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Station 19 4×07 – Il dolore di Carina DeLuca

Station 19
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Bentornati con la recensione del settimo episodio della quarta stagione di Station 19. A seguito degli eventi accaduti nella puntata della scorsa settimana di Grey’s Anatomy (qui la recensione), sapevamo già che questa sarebbe stata quantomeno un po’ straziante.

Dopo la morte di Andrew DeLuca, morte che sembra ancora impossibile da credere, una di quelle situazioni in cui senti la voce e la saggezza di tua nonna che dall’alto dei suoi anni ti regala una massima: na mort arrbat a crist! Letteralmente traducibile con: una morte rubata, abbiamo aspettato con ansia e con curiosità di vedere come Carina, sua sorella, avrebbe processato il lutto. Da italiana – ammetto – che mi sarei aspettata ancora più melodramma, ancora più sofferenza, urla, tentativi di strapparsi i capelli e il classico battersi il petto dal dolore. Ma non è successo e ce ne dobbiamo fare una ragione.

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Scherzi a parte, l’interaporzione dell’episodio dedicato a Carina DeLuca è stata straziante. È stata straziante perché Stefania Spampinato l’ha reso straziante e perciò bisogna farle un grande applauso. Si è meritata tutti quei bellissimi primi piani col volto sofferente: olio su tela. Bravissima! Inoltre la questione delle superfici l’ho trovata interessante. Anche se c’è stato un elemento che mi ha fatto storcere il naso, si tratta di una piccolezza, ma non ho potuto fare a meno di notarlo. Le scene nella doccia, soprattutto le prime in cui Maya guardava Carina dallo stipite della porta senza effettivamente fare nulla per poi voltarsi e andare via prima che l’altra potesse dirle altro, mi hanno fatto provare una grandissima sensazione di deja vu. Le Calzona, coppia formata da Callie e Arizona, hanno avuto scene similissime ai tempi immediatamente successivi all’incidente aereo.

Ora, siccome le Calzona erano una delle mie coppie preferite di Grey’s Anatomy e siccome Maya e Carina sono la mia coppia preferita di Station 19 dal momento in cui il povero Ripley è venuto a mancare e assieme a lui la coppia con Vic Hughes, non vorrei che diventassero una copia carbone delle gloriose Calzona. Spero vivamente che non sia così e spero che – diversamente da quanto accaduto a Callie e Arizona – questa tragedia e questo dolore non le separi, ma le unisca ancora di più. Daje ragazze, tifo per voi!

Restando in ambito sentimentale e amoroso, mi sembra doveroso parlare dei recenti sviluppi nella vita sentimentale di Vic Hughes. Vic che si sta finalmente lasciando andare alla possibilità di conoscere uno. E non uno qualunque, un altro pompiere bello come un modello da catalogo, bello muscoloso con le braccia che anche con la tenuta da corsa, gli esplodono nella maglietta e quelle spalle da giocatore di rugby che fanno girare la testa. Già che fa il pompiere ha esaudito uno dei sogni erotici – seppur stereotipati – che ogni persona, almeno una volta nella vita, ha fatto. Dopo questo solo il militare o il dottore sexy e per quello basta spostarsi da Station 19 a Grey’s Anatomy.

Ma passiamo all’altra coppia, coppia che dalla scorsa stagione mi sembra la incarnare totalmente la definizione di cringe, parlo ovviamente di Sullivan e Andy. Quando non stavano insieme io li shippavo, ma adesso me ne pento amaramente. Sono imbarazzanti e la maggior parte delle volte in cui mi ritrovo a guardare il mio riflesso nello schermo del computer durante una loro scena, la mia espressione è la stessa di un bambino che ha appena assaggiato il succo di limone per la prima volta.

Sono sicura come la morte che Sullivan si rivelerà un maschio tossico, ricordatevi quello che vi ho detto. Quando ha saputo che Maya aveva scelto Andy per prendere il suo posto, la sua reazione non è stata granché di supporto, anzi, sembrava infastidito. Ha, poi, tergiversato, ma non è riuscito a fregarci come ha fatto con sua moglie che si è lasciata distrarre dalle smancerie. E poi le lamentele per il posto del novellino, insomma ma quanti anni hai, cinque? Sei tornato recluta per colpa tua ora prenditi le tue responsabilità e zitto e muto fai il tuo dovere.

Ho trovato molto interessante la storyline di Ben Warren e il suo paziente con l’HIV. Non solo sono stati protagonisti di un bel momento di umanità, un bello scambio non solo generazionale, ma culturale. Ed era esattamente ciò di cui aveva bisogno Warren, di qualcuno che in qualche modo lo guidasse. Il fatto che questo aiuto sia arrivato da un completo sconosciuto, è stato davvero particolare, speciale.

È stata molto interessante anche la scelta di Dean Miller di rinunciare al concorso da tenente per poter combattere concretamente il razzismo nelle forze dell’ordine americane. Innanzitutto, ci vuole coraggio a fare un passo indietro rispetto alle proprie aspirazioni carrieristiche, soprattutto con una figlia a carico che devi mantenere da solo, ma lui l’ha fatto e ha anche un piano sensato in mente. Sa di non poter effettivamente cambiare la situazione dall’interno perché diventerebbe semplicemente parte del problema e succube di un modo di fare troppo radicato da poter estirpare in una posizione di potere e – soprattutto – responsabilità.

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Non mi sta piacendo la storyline di Jack, credevo che mi sarebbe piaciuto con Inara, ma non mi sembra convinto. Anzi, mi sembra che si stia accontentando di un ripiego, quasi come se si sforzasse di farsela piacere perché gli piace stare in sua compagnia. Come un amico a cui vuoi particolarmente bene e che quando ti dichiara i suoi sentimenti e ti chiede di cominciare una relazione, gli rispondi di sì più perché non vuoi perderlo che per altro. Il che, lo so, è una carognata, ma in quel momento ti sembra la cosa più giusta da fare.

Passiamo oltre e parliamo di Travis che in questo episodio di Station 19 ha avuto un breve, ma intenso momento con suo padre che non riesce proprio ad ammettere di essere gay e inventa furti d’identità. Come quando da adolescente mandavi un messaggio alla crush e se la risposta non soddisfava le tue aspettative dicevi che la tua amica ti aveva preso il telefono e gli aveva mandato il messaggio per scherzo. Comunque, io sono sempre più allibita da quest’uomo. Da una parte vorrei provare a essere quantomeno tollerante considerata l’età del soggetto, gesto dettato in gran parte dal fatto che a interpretare il signor Montgomery è lo stesso attore che interpretava il padre di Sharpay Evans in High School Musical, ma è davvero impossibile e – francamente – è triste.

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