Star Trek: Picard recensione e commento con spoiler
La prima stagione di Star Trek: Picard non è un grido nel vuoto cosmico come forse avevamo sperato. Ma un accavallamento, talvolta incoerente, di buone idee, fanservice e nostalgia. L’equilibrio tra questi elementi determina il successo o meno di questo progetto di Amazon Prime Video che entra nell’universo più amato, complesso e venerato della televisione.
Star Trek: Picard è una serie che vola a velocità curvatura nell’iperspazio del fanservice, che rifiuta la nostalgia pure sfruttandola fino all’ultima goccia e spinge il personaggio più amato del franchise, dopo Spock ovviamente, in un territorio inesplorato. È pensata per apparire, e di fatto essere, diversa da qualsiasi altra “Trek” che ci sia stata prima. Ci vuole presentare personaggi come non ne abbiamo mai visti prima e soprattutto presentare un livello di pericolo, intrigo e dramma superiore. Almeno in teoria.
Il problema è che non sempre alla teoria riesce a seguire la pratica. Non sempre alle buone intenzioni e ai buoni propositi fanno eco le buone azioni. La realtà è che Star Trek: Picard ha mancato il bersaglio. O meglio, nel tentativo di apparire diversa da qualsiasi altra Star Trek sfora e diventa così diversa da finire per essere altro. Troppo altro.
Sono stati introdotti nuovi personaggi in modo nuovo. E per la maggior parte sono anche stati divertenti – almeno quando i loro archi narrativi portavano da qualche parte – ma è difficile non pensare che Picard stesso sia ora la personalità meno interessante che stiamo guardando.
Nel tentativo di proporre qualcosa di nuovo, in un universo che forse non necessita di troppe novità, Star Trek: Picard ha finito per sembrare troppo simile alla maggior parte delle altre serie sci-fi di quest’era dello streaming di massa.
Troppo lunga e con la brutta sensazione che tutto sia effettivamente dimenticabile. O quasi. E se poi vogliamo dirla tutta non è nemmeno così diversa da alcuni “Trek” più recenti: I film reboot di J. J. Abrams sono certamente più luminosi e colorati, mentre Star Trek: Picard è scura e cupa. Ma sia Picard che Into Darkness finiscono allo stesso modo. Troppo simili con quella resurrezione di un personaggio la cui “morte” diviene di fatto insignificante. Soprattutto per via di quella sensazione da “lo stai guardando perché sai che verrà rianimato cinque minuti dopo“. Ed è così.
Tutto da buttare quindi? No.
Il problema come sempre sono le aspettative. C’è stato un momento in cui abbiamo pensato che forse avremmo avuto la più grande inversione di marcia di tutti i tempi trekkiani e Picard sarebbe potuto morire davvero, per sempre. Occasione sfumata. E anche se la seconda stagione di questa serie era già stata annunciata sarebbe potuta diventare l’occasione per incentrare le vicende su Soji. Vederla riprendere il mantello del defunto Picard ed esplorare la galassia con l’equipaggio combattendo per l’uguaglianza del synth.
Invece, abbiamo avuto un Picard “morto” che incontra la coscienza di Data, morto a sua volta da lungo tempo, in un costrutto digitale (mentre la coscienza di Picard viene preparata per essere collocata in un nuovo corpo clone), in quello che sembra un déjà-vu fantasy troppo fuori luogo. Una sorta di parallelo di quel momento in cui Harry Potter “morto” incontra Silente in quella via di mezzo tra la vita e la morte. Assistiamo a un confronto che, per quanto forse non necessario, tocca le corde emotive e nostalgiche di ogni fan. E poi?
Poi Picard/Harry sceglie di vivere di nuovo, segue la luce e si ricongiunge all’universo dei vivi. Perché? Perché ora tutta la cultura pop deve essere Harry Potter.
Ma anche in questo caso non è tutto sbagliato.
La ricerca di Picard con cui si aprono i primi tre lunghi e lenti episodi, ma comunque affascinanti, inizia con lui che voleva trovare un modo per far rivivere Data e termina con lui che accetta invece la richiesta dello stesso Data di porre fine alla propria coscienza incarnata. Ultimo importante passo nel percorso agognato dal sintetico di diventare umano. E l’unico modo è accettando di avere un’esistenza finita. La scena è realmente toccante. E la recitazione di Brent Spiner è, come sempre, superba.
Ma questo finale della prima stagione, “Et in Arcadia Ego Part 2“, è dove tutti i problemi che hanno afflitto questa serie si manifestano in modo cristallino e spiccano più fortemente. È un peccato perché “Parte 1” era stata invece una delizia. Apparentemente un gradito correttivo a tutto ciò che era accaduto in precedenza su Star Trek: Picard. Un tentativo di ritornare alle classiche dinamiche avventuriere e planetarie che ci ha dimostrato che le potenzialità per fare un gran Star Trek ci sono tutte.
Ma non rinunceremo mai a questa speranza, neanche dopo Star Trek: Picard e anzi torneremo ancora più convinti e desiderosi per la seconda stagione. Perché comunque vedere l’ex capitano, ormai ammiraglio, Jean-Luc Picard al posto di comando di un’astronave a dare l’ordine per la partenza è un emozione che tutti noi vogliamo provare ancora per giungere là, dove nessuno è mai arrivato prima.