Nel corso degli episodi è apparso sempre più chiaro come Suburra sia una storia (anche e soprattutto) di legami familiari. E di come, a un certo punto, tali legami si siano spezzati cambiando il corso naturale degli eventi. Generando, potremmo dire, una falla nel sistema.
È questo che la ribellione – impreventivabile – di Aureliano, Spadino e Gabriele ha rappresentato in un posto che inesorabilmente tende a identificarsi, in una purtroppo calzante sineddoche, col suo quartiere antico più degradante. La Citta Eterna che, amministrata dal Samurai di turno, si spoglia dei suoi abiti più sfarzosi per indossare gli stracci della suburra. Ed è così da duemila anni.
Negli ultimi due episodi di questa prima stagione diventa ancor più evidente quanto le perverse dinamiche familiari si intreccino con gli eventi della Serie. La famiglia che diviene al tempo stesso croce e delizia, forza e debolezza, stimolo e fardello.
Lo sa bene Samurai, che ha deciso deliberatamente di non avere figli, credendo di ridurre a zero i suoi punti deboli. Ma i genitori non puoi scegliere di non averli. E quella anziana madre a cui riserva cure tanto amorevoli non è solo fonte dell’unica traccia di bontà presente in lui ma anche la dimostrazione che, quello che pensavamo fosse il deus ex, è a sua volta un gradino intermedio nella piramide alimentare.
Curioso come il rapporto dello spietato manovratore di fili con la madre sia anche l’unico veramente incontaminato in tutta Suburra. Tutti gli altri legami parentali della Serie non sono altro che castelli di carte. E gli ultimi due episodi si divertono a mostrarne il precario sviluppo in maniera antitetica l’uno dall’altro.
La nona puntata, ad esempio, mostra una vicinanza tra i fratelli Adami che non credevamo possibile alla luce di quanto maturato in precedenza. Un’impressione che viene suggerita sin dall’opening, con la corsa disperata in auto che cita più o meno consapevolmente Walter White nella 5×13 di Breaking Bad, per poi essere confermata sul finale: qui Livia mostra piena fedeltà ad Aureliano, arrivando a far uccidere Quirino, il suo compagno, reo di aver complottato con gli zingari.
La sequenza è di grande impatto, con il volto della donna in primo piano che si allontana dalla scena del crimine, ma di fatto un fuoco di paglia. Nel decimo e ultimo episodio il futuro Numero 8 non si rivela disposto a condividere il potere che, finalmente, è nelle sue mani. L’idillio familiare rivela, così, l’inizio di una guerra intestina senza esclusione di colpi. A farne le spese è Isabelle, la donna di Aureliano, uccisa proprio da Livia, aprendo scenari di vendetta inimmaginabili per la prossima stagione.
Iter opposto, ma ugualmente sintomatico della caducità dei rapporti familiari in Suburra, è quello di Spadino. Nel penultimo episodio egli trova il coraggio di distaccarsi definitivamente da un retaggio e familiare e culturale che non può appartenergli, salvo abbracciarli completamente, Angelica compresa. Anche in questo caso, tuttavia, è soltanto apparenza: egli, in realtà, ha abbracciato se stesso, non preoccupandosi più di nascondere la sua identità.
Chi invece vuole seppellire i suoi scheletri sotto un’improbabile divisa è Gabriele, che ha affrontato la morte del padre con reazioni contrastanti. Difficile stabilire dove si ferma il rimorso, puro e semplice, e dove comincia l’opportunismo nel suo comportamento. L’unica certezza è che, anche se intende passare dalla parte della legge, uno così avvezzo a sguazzare nel letame di cavallo (per riprendere la metafora degli episodi precedenti) ha tutto da perdere. E quella che riflette nello specchio è solo l’immagina di chi vorrebbe essere ma che non sarà mai.
Nord. Sud. Ovest. Est. Roma è un gigante che di notte ti prende e ti inghiotte
Per tutta la stagione abbiamo assistito alla graduale metamorfosi di Cinaglia, evoluzione sottolineata dal cambio di scarpe dell’episodio 8, in un’altra allegoria particolarmente “calzante”. Egli è dunque il prodotto di una città che arriva a corrompere tutto e tutti. Nella suburra, pertanto, nessuno è innocente, e il male non guarda in faccia ad anima viva.
L’ex moglie del politico è di nuovo attratta da un uomo che ha finalmente trovato il suo posto nel mondo, per quanto spregevole sia; la stessa attuale moglie, apparentemente innocua, lo esorta a fare tutto il necessario purché sia felice, dandogli proprio la forza necessaria per spingersi fino in fondo. Logico che Amedeo, che nel male ha trovato tutto quello che ha sempre desiderato, riesca a nascondere tutto il marcio senza problemi (“Come dorme la notte?” “Come un pupo“).
Diventa legittimo chiedersi: quanto c’è di realistico nelle vicende di Suburra? Davvero esiste una Roma così marcia e corrotta? Chiaramente la Serie estremizza una situazione che affonda, in ogni caso, le sue radici nella realtà. A testimonianza di ciò possiamo prendere a esempio il modo in cui volge la storyline della Monaschi, alle prese con il business degli immigrati. È probabile che il tema verrà sviluppato nella seconda stagione, parallelamente al rapporto della donna con la sua madre spirituale, quella Contessa così abile a muoversi nell’ombra.
Il rapporto più interessante, sia per l’eccezionale interpretazione dei rispettivi attori, che per la caratterizzazione dei personaggi, è quello tra Aureliano e Spadino. La rottura del loro idillio è inevitabile, così come l’escamotage che la causa: il bacio tentato dallo zingaro al futuro Numero 8.
Il rifiuto, violento, di Aureliano costringe Spadino a una scelta tra potere e amore, lui che con il nuovo capo di Ostia credeva di trovare entrambi. È curioso come ciò che funziona meglio nella Serie non sia per niente presente nel film. Nella pellicola di Sollima, infatti, Aureliano uccide Spadino con freddezza e indifferenza, sentimenti anni luce distanti da quanto abbiamo visto in questa stagione.
Dovrà essere quindi svolto un lavoro incredibile per cercare di cancellare ogni barlume di rispetto tra i due. Rispetto presente anche nel loro ultimo incontro, dato che l’uno, a stretto giro di posta, ha l’opportunità di uccidere l’altro e viceversa. Nessuno lo fa proprio perchè, in virtù di quello che c’è stato (per Spadino era amore, per Aureliano amicizia e riconoscenza) era giusto darsi un’altra possibilità (“‘A prossima volta, Spadi’…”). D’altra parte, sono pur sempre (ancora) criminali atipici rispetto agli standard della suburra.
Ma lo stesso incontro tra i due, per quanto foriero di emozioni e di indubbia qualità stilistica, è anche sintomatico di una Serie che si autocondanna a convivere con i propri limiti. Non viene infatti specificata la ragione per la quale, due che si erano lasciati malissimo nell’episodio precedente, si incontrino nel capannone (peraltro armati e sull’attenti). Una forzatura spiegabile con la sola esigenza narrativa di dare una chiosa al loro rapporto.
Così, se la 1×09 si rivela una puntata ottima, sia per la caratura delle scene d’azione, che per i temi trattati, risultando la migliore di tutta la stagione, la 10 brilla nel suo epilogo: la panoramica sui personaggi principali, accompagnata dalla splendida colonna sonora firmata Piotta, 7 vizi capitale è effettivamente un momento notevole. Che non può tuttavia mascherare quelle coercizioni che hanno fatto da contorno a tutta la prima stagione.
In definitiva Suburra è una serie con difetti ben radicati.
La poca personalità di Acquaroli, forse non aiutato dalla scrittura del personaggio, decisamente poco sfaccettato e di una freddezza facilmente scambiabile per piattezza, toglie credibilità a un personaggio chiave come Samurai; il cast, in generale, non è qualitativamente omogeneo: laddove spiccano interpretazioni eccellenti (Borghi, Ferrara, Nigro, Dionisi) si contrappongono performance anonime (Gerini, Valdarnini) o disastrose (Aita); anche la regia, in particolar modo nelle prime puntate, ha rasentato l’imbarazzo.
Tuttavia, al netto dei limiti, l’esperimento Netflix può dirsi riuscito. Suburra ha il coraggio di osare e di distaccarsi dal politically correct, riuscendo anche a tenersi a debita distanza dai clichè che in genere dominano le fiction italiane. Tutto ciò a cui assistiamo è in funzione della trama principale (e non viceversa come accade, ad esempio, in 1992). Il risultato è un’apologia del male necessaria e democratica: necessaria, perche specchio tutto sommato fedele di una Roma che non riesce più a sfuggire alla sua sineddoche, democratica perchè mette alla gogna ogni individuo o entità, senza eccezione alcuna.