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Stay Close: tante buone idee e troppi problemi. La Recensione della miniserie Netflix

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Messa in onda il 31 dicembre 2021, Stay Close è uno di quei prodotti che si presentano al pubblico con un avvincente teaser nel quale vengono mostrati attimi carichi di intensità emotiva, accompagnati da una musica di sottofondo ricca di pathos. Un prodotto al quale è stato cucita addosso una mise sberluccicante rendendolo perfettamente agghindato per la notte di San Silvestro. Con una flûte di champagne in mano, Stay Close ha chiuso il 2021 e aperto il 2022 di Netflix piazzandosi subito, quasi prepotentemente, nella Top Ten italiana.
Ma non è tutto oro quello che luccica e la brillantezza che illumina la mini-serie inglese è più simile alla luce del Myctophidae, altrimenti noto come pesce lanterna, quella creatura degli abissi che attira gli altri pesci con la sua torcia per poi saziarsene (n.b. il pesce lanterna può arrivare a ingoiare il doppio della sua stessa grandezza). Già, proprio così. Perché con Stay Close si è attirati a guardare quella luce incantatrice che penzola nel buio e quando ci si rende conto che potrebbe essere una trappola ormai è troppo tardi per tirarsi indietro e tanto vale finirla.

D’accordo, detta così la miniserie tratta dall’omonimo romanzo di Harlan Coben, il quale ha firmato un contratto quinquennale, milionario, con Netflix per lo sviluppo di quattordici (!) adattamenti, tra serie e film, da sue opere letterarie, potrebbe sembrare una cosa spaventosa. No, non lo è. Non è e non sarà sicuramente la peggiore del 2022, ma di certo nemmeno la migliore, su questo potete metterci tranquillamente la mano sul fuoco.
Stay Close è una miniserie che lascia pensieroso lo spettatore il quale, al termine dell’ultima puntata, l’ottava, ha più domande che risposte e potrebbe sentire il desiderio di comprare il libro per vedere di capirci qualcosa di più e magari confermare, ancora una volta, quello che tutti sanno: i libri sono migliori degli adattamenti televisivi o cinematografici.

Eppure Stay Close avrebbe (quasi) tutte le carte in tavola per essere un buon prodotto a cominciare da una coppia di registi di lunga e consolidata esperienza soprattutto nel mondo delle serie televisive: Daniel O’Hara e Lindy Heymann. Per poi proseguire con una colonna sonora composta da un grande David Buckley, capace di accompagnare i momenti salienti con melodie azzeccate, ricche di significato e molto avvolgenti. Ai quali aggiungere il cast composto dalla protagonista Cush Jumbo (The Good Wife e The Good Fight, Torchwood), nei panni di Megan Pierce, madre e compagna modello ma dal passato oscuro e offuscato; da Richard Armitage (Lo Hobbit, Berlin Station, The Stranger), nei panni di un fotografo inconcludente e sciatto, abbandonato dal suo più importante amore e mai più ripresosi; da Daniel Francis (C’era una volta) nei panni del compagno fedele e dall’etica e moralità senza macchia; da James Nesbitt (Lo Hobbit) nei panni di un investigatore della polizia incompiuto e dal passato incasinato ma ligio al dovere e un po’ (tanto) boomer; e Sarah Parish (I Medici e Bancroft) nei panni di una malata terminale alla quale la vita ha concesso l’opportunità dell’ultimo, vero, amore.
A Stay Close poi, non manca nemmeno la storia in realtà perché l’intrigo c’è, il passato che torna a galla anche e i colpi di scena, non molti ma ben distribuiti, portano avanti l’azione. Quindi? Qual è il problema di questa mini-serie?

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Tutto il contorno, i dettagli, de facto e non è cosa da poco.
Intanto va tenuto conto che il libro è ambientato negli Stati Uniti, un paese che è grande settantacinque volte l’Inghilterra dove, invece, si svolge la miniserie. Questo è un particolare non da poco considerato che la protagonista, decisa a sparire e cambiare totalmente vita, vive a trenta minuti di auto dal suo ex luogo di lavoro (un lounge bar con tanto di spogliarelliste, molto americano e poco british) e non incrocia mai, nemmeno per sbaglio, per quasi vent’anni, nessuna delle sue ex colleghe o la sua datrice di lavoro, né tanto meno il suo ex fidanzato i quali, per altro non ne denunciano la scomparsa né tanto meno sembrano decisi a ritrovarla cercandola un po’ in giro limitandosi a giustificare la sparizione (e la non ricerca) come cosa “normale” nell’ambiente.

Poi la polizia la quale, per dare una svolta all’indagine nella quale annaspa in maniera grottesca, si affida alla curatrice di un sito dedicato a persone scomparse e solo grazie a lei riesce a trovare il collegamento tra quindici o sedici sparizioni avvenute tutte nello stesso periodo dell’anno e tutte nella stessa zona. Ma non solo! Polizia che inspiegabilmente perde uno dei suoi ufficiali di alto grado e non lo cerca a casa, non ne traccia il telefono e ne scopre, in una scena di dieci secondi, alla fine, il cadavere nei sotterranei del commissariato!
O gli agenti deputati a proteggere la protagonista e la sua famiglia che la vedono parlare con uno sconosciuto, dall’aria ben poco rassicurante, che l’ha trovata in un luogo sicuro e protetto (ma non prima, of course) e non gli chiedono nemmeno i documenti limitandosi a interrogarli se sia tutto a posto, ricevendo in risposta il classico sì, chiarificatore e tranquillizzante.

Cush Jumbo

Per non parlare di una coppia di psicopatici (cacciatori di taglie? investigatori privati? assassini prezzolati?) canterini e ballerini che improvvisamente compare sulla scena e comincia ad ammazzare tutto quello che può declamando, tra una follia e l’altra, regole di convivenza e massime di vita così banali da far accapponare la pelle.
Non dimenticandosi della vecchia suocera della protagonista, affetta da demenza senile o Alzheimer, la quale non fa che tempestare di telefonate, in preda al panico, la nuora perché visitata dal passato sotto forma, non si capisce bene, se di ricordi o di persone in carne e ossa.

Insomma, l’elenco dei dettagli che non vanno è davvero lungo e riguarda un po’ tutti i personaggi immischiati nella vicenda. Tutti, infatti, prima o poi compiono qualcosa che non ha senso. E le scene finali, dove si cerca in qualche modo di dare una spiegazione, sono fatte senza troppa cura né logica e, soprattutto, senza conseguenze. Senza fare spoiler è davvero possibile che un occultatore di cadavere la passi liscia e alla polizia non venga in mente di dragare lo stesso fiume (o lago) dove ripescano buste con pezzi di un morto?
Stay Close assomiglia a una di quelle storie buttate giù da uno scrittore di gialli che ha buone idee, senz’altro, ma al quale mancano le parti di cucitura e di collegamento tra una scena e l’altra. A Stay Close, purtroppo, non bastano i bravi attori capaci di regalare emozioni forti e verosimili, soprattutto quando scavano nel loro passato (seppure pieno di fatti strani e comunque lacunoso), perché l’amalgama che la tiene insieme non è sufficientemente forte per sorvolare sulle magagne troppo evidenti. Stay Close non è brutta ma deludente e ti lascia in bocca un fastidioso amarognolo per quello che avrebbe potuto essere ma che in realtà non è stata. Una sensazione meh che ti porta a chiederti, alla fine, se ne sia davvero valsa la pena.

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