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Storia della mia famiglia – La Recensione della nuova serie tv italiana su Netflix: “There is entusiasmo”

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Bella l’umanità. È bella la varietà di persone, caratteri, esperienze che ci contraddistinguono; è arricchente il fatto di poterci confrontare con persone, caratteri ed esperienze diverse dalle nostre. Ma per quanto diversi, ci sono sensazioni, emozioni e momenti di vita che in qualche modo ci accomunano. L’amore, la tristezza, la paura sono emozioni che proviamo tutti e che riducono ciò che di diverso abbiamo l’uno dall’altro. Anche la morte, per quanto triste, ci accomuna, così come la possibilità di perdere qualcuno che amiamo. Può sembrare paradossale, ma la morte è forse l’esperienza umana che più di tutte ci rende uguali. Ed è proprio attorno all’esperienza della morte, propria e altrui, che nasce e si sviluppa Storia della mia famiglia.

Distribuita il 19 febbraio su Netflix, con la direzione di Claudio Cupellini e l’ideazione di Filippo Gravino – mente che sta anche dietro la recentissima ACAB – La serie (qui la recensione) – Storia della mia famiglia è un viaggio dentro il dolore della perdita e dentro la consapevolezza di doversene andare prima di quanto si vorrebbe. Eppure, contemporaneamente, è anche una serie gentile, che può toccare corde scoperte ma lo fa con la semplicità e la genuinità di chi sa che per qualcuno possono essere tali. Perché ogni tema, anche quelli che fanno più male, può essere trattato in diversi modi, e questa serie decide di raccontare la morte passando tramite la vita. Un modo probabilmente non del tutto convenzionale, ma sicuramente efficace.

Storia della mia famiglia: la trama

Roma, 2024. Fausto è un padre single con due figli, Libero ed Ercole. Non se ne dice mai l’età precisa (o forse me la sono persa mentre ero impegnata ad asciugarmi il viso dalle lacrime, chissà), ma i bambini sono in età da scuola elementare, mentre il padre non supera i quaranta. Fausto ha il cancro a uno stadio terminale, non gli resta molto da vivere e con questa realtà facciamo i conti praticamente subito, noi e lui. La sua giornata tipo consiste nell’aprire gli occhi e rendersi conto di essersi svegliato ancora. Subito dopo indossa il suo sorriso più grande e va a svegliare i bambini. Lavata mattutina, colazione e pronti per la scuola con un’energia a dir poco contagiosa. Poi, una volta salutati i bambini, si fanno i conti con una realtà diversa.

Una scena di Storia della mia famiglia
Credits: Netflix

La realtà di chi vive con stanchezza perenne e frequenti crisi respiratorie. Ma soprattutto, la realtà di chi ha bisogno della sicurezza che i propri figli avranno una famiglia sulla quale contare anche quando lui non ci sarà più. Fausto questa famiglia la costruisce. C’è quella di sangue composta da Lucia e Valerio, mamma e fratello di Fausto. Lei ha cresciuto i figli da sola portando nelle loro vite diversi uomini sbagliati; lui ha problemi di droga alle spalle e rabbia e rancori ancora sepolti. Entrambi, comunque, pieni di amore per Fausto e per i bambini, anche se non sempre propensi a dimostrarlo. Una famiglia di sangue alla quale si aggiunge una famiglia per scelta, con gli amici di sempre Demetrio e Maria. E dato che l’amicizia, proprio come l’amore, non è sempre facile da gestire, anche i rapporti tra loro e con Fausto non sempre filano lisci come l’olio.

Lucia, Valerio, Demetrio e Maria diventano così una famiglia per forza ma anche per amore.

Quello di Storia della mia famiglia è un nucleo che nulla ha da invidiare a quelli raccontati da Ozpetek nei suoi film, persone non necessariamente imparentate ma dai legami intensi. Una famiglia che però come tale deve tener conto anche delle singole individualità di ognuno per riuscire a funzionare. Cosa, questa, valida sempre, ma ancora di più nel contesto in cui ognuno di loro deve cercare di affrontare il proprio personale lutto e contemporaneamente mettere davanti al proprio il benessere dei figli di una persona molto vicina che non c’è più. Ecco, detta così può sembrare una tragedia. E in parte lo è, ma non viene mai raccontata come tale.

In ogni episodio si alternano passato e presente, un racconto che copre con grande equilibrio ciò che precede e segue la morte di Fausto. Con lo scorrere dei 6 episodi, 4 dei quali focalizzati sulle dinamiche di un personaggio in particolare, scopriamo la storia che c’è dietro il matrimonio fallimentare tra Fausto e Sarah, la madre dei suoi figli. Scopriamo vecchi rancori familiari, vecchie dinamiche di amicizie che sono sempre state a un passo dall’essere qualcosa di diverso, ma non lo sono mai diventate. Lo scopriamo pian piano, in un racconto passato-presente che non è mai forzato e che rispetta sia i tempi della narrazione che quelli degli spettatori che della narrazione fruiscono.

A rendere così piacevole un racconto potenzialmente molto pesante sono due fattori.

Credits: Netflix

Il primo è lo stile narrativo, che ha come obiettivo raccontare che, al di là della tragedia, c’è sempre la vita. Fausto viene raccontato come un uomo pieno di vita, sorridente, entusiasta e senza paura. Uno che si butta, che la vita la morde, che non si fa frenare. Ciò non toglie i suoi lati più grigi, i comportamenti sbagliati, le volte in cui avrebbe potuto e dovuto comportarsi in modo diverso. Eppure anche da questo punto di vista Storia della mia famiglia ha saputo compiere le scelte giuste, non bypassando i difetti e riuscendo a non cadere mai nel racconto di una persona morta della quale, in quanto tale, si ricorda sempre e solo il buono. Ma tra il bello e il meno bello della sua personalità, a Fausto nemmeno l’idea della morte toglie la vita. E questo vale anche per le persone che gli sopravvivono.

Fattore numero due: il cast. Nessuna scelta è stata lasciata al caso e ognuno dei protagonisti funziona bene sia nella singola interpretazione, sia nella relazione con gli altri personaggi. Eduardo Scarpetta, molto apprezzato dalla critica per il modo in cui ha portato sugli schermi Fausto, ha messo sul piatto un’energia che è riuscito a dare al suo personaggio in ogni momento, anche quando non si sa da dove la stia tirando fuori. Cristiana Dell’Anna ha dato un’interpretazione sicuramente più comica di quella con la quale è stata conosciuta dal grande pubblico – Patrizia di Gomorra – ma ancora una volta ha dimostrato una credibilità non da poco nel dare vita a donne dalla corazza forte e dall’animo umano. E come non parlare di Massimiliano Caiazzo, che a mio parare riesce pienamente nel tentativo di smarcarsi da Carmine di Mare Fuori.

Tirare le somme di Storia della mia famiglia non è facile.

L’ho cominciata con l’errata convinzione che fosse una miniserie e oggi mi ritrovo a vivere l’ansia di chi non sa come continuerà. Perché sì, deve continuare. È una serie che ho apprezzato per diversi motivi che hanno reso ai miei occhi trascurabili anche le imprecisioni. Un esempio? La difficoltà a far percepire il tempo che passa sul volto di alcuni dei personaggi. E anche, lasciatemelo dire, l’estrema maturità dei bambini che in diverse occasioni non sembrano tali. Io di bambini non ne conosco troppi, ma considerando quanto io a volte ancora mi senta tale alla veneranda età di 29 anni gli avrei lasciato più spazio da questo punto di vista. Eppure, a prescindere da tutto, sono ancora convinta che Storia della mia famiglia sia un altro passo verso una nuova serialità italiana più vera, credibile e di qualità.

Cristiana Dell'Anna ed Eduardo Scarpetta in una scena di Storia della mia famiglia
Credits: Netflix

Eccola lì, la verità. Ma cosa ne è la testimonianza più diretta? Le lacrime che ho tirato fuori in più di un’occasione, sempre però accompagnate da una buona dose di sorrisi. Perché la vita continua anche quando tutto sembra andare male e non poter migliorare. Continua anche quando la mancanza si fa sentire forte e chiara e spezza il fiato. Continua quando, finalmente, le cose cominciano ad andare di nuovo meglio. Si torna a respirare e si torna anche a ridere. Perché sotto sotto, che cos’è la vita se non la giusta combinazione tra lacrime di tristezza e lacrime di gioia?