Bentornati con la recensione della 3×11 di Station 19. Questa settimana il capo Sullivan pone l’attenzione su un’altra situazione gravissima attualmente in corso negli Stati Uniti. Dopo aver parlato del precario e classista sistema sanitario statunitense, si passa alla questione immigrazione clandestina e Robert riesce ad emozionarci.
Siamo tutti a conoscenza del problema degli Stati Uniti con gli immigrati clandestini. Conosciamo tutti le orribili promesse fatta in propaganda elettorale dall’attuale presidente della nazione, conosciamo tutti le orribili storie e testimonianze di povera gente il cui obiettivo era semplicemente provare a dare una vita migliore a se stessa e ai propri figli e che sono rimasti vittime dei propri viaggi. Nel parlarne mi viene in mente l’immagine cruda e terrificante dei corpi di un padre e una figlia trovati morti nel Rio Grande mentre cercavano di attraversare il confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Lui venticinque anni, la bambina solo due.
Anche se stiamo parlando di una questione americana, sappiamo bene che questo tema ci tocca da vicino. Basti ricordare il ragazzino senza neppure un nome con la pagella cucita nella tasca annegato nell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo. Un posto che inghiotte ormai troppe vite, troppa gente in cerca di un futuro migliore, di una vita migliore o, semplicemente, di una vita.
Perciò, quando in questo episodio, Sullivan si è esposto in prima persona, cercando di salvare degli immigrati clandestini opponendosi all’ICE (Immigration and Customs Enforcement), ovvero l’agenzia federale incaricata di riportare gli immigrati in patria o lasciarli in quelli che vengono definiti centri di detenzione, mi sono emozionata. Ad aumentare il pathos della storia ci sono i racconti di pezzi di vita di Robert che non conoscevamo. E che sono orribili.
Il racconto di un’infanzia vissuta con un nonno nazista e il paragone – forse un po’ troppo forzato, ma necessario per provare un punto – tra i centri di detenzione di allora e quelli di adesso. L’orrore dei crimini che ancora oggi avvengono in quei luoghi che si tende a spacciare per sicuri, ma che di sicuro hanno ben poco, soprattutto se sei donna o sei un minore. Storie di stupri, di violenza disumana, di separazione. In poche parole dipinti di disumanità . Perché non c’è nulla di umano nei racconti del capitano.
Quando Herrera senior sottolinea che chi lavora all’ICE è comunque impiegato del governo e sta solo facendo il suo lavoro, lui risponde con una delle più provocatorie e allo stesso tempo cazzute risposte finora sentite in Station 19: “Come i nazisti facevano solo il loro lavoro” e si lascia andare a un monologo che è troppo bello per non essere riportato.
Beh sì, il paragone è inesatto. Ha ragione, signore, ma ci sono delle similitudini. E al riguardo ho delle forti opinioni perché mio nonno era uno di loro. Era un nazista. […] Conosce Melita Maschmann? Era una propagandista nazista durante la guerra. Negli anni ’60 scrisse un’autobiografia spiegando perché era diventata una nazista. E io avevo 12 e dovevo fare la recensione di un libro e mi imbattei in questo libro in biblioteca e pensai “Ehi, questo posso leggerlo in tedesco originale. Può essere una buona idea per avere crediti extra, no?”. Quindi tornai a casa da scuola, Opa era lì con il mio pranzo e mi vide poggiare il libro sul tavolo e all’improvviso diventò bianco come un cadavere. Gli chiesi cosa avesse e cominciò a piangere. E mi disse “Oggi è il giorno in cui comincerai ad odiarmi”. Era un nazista, ci credeva. […] Ed eccomi lì, a guardare foto di persone che sono morte di fame nei campi, impilate in fosse comuni. Insomma, avevo 12 anni, conoscevo la storia. Sapevo di tutte le cose orribili successe in questo paese alle persone che mi somigliano. Ma in quel momento c’era qualcuno nella mia famiglia, qualcuno che amavo che aveva fatto quel genere di cose. E cercò di spiegarmele. Mi disse “A volte una nazione in crisi ha bisogno di un patriota che faccia l’indicibile”. Aveva ragione. Quello fu il giorno in cui cominciai ad odiarlo. Per sei anni ancora ho vissuto in quella casa, non gli ho mai più parlato. Vede la Gestapo, la Geheime Staatspolizei, la polizia di stato segreta, erano forze dell’ordine legittimate per i nazisti. Erano impiegati del governo che irrompevano nelle case, nelle scuole, nei ristoranti, strappavano ai genitori i propri figli, strappavano i mariti alle proprie mogli e li spedivano nei centri di detenzione. La gente pensa che ciò che è successo in Germania non avrebbe potuto ripetersi qui. Ma ci sono stati multiple denunce di abusi sessuali sulle donne, sui bambini da parte delle guardie nei nostri centri di detenzione proprio qui. E noi scorriamo tra quelle denunce e scuotiamo la testa ma non facciamo niente. Se non facciamo niente quando vediamo i nostri compagni esseri umani, i nostri vicini abusati, detenuti, cosa succederà dopo?
Insomma, il capo Sullivan non la manda a dire e, con questo discorso, riesce a farci fermare un attimo per farci riflettere. A farci porre delle domande, a cercare delle soluzioni, a voler essere utili in qualche modo. Lui trova il modo per fare la sua parte permettendo ai clandestini – grazie a ingegnosi escamotage – di fuggire. Ma non è l’unico, no perché ad aiutarlo ci pensano anche gli Herrera e Ben e Jackson che decidono di farlo fuggire dall’ospedale.
Passiamo, adesso, a questioni più leggere. Innanzitutto lasciatemelo dire: Maya e Carina sono OTP. La loro vacanza è stata divertentissima, soprattutto durante la scena in cui c’è quel tizio tutto muscoli che ci prova con loro e Maya lo umilia con classe durante una gara di flessioni. Ottimo lavoro Bishop, continua così. Spero davvero che la loro relazione vada a gonfie vele perché sinceramente sono stanca di vedere Maya sabotarsi in ogni singola storia d’amore. Soffro ancora per la rottura con Gibson perché li amavo alla follia, ma è tempo di andare oltre ormai.
Parlando delle relazioni di questa stagione di Station 19 prego perché nulla succeda tra Miller e Hughes. Non perché non siano una bella coppia, potrebbero essere una coppia eccezionale. Ma ho l’impressione che si stia muovendo tutto troppo velocemente, soprattutto seguendo l’evoluzione del comportamento di Dean che è cambiato radicalmente. E poi mi dispiace perché ero convinta che tra loro ci potesse essere una di quelle amicizie stupende come quella tra Alex e Meredith in Grey’s Anatomy. Insomma, nessuno si aspettava o avrebbe mai voluto che diventassero una coppia, ma come amici erano fantastici.
Mi dispiace tantissimo per la ragazza del novellino a cui Montgomery fa da mentore. È davvero scorretto che il tizio – di cui non mi preoccuperò nemmeno di imparare il nome – prenda in giro la povera sciagurata. Lei lo ama davvero e lui la tradisce per andare di nascosto con gli uomini. Insomma, se non sei pronto al coming out, abbi almeno la decenza di restare single e non prendere in giro una ragazza che – tra l’altro – ti ama solo per far vedere a papà che non sei omosessuale.
E, per concludere, vorrei fare solo un’osservazione. Ma quanto è noioso e fastidioso Owen Hunt. Appare in Station 19 per quanto, tre minuti scarsi? Ho provato un bisogno inspiegabilmente forte di sbattere la testa al muro fino a perdere i sensi. Owen mi infastidisce come i bambini che piangono sugli aerei, come i bambini che strillano e corrono sui treni, come i bambini che prendono i capricci al centro commerciale e si gettano per terra dando la loro migliore interpretazione di un pianto greco.
Insomma, Owen mi infastidisce tanto quanto mi infastidiscono i bambini. E mi appello alla clemenza (sperando che sia capace di provarla) di Shonda Rhimes (qui le 5 cose che non le perdoneremo mai) e al potere di Krista Vernoff perché:
a) Non gli facciano mai più mettere piede in Station 19. Non è già troppo aver contribuito a rovinare Grey’s Anatomy, ora deve venire a rovinare anche questa serie? Grazie, ma no grazie.
b) Cerchino un modo per mandarlo via anche da Grey’s Anatomy.
Come avrete capito sia Station 19 che Grey’s Anatomy (qui la recensione della 16×20) questa stagione stanno esplorando e portando all’attenzione di tutti delle complesse problematiche degli Stati Uniti, il che mi sta piacendo molto. Lo trovo interessante e – allo stesso tempo – informativo. Perciò l’episodio mi è piaciuto molto e spero di poter vedere più spesso delle puntate simili, puntate in cui – seppur attraverso dei personaggi fittizi – si cerchi di smettere di scuotere la testa senza fare niente e si cominci ad agire.
Per questa settimana è tutto, alla prossima, halleloo!
P.S. vi lascio di seguito un’immagine di Jackson con la divisa addosso perché quel colore gli mette in risalto gli occhi e la bellezza disumana e celestiale e e noi ce lo meritiamo.