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Sprint – La recensione della docuserie sugli atleti più veloci del mondo

Sprint
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Le gare dei 100 e dei 200 metri piani di atletica leggera sono tra le più attese tra tutte le competizioni sportive che si svolgono durante le Olimpiadi, e credo che il motivo di questo interesse risieda nella loro durata. Essere velocisti infatti significa vivere il tempo, inteso come lo scorrere dei secondi, in un modo completamente diverso rispetto a qualsiasi altro essere umano. Vuol dire doversi allenare duramente e quotidianamente per anni, all’interno quindi di un arco temporale ampio, con lo scopo di gareggiare per soli pochi secondi, un arco temporale molto ristretto. Un attimo ed è già finito.

Sprint, la nuova docuserie di sei episodi trasmessa su Netflix a partire da martedì 2 luglio, ci fa viaggiare intorno al mondo, dalle Olimpiadi di Tokyo 2020 ai Campionati Mondiali di atletica leggera di Budapest 2023, passando attraverso le tappe della Diamond League, accompagnati da atleti come Marcell Jacobs, Noah Lyles, Sha’ Carri Richardson e Shericka Jackson. Professionisti pieni di talento, questi ragazzi e ragazze ci vengono presentati anche dal punto di vista umano, con i loro caratteri, le loro ansie e preoccupazioni e le difficoltà di portare il peso delle aspettative e del successo quando si vince una medaglia d’oro o una gara importante.

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Marcell Jacobs, vincitore della medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Tokyo

Ogni episodio di Sprint inizia mostrandoci gli allenamenti degli atleti, la loro preparazione in pista e in piscina in vista di una gara, gli esercizi che devono svolgere ogni giorno, intervallati dalle interviste in cui raccontano la loro storia, le loro prestazioni e il loro amore per questo sport. La narrazione ci conduce verso la fine di ogni episodio, il momento più intenso, perché assistiamo alle gare di questi velocisti con il relativo vincitore o vincitrice.

Vediamo quindi Marcell Jacobs, tormentato da problemi fisici, lasciare l’eredità all’americano Lyles, il detentore del nuovo record del mondo dei 100 metri maschili nel 2023, con i suoi 9”83 secondi. Un ragazzo della Florida, ex-asmatico, amante del rap e del ballo. Ci sono poi le donne, come Sha’ Carri Richardson, dalla personalità esplosiva e sincera, senza troppi peli sulla lingua, con i suoi capelli tinti di colori sempre diversi e le unghie lunghissime e decorate. Un vulcano di energia e di grinta.

La storia di Zharnel Hughes invece è particolare e interessante perché mostra a noi spettatori quanto questo sport sia composto per il 90% dalla concentrazione e dal benessere mentale. Zharnel è un atleta inglese che durante le Olimpiadi di Tokyo venne squalificato per falsa partenza. Guardando le immagini di questo episodio di Sprint, lo vediamo infatti partire pochi centesimi di secondo prima dello sparo d’inizio della gara. Un avvenimento che portò Zharnel alla depressione e all’insonnia. Nel suo caso l’agitazione e il panico presero il sopravvento sui pensieri, ma come dice saggiamente l’allenatore di Noah Lyles: ”Devi essere a tuo agio con l’essere a disagio. Fa parte del gioco”.

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Noah Lyles, campione in carica dei 100 e 200 metri maschili

Ed è proprio il ruolo indispensabile degli allenatori che fa la differenza. Essi sono come i capitani di una nave: devono riuscire a tenere il timone ben saldo tra le loro mani. Non possono permettersi di perdere la rotta in seguito a una sconfitta, motivando quindi i loro atleti e raccogliendo le delusioni e la tristezza. Così come devono essere pronti a gioire e a esultare di fronte alle vittorie e ai nuovi record mondiali. Forse il ruolo più difficile spetta proprio a loro, perché devono essere dotati di equilibrio e autocontrollo, trasmettendo efficacemente questo atteggiamento a tutto il loro team.

A volte infatti i velocisti lavorano e si allenano insieme, divisi per nazioni, come ad esempio Stati Uniti e Giamaica, rivali storici di questa disciplina. E anche questo aspetto del loro mestiere non è semplice. Quando si condivide il tempo e intere giornate insieme alle stesse persone, si diventa compagni e amici, è inevitabile, quindi ci si sostiene e ci si stimola vicendevolmente. Ma quando si entra in uno stadio, con la folla che ti applaude e ti acclama e con i fotografi e i giornalisti che ti attendono a bordo pista, la situazione cambia. Entra in gioco l’adrenalina, la competizione e la rivalità, che se usate in modo intelligente possono rappresentare un ottimo mezzo per migliorarsi e per vincere.

Non sempre però questo è possibile, come viene narrato nel quarto episodio, in cui due atlete giamaicane decidono di abbandonare il loro team di allenamento (e gli allenatori) a causa di litigi e attriti. Uno sbaglio che, come potrete vedere voi stessi, ancora una volta serve a sottolineare quanto la relazione con il proprio allenatore sia fondamentale per ottenere prestazioni elevate e per diventare campioni.

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La gara dei 100 metri femminili

Ma le sorprese e le emozioni più forti di Sprint arrivano negli ultimi due episodi. I Campionati del Mondo di Budapest del 2023 sono il punto di arrivo del percorso di ognuno dei velocisti che abbiamo visto in questa docuserie e nella capitale ungherese li vediamo sfidarsi a colpi di secondi e di record. La tensione di ogni atleta è visibile dalle espressioni dei loro volti poco prima di essere chiamati in pista, così come ognuno di loro ha dei rituali diversi per contrastare lo stress e la pressione. In molti ascoltano la musica, ad esempio.

Noi spettatori tramite Sprint impariamo anche a capire alcune regole che stanno alla base di questo sport. Oltre all’allenamento, all’impegno e al lavoro sulla propria condizione mentale, è importante fare una buona partenza, che può essere persino il momento determinante di una gara. Sono pochi i velocisti come Usain Bolt, che nonostante partenze non proprio brillanti, hanno la capacità di avere una spinta nella falcata più unica che rara. E sono altrettanto poche le atlete, come Sha’ Carri Richardson, che passano dal qualificarsi alla finale dei 100 metri femminili per un soffio, a vincere la medaglia d’oro nella stessa gara ottenendo il record mondiale rimasto imbattuto per 40 anni.

L’atletica leggera è così. Dura, competitiva, emozionante, affascinante, imprevedibile, veloce. E la docuserie Sprint targata Netflix, tramite i protagonisti, il montaggio e la colonna sonora rap, è riuscita a farci entrare in quel mondo e a contare i secondi in attesa dei Giochi Olimpici di Parigi di quest’anno.