Bentornati con la recensione del secondo episodio della quarta stagione di Station 19. Che dire, dopo una puntata d’apertura stupenda, arriva la prima battuta d’arresto… di già.
La scorsa settimana ho tessuto le lodi di Station 19 per il modo veritiero con cui hanno tratto la questione pandemia e per il forte impatto emotivo che le storyline hanno avuto sugli spettatori. Ma, questa settimana, di credibile c’è davvero poco. E per poco, intendo la coppia Carina e Maya e la storia di Sullivan.
Innanzitutto c’è una cosa che proprio non sono riuscita a processare, a superare. Mi riferisco – ovviamente – ai VFX (Effetti visivi) relativi all’episodio della tigre e ai flashback, dunque, al ringiovanimento degli attori. Già nella scorsa stagione di Grey’s Anatomy avevo avanzato in modo simpatico questa critica, per via dell’ingombrante effetto, simile al filtro bellezza delle fotocamere di alcuni smartphone, che era stato applicato su Teddy Altman e i personaggi a lei affiancati nell’episodio del convegno (qui potete trovare la recensione).
In passato avevo mosso la stessa critica anche per un montaggio fatto durante la puntata de Dia de los muertos in cui vediamo le sagome di Derek, Lexie, Mark e Doc apparire nell’inquadratura come se li avesse inseriti un bambino che per la prima volta prova l’ebbrezza di fare un montaggio con Movie Maker.
Ma, in questa puntata di Station 19, hanno superato ogni limite della decenza. Io capisco che questa serie così come Grey’s Anatomy siano prodotti per la televisione e che dunque abbiano un budget più ristretto e non possono ambire ai VFX del cinema, ma ci sono tanti elementi che avrebbero potuto trovare una soluzione alternativa più efficace e – sicuramente – più conveniente economicamente.
Esempio.
Premessa: vogliamo mostrare Pruitt Herrera da giovane.
Problema: non abbiamo a disposizione Miguel Sandoval e – pur avendolo – è troppo in là con l’età per sembrare un quarantenne.
Risoluzione 1: si fa un casting e si trova un attore più giovane che gli somigli un minimo.
Risoluzione 2: si sfrutta la quinta (dunque si riprende di spalle) di una controfigura e non gli si inquadra mai la faccia come hanno fatto fino all’inquadratura finale.
Lì, in quell’inquadratura finale di Pruitt da giovane c’era così tanto di sbagliato che provare ad elencare tutto ciò che non andava fatto richiederebbe una vita intera, perciò vi lascerò di seguito il frame che parlerà da sé.
Ma è possibile, secondo voi, pagare qualcuno perché realizzi questo obbrobrio? Il corpo è di un attore x, la faccia è quella di Miguel Sandoval, ma photoshoppata male e col filtro bellezza, mi spiegate com’è possibile nel 2020, quasi 2021, fare un lavoro così approssimativo per una serie così seguita come Station 19? Mi sembra assurdo, follia pura!
E non fatemi nemmeno cominciare a parlare della tigre. Capisco le condizioni in cui vengono girate attualmente le serie tv e capisco anche le problematiche che si vengono a creare per portare un animale esotico – seppur ammaestrato – su un set, soprattutto in questo periodo storico. Però, se nel 2012 con La vita di Pi si è riusciti a creare una tigre stupenda e credibilissima con gli Effetti Speciali e un pupazzetto di pezza, perché a otto anni di distanza devo vedere a occhio nudo e senza occhiali il contorno verde del green screen o l’animale sfuocato o con i bordi sfuocati nel tentativo di nascondere l’effetto su una serie che non è amatoriale? È triste.
La prossima volta, al posto di far scappare una tigre da un giardino, fate scappare un criceto. Almeno lì, non avrete problemi a reperire o controllare l’animale o addirittura a ricrearlo al computer, è così piccolo che con un’inquadratura larga, manco ce ne accorgiamo che è finto.
Messe da parte le questioni tecniche passiamo alle storyline. Innanzitutto bocciatissima quella della tigre. Non per la storia in sé, ma per come è stata resa praticamente. E poi, diciamocelo, dopo l’orso della scorsa stagione, potremmo anche evitare di ricadere sempre in questi cliché delle serie sui primi soccorsi. Sono divertenti le prime due volte, già alla terza uno comincia a rompersi le scatole. Si può essere interessanti anche senza necessariamente andare a creare queste storie un po’ improbabili e che sai già come andranno a finire nei primi secondi di presentazione.
La storyline di Andy è un giudizio sospeso. Sono interessata al percorso che sta compiendo e trovo che le sue scene in questo secondo episodio di Station 19 siano state belle, interessanti. Ma stiamo cercando di comporre un puzzle di cui abbiamo ancora troppi pochi pezzi per poter dare un giudizio completo. Staremo a vedere come si svilupperà e nel frattempo facciamo tutti il tifo per lei.
Mi è piaciuta molto la storyline di Maya e Carina, ma ormai sono la mia OTP quindi qualunque cosa facciano, io le amo alla follia. Innanzitutto, complimenti a Stefania Spampinato per l’interpretazione di questa settimana. Nella scena in cui ha il confronto con Warren è stata stupenda, magistrale direi, mi ha commosso. L’abbiamo vista distrutta per l’ennesimo paziente che ha perso, l’abbiamo vista così vulnerabile che sfido chiunque a dire che non ha provato l’irrefrenabile bisogno di abbracciarla, accarezzarle la testa dirle che sarebbe andato tutto bene.
In quel momento è stato fenomenale anche Ben che è riuscito a tranquillizzarla, Ben che – per l’ennesima volta – ci ha dato prova di quanto sia perfetto come essere umano, marito e padre e che – per l’ennesima volta – ci ha dimostrato che lui e Miranda Bailey sono OTP.
Per quanto riguarda Gibson, esattamente come i suoi colleghi, sono sicura che finirà per cominciare una storia con la ragazza delle barrette proteiche. E, chissà, magari questa sarà la volta buona, magari ‘sta volta avrà trovato la persona giusta. Francamente, me lo auguro. Il Gibson manwhore non mi fa impazzire.
Mi è piaciuto molto il breve pezzo di storyline che riguarda Robert Sullivan. Seppure ogni tanto mi dimentichi della sua esistenza, Sullivan in questo episodio ha lasciato il segno. È stato il rappresentante di una comunità tante volte dimenticata, quella degli addicted, di persone dipendenti da qualcosa che in questo particolare periodo – proprio come gli altri – hanno dovuto reinventare un modo per continuare il loro lavoro di astinenza pur essendo più tentati che mai di ricadere nei loro vizi.
Robert nella conversazione con Webber dice una frase importantissima. Gli dice che è solo in quarantena e che se volesse potrebbe fare di nuovo uso di droga perché nessuno lo verrebbe a sapere. E lì mi sono ritrovata a riflettere su quanto quelle parole fossero potenti e vere. E Richard è stato talmente bravo da riuscire a replicare con una frase altrettanto forte.
Tu lo sapresti.
Sono rimasta piacevolmente colpita dal loro breve scambio e sono molto curiosa di vedere come si evolverà questa nuova collaborazione. Inoltre, avremo un altro personaggio di Grey’s Anatomy (qui la recensione della 17×01 e della 17×02 e qui quella della 17×03) che si affaccia – finalmente – in Station 19.
Prima di concludere mi sembra opportuno parlare della situazione Miller-Hughes. In questo secondo episodio hanno avuto un riavvicinamento dovuto anche all’esperienza vicina alla morte sperimentata da Hughes, ma ci sono ancora troppe cose non dette tra loro. Non sono ancora certa che far nascere qualcosa di romantico tra i due sia la soluzione giusta, adoravo la loro amicizia, però chissà, magari scrivono la loro storyline così bene che mi ritroverò a dovermi rimangiare queste parole. Ad ogni modo, spero sia così, altrimenti avrebbero rovinato inutilmente un rapporto straordinario.
Purtroppo questo secondo episodio di Station 19 non è stato all’altezza del precedente, ma siamo solo all’inizio della quarta stagione è c’è ancora tempo per raddrizzare la rotta.
Per questa settimana è tutto, alla prossima, halleloo!