrice e sviluppatrice dell’app di match making chiamata “Somebody“. È amica di Mok-Won (Kim Yong-Ji), una sciamana, e Ki-Eun (Kim Soo-Yeon), una detective finita sulla sedia a rotelle a causa di un incidente. Tuttavia, fatta eccezione per questi due personaggi e il suo amico/intelligenza artificiale rinchiuso in un vecchio videogame, Sum è sola. Ha difficoltà a comunicare con le persone, probabilmente a causa della sindrome di Asperger. Così crea Someone, un’intelligenza artificiale che è in grado di dare voce agli insicuri. Il suo è un programma semplice, ma è molto più che un chatbot.
Per questo le potenzialità dell’algoritmo non tarderanno a essere notate, e sfruttate, per scopi commerciali. Vedendo il suo potenziale durante un’iniziativa scolastica, Samantha (Choi Yoo Ha), una programmatrice affermata, ha preso Sum sotto la sua ala protettrice e ha lavorato insieme a lei all’app, che presto diventerà la più usata nel mondo. Sulla falsariga delle polemiche suscitate da Tinder, l’app finirà al centro dell’attenzione mediatica soprattutto per le molteplici accuse, a partire da quella di favorire l’incontro con persone malintenzionate. Finché non sarà coinvolta in alcuni casi di omicidio. Eppure, Samantha è restia a consegnare agli inquirenti i dati e le chat private, per tutelare la privacy degli utenti. Un dibattito fin troppo attuale. Intanto killer, sociopatici e stupratori si muovono indisturbati tra i meandri di un ecosistema virtuale ideale. E così, anche noi come decine di vittime, incontreremo il designer di architettura Sung Yoon-oh (Kim Young-Kwang). Un uomo attraente, apparentemente simpatico e premuroso, visionario e magnetico, che nasconde qualcosa di terribile, con cui i personaggi principali dovranno confrontarsi.
[SEGUONO SPOILER]
La trama è originale, insolita, e presenta uno sviluppo che insegue delle regole proprie. Tuttavia è a causa dell’intreccio dei tanti elementi, sebbene originali e accattivanti, che all’inizio abbiamo l’impressione di perderci nella trama. La puntata iniziale cattura immediatamente l’attenzione, poi la vicenda viene diluita con un’infinità di indizi, flashback, scene di sesso e dettagli intriganti, che però rendono gli episodi centrali quasi superflui. Infatti, è dal quinto episodio che Somebody, e il suo montaggio da maestro, acquista una logica. Malgrado lo sviluppo iniziale, a tratti dispersivo, il tono sospeso e intimista cattura e rende il drama sudcoreano un prodotto davvero intrigante, da gustare con estrema calma. E magari da guardare più di una volta. Da un lato conquista, dall’altro lascia perplessi, alle prese con una sensazione di incertezza. I silenzi superano i dialoghi e creano quella sensazione di stordimento che incuriosisce, malgrado alle volte risulti pesante. Ma è proprio questa atmosfera imprevedibile e incerta che ci permette di apprezzare Somedoby.
Un dramma insolito, dark, che richiede pazienza
Difetti a parte, Somebody è un thriller originale, ben scritto e ben recitato. Kang Hae-lim nei panni di Sum è perfetta, con quel mood introverso, quasi alieno, mentre Kim Young-Kwang nei panni del villain-killer-sociopatico è una sorpresa riuscita. L’attore e modello si è trasformato e risulta perfettamente calato nel personaggio, tanto da lasciare i suoi fan a bocca aperta, soprattutto per le scene cruente e violente. Somebody è lento, ma è audace, esplicito e ribelle. Sono interessanti le numerose scene di nudo, specialmente se consideriamo il rapporto che i sudcoreani hanno con le scollature o i capezzoli. La serie, infatti, vuole esplorare il senso di solitudine e il desiderio di liberazione sessuale delle donne sudcoreane. È però il riferimento alla realtà che colpisce davvero, fa rabbrividire e rende il drama un horror tristemente realistico. Si parla infatti della pratica dei “giochi degli stupri”, dell’adescamento per fini criminali e sessuali e della pericolosità delle chat di incontri. Tuttavia non c’è nessuna intenzione di metterci in guardia, ma quella di esplorare l’origine del fenomeno. Le chat di incontri non sono pericolose in sé: è il senso di solitudine e la necessità del contatto umano che ci spingono nella rete di coloro che sanno benissimo come manipolarci.
Tutto questo viene mescolato senza forzature paternalistiche o moralistiche. Il fenomeno, infatti, è il pretesto per creare una sottotrama thriller e per renderci partecipi di un incubo collettivo fin troppo reale. L’aspetto affascinante e rassicurante di Sung Yoon-oh e l’intelligenza delle due co-protagoniste (e vittime) sono fondamentali per non incappare nel solito binomio “sociopatico strambo/vittima ingenua”. L’attrazione di Sum verso il suo match perfetto – che sa essere un assassino – e i cortocircuiti che ne derivano sono interessanti, come vedere una falena volare consapevolmente verso la fiamma. Se è vero che il regista non entra nei dettagli nei primi episodi, rendendo difficile la comprensione, è altrettanto vero che sono proprio queste omissioni a rendere i colpi di scena, soprattutto quelli posti alla fine di ciascun episodio, molto più coinvolgenti e spiazzanti. La frammentarietà e la lentezza, infatti, sono dei difetti solamente se non abbiamo pazienza. Una virtù che alleniamo poco di questi tempi. Con il passare degli episodi, infatti, conosceremo meglio ogni personaggio. Come Mok Won, la quale vive due vite separate: sciamana al mattino, lesbica ribelle di notte. Approfondiremo il rapporto di Gi Eun con la sua sedia a rotelle e la sua determinazione a trovare l’amore a ogni costo. C’è la sete di vendetta, che però è inquadrata più per la sua ferocia che per la necessità di fare giustizia. Se abbiamo pazienza, dunque, gli ultimi quattro episodi ci risucchieranno in un vortice, grazie a una sequenza di passaggi sconcertanti.
La bellezza dei non-detti
I personaggi femminili delineanti con sensibilità e intensità sono lontani dai cliché e costituiscono la forza del progetto. Non si tratta di personaggi banalmente “forti”, che cercano vendetta per rimediare a un torto subito. Ma esseri umani che credono di potersi fidare e, pur diventando delle vittime, conservano la loro umanità, con tutte le contraddizioni e le zone d’ombra. Le loro personalità sono un inno alla gioia di vivere, di amare e di esplorare la sessualità, minacciata da una società ingiusta e violenta. Ed è questo che, purtroppo, ci espone ai pericoli. Lo stile di Somebody è scioccante e disturbante e la colonna sonora ricorda a volte un classico di Alfred Hitchcock, altre un episodio di Tom e Jerry. La musica è accurata e ci permette di addentrarci nella psiche di ogni personaggio. Gli effetti sonori sono vividi – da quelli della masticazione e del cibo fino a quelli umidi dei rapporti sessuali – e si tengono alla larga dalle sonorità artificiali. Invece di ricorrere ai soliti suoni sordi per creare suspense, Somebody opta per delle melodie tenui, di violino e pianoforte, o quelle proprie dei videogame.
Lo spazio scenico è stato progettato e colorato per riflettere le caratteristiche uniche di ogni personaggio e per portarci nel cuore della loro psicologia. Somebody si avvale di una fotografia nitida, sfruttando le suggestioni dell’iperrealismo. Sfrutta anche il simbolismo, come il labirinto, o le strutture claustrofobiche, come i silos, e gioca con i contrasti tra luce e ombra, notte e giorno. La mania per i dettagli di Jung Ji-woo è un altro tratto distintivo. Una resa meticolosa che si avvale di numerosi richiami alla cultura pop e ai classici del mistero e del noir per sottolineare le emozioni anche nella scena più insignificante. Tra un dettaglio cruento e uno intimo, Somebody non rinuncia a seminare qua e là un pizzico di verve ironica che rende il thriller ancor più agghiacciante, come le conversazioni con Someone o i tentativi delle protagoniste di trovare l’espressione più adatta durante il coito.
I modi in cui le persone si incontrano sono cambiati nel corso del tempo. Le storie dei melodrammi sono cambiate molto dopo l’invenzione dei cellulari. Man mano che si creano più relazioni umane nei social network o nelle app di appuntamenti, verranno create storie più originali su queste connessioni.
Jung Ji-woo
Somebody è una serie unica nel suo genere, ricca di distorsioni e visioni multistrato, che esige tempo e pazienza. Jung Ji-woo ha sviluppato in mondo artistico delle tematiche sociali attuali, inquadrandone i pericoli e sondando la psicologia umana. Il regista preferisce il silenzio alle grida; un andamento più riflessivo a uno frenetico, proprio dei thriller; i non-detti alle sottolineature didascaliche. All’inizio si fa fatica, ma una volta sintonizzati alla giusta frequenza, veniamo agganciati da una narrazione insolita e originale, raccapricciante e ipnotica, erotica e inquietante, in cui non sappiamo mai quali sorprese ci attendono dietro l’angolo.