Ha da poco fatto il suo debutto su Netflix la seconda stagione di Sweet Tooth arrivando a conquistare la seconda posizione nella top 10 delle serie tv più viste in Italia e sicuramente il primo posto nella top 3 degli argomenti più discussi tra me e la mia coinquilina. Non avendo la più pallida idea di quali siano effettivamente i dati relativi all’audience di questa seconda stagione, contando che è uscita poco meno di una settimana fa, posso dirvi con assoluta certezza che in casa mia sta raggiungendo picchi di interesse, gradimento e audience molto alti e già questo mi sembra un dato estremamente importante e che vi farà intuire – sommariamente – la mia opinione sulla seconda stagione, considerata la precisione con cui io e la coinquilina la stiamo sviscerando e sezionando nei nostri discorsi tra il pranzo, la pianificazione dei turni delle pulizie e la cena.
Ma torniamo a noi e facciamo un piccolo recap. Nella prima stagione di Sweet Tooth siamo stati introdotti in questo mondo fantastico, un mondo in cui una pandemia ha quasi sterminato la popolazione e ha portato alla nascita di esseri umani ibridi: per metà bambini per l’altra animali. Convinti che la causa della pandemia siano proprio gli ibridi, una squadra di cacciatori soprannominati The Last Men cercheranno di sterminarli tutti. Protagonista delle serie è proprio uno degli ibridi, Gus – per metà cervo – che per anni ha vissuto in tutta tranquillità in una foresta di Yellowstone assieme a quello che credeva fosse suo padre ma che scopre essere l’uomo che con la donna che credeva fosse sua madre, ma che non ha mai visto se non quand’era ancora neonato, la dottoressa Gertrude “Birdie” l’ha creato in laboratorio.
A seguito della morte del padre e per via della caccia agli ibridi, Gus si trova costretto a confrontarsi con un mondo sconosciuto che però lo incuriosisce. Sul suo cammino trova diversi amici e alleati tra cui Jepperd o anche detto “Big Man“, un ex campione di football che diventa suo amico e “Bear” soprannome di Becky, la ragazza che guida l’esercito animale e che – dopo essere stata spodestata dal suo gruppo che ricorda in modo davvero impressionante una delle tante versioni cinematografiche dei bambini sperduti di Peter Pan – si aggiungerà al duo Gus-Jepperd.
Sul concludersi della scorsa stagione, inseguiti dai Last Man, avevamo visto Becky riuscire a sfuggire alla cattura, Gus essere preso assieme a tutti i bambini ibridi che vivevano allo Zoo con Aimee e non sapevamo che sorte sarebbe toccata a Jepperd, ferito gravemente dalla milizia anti-ibridi.
In questa seconda stagione della serie Netflix Sweet Tooth ci siamo finalmente tolti il dubbio e la preoccupazione più grande: come sta Jepperd? Fortunatamente è sano e salvo e il merito è di Aimee. Aimee che già nella scorsa stagione abbiamo potuto osservare e studiare fino a giungere alla conclusione che è una grande donna. Coraggiosa, determinata, forte e soprattutto estremamente buona. Per proteggere i suoi figli, ovvero tutti gli ibridi che ha accolto, l’abbiamo vista fare di tutto.
E mentre Jepperd e Aimee cercano in tutti i modi di tirare fuori i ragazzi dallo zoo e di portarli al sicuro, Bear dopo aver parlato con Birdie si mette alla ricerca di Gus e lo fa incontrando sul suo percorso nuovi e vecchi amici, lo fa mettendosi al servizio dei Last Men, ma solo per farsi portare dal bambino e riuscire a liberarlo. Nel suo percorso la vediamo schiudersi poco a poco e lasciarci approfondire la sua conoscenza. Capiamo davvero il vero motivo per cui ci tiene così tanto a salvare Gus e quel motivo è perché proietta in lui e spera di trovare allo stesso modo sua sorella Wendy, proprio la stessa Wendy che non sa che troverà con il suo piccolo amico, nonché figlia di Aimee.
Nel frattempo vediamo i Last Men e il dottor Singh impegnati nella ricerca di una cura al morbo, ovvero il virus che sta sterminando la popolazione. Ma nonostante i tentativi e gli ibridi uccisi – per coprirsi il didietro – in nome della scienza, ma senza un briciolo di umanità, la cura non l’hanno trovata e sono rimasti con un pugno di mosche e la coscienza ancora più sporca. Certo, per i villain non è mai un problema, ma noi che li osserviamo dobbiamo necessariamente ricordar quanto ci facciano ribrezzo certe cose seppure siano finte e ovviamente surreali. Perché ok che il virus sta sterminando la razza umana, ma uccidere dei bambini per ottenere la cura è qualcosa di non contemplabile in nessun universo. E in questa seconda stagione della serie di Netflix abbiamo visto un personaggio nello specifico assumere questa posizione e non spostarsi di un millimetro da lì, Rani.
Nonostante i tentativi di sterminare gli ibridi, quei ragazzini sono più svegli degli adulti e riescono alla fine a fuggire, aiutati anche da Jepperd e facendo soprattutto affidamento sulla particolarità di ciascuno di loro. Ritrovate anche Wendy, Aimee e Bear, sembra che questo gruppo così peculiare abbia finalmente trovato il lieto fine, ma sappiamo bene che non è oro tutto ciò che luccica e, come ci si aspetta in questi casi, gli eventi si complicano e – a fine stagione – perdiamo Aimee che contrae il virus che inevitabilmente la conduce alla morte. Una morte sofferta e un po’ ingiusta, ma di una drammaturgia geniale e di forte impatto: ne parleremo un po’ più avanti.
Nella seconda stagione di Sweet Tooth vediamo uno sviluppo notevole dei personaggi. Primo tra tutti Gus, il nostro ingenuo golosone che a furia di prendere schiaffi metaforici e non dalla vita, nonostante la giovanissima età è costretto a fare i conti con delle realtà tragiche che lo portano a cambiare. Vediamo un progressivo aumento della consapevolezza nel suo personaggio che si lascia alle spalle la genuina innocenza dell’infanzia che l’ha caratterizzato per tutta la prima stagione e fino al momento in cui gli tagliano le corna. Ed è proprio questo il turning point per questo personaggio. È questo il momento che lo porta a indurirsi, a crearsi una corazza e a perdere la sua spensieratezza.
Anche la prigionia fino a quel momento l’aveva vissuta avendo coscienza del luogo e di ciò che il dottor Singh e i Last Men stessero facendo agli ibridi, ma aveva mantenuto un atteggiamento sempre positivo, un atteggiamento caratteristico di chi ancora vede la luce in fondo al tunnel, cosa che perde tragicamente quando viene mutilato perché la perdita delle corna è proprio questo, una mutilazione, un tentativo di spersonalizzare e di abbattere senza ritorno il nostro protagonista.
C’è solo un momento in cui – per un attimo – lo vediamo ritornare il vecchio Gus, quello di sempre, ed è quando arrivati nella foresta di Yellowstone, arrivati alla sua vecchia casa lo vediamo preparare quasi in stile Piccola Peste o Kevin McCallister di Mamma ho perso l’aereo le trappole per i suoi nemici con un montaggio che mette allegria e fa sorridere. Ma poi, quando la resa dei conti inizia, Gus perde di nuovo quell’aura fanciullesca che tanto ce l’ha fatto amare e torna a incupirsi. Glielo leggiamo nello sguardo anche al suo risveglio dopo essere stato colpito dalla freccia del generale Abbot e sappiamo che – come suo solito – ce la metterà tutta per raggiungere il suo prossimo obiettivo, l’Alaska e iniziare il nuovo capitolo (e forse l’ultimo) della sua storia: la ricerca di Birdie.
Poi c’è Jepperd. Jepperd che all’inizio della scorsa stagione aveva su questa maschera da duro inscalfibile e che – però – già verso la fine cominciava a mostrare la sua vera indole. Nonostante cercasse di mantenere un certo contegno e distacco, Big Man era ed è un buono, uno dei buoni veri. In questa seconda stagione di Sweet Tooth lo vediamo affrontare la perdita di sua moglie e suo figlio, raggiungere la consapevolezza di essere stato raggirato dai Last Men e soprattutto comprendere l’affetto che ormai lo lega a Gus. E il suo momento di trasformazione, il suo turning point è quando si riferisce a Gus con “he’s my kid“, gergalmente “è mio figlio” dettaglio che sottolinea un senso di affetto dichiarato.
E la storia di Big Man in Sweet Tooth è questo, un progressivo spogliarsi della sua armatura e perdonarsi per la fine tragica a cui sono andati incontro sua moglie e suo figlio, perdonarsi per il passato crudele che ha dovuto necessariamente costruirsi nella speranza di poter ritrovare la sua famiglia e che, invece, l’ha condotto da Gus, da Bear, da Aimee e dal resto dei ragazzini che hanno creato la sua nuova famiglia.
Qualcosa di simile vediamo accadere anche in Becky. Becky o “Bear” che è dichiaratamente una giusta, una che ha sempre avuto chiari i suoi obiettivi e che – in questa seconda stagione della serie fantasy di Netflix – è riuscita a raggiungere il suo principale: ricongiungersi con sua sorella. Ed è ironico che per ricongiungersi con sua sorella biologica abbia dovuto perdere la sua famiglia e sua sorella per scelta, ovvero l’Animal Army e Tiger. C’è stato un momento nello specifico tra lei e Aimee che ho apprezzato particolarmente ed è quando Aimee le dice che è un punto di riferimento per tutti i ragazzini. Sappiamo che la donna ha contratto il morbo, sappiamo che non ha vita lunga e questo discorso sembra portare alla conclusione che – in qualche modo – Aimee Eden ha scelto la sua succeditrice ed è Bear.
Aimee che in questa seconda stagione non si è fermata un attimo, si è battuta fino all’ultimo istante, fino all’ultimo secondo per mettere in salvo la sua famiglia. Aimee che – se penso a lei come una normale spettatrice – meritava un finale diverso, ma che dal punto di vista di una persona con un minimo di competenze nel ambito dell’audiovisivo, che deve giudicare non poteva che meritare questo finale. La sua è un’uscita di scena drammaturgicamente necessaria per introdurre un nuovo personaggio che sarà centrale, per dare la possibilità a lei di diventare la nuova “madre” del gruppo e che – in qualche modo – già lo è dal principio, ovvero Birdie. Ed è un’uscita di scena in grande stile, piena di dignità perché Aimee si è battuta fino alla fine per le persone che amava e si è assicurata che tutti fossero al sicuro prima di esalare l’ultimo respiro.
Una tragica svolta, invece, è quella del personaggio del dottor Singh. Il dottor Singh che senza ombra di dubbio era un buono e mai ci saremmo aspettati di dover mettere in discussione le sue motivazioni. Sono stati bravi a farci bere la storia del marito che per salvare la moglie farebbe qualunque cosa e poi hanno ribaltato le carte in tavola. Singh non è così ossessionato dal trovare una cura perché vuole salvare sua moglie. Di certo una delle motivazioni è questa, ma ormai è diventata una questione di principio e forse anche di hybris. La salvezza c’entra, ma non è il punto, il punto è la scienza, è riuscire a trovare una cura a tutti i costi per una latente megalomania, un latente complesso di Dio scatenato forse dalla convinzione di aver trovato la fantomatica cura seppure gli eventi successivi ci hanno dimostrato che non è così.
Quella di Singh ormai è un’ossessione ed è proprio questa che l’ha condotto a mettere da parte la moralità, a scegliere di uccidere dei poveri bambini per ottenerla. Qualcosa che, invece, sua moglie Rani non ha potuto tollerare dal momento in cui ha capito da dove derivasse la cura a cui il marito stava lavorando. E il suo è uno degli sviluppi più belli tra i personaggi della serie Netflix. Sì perché Rani assieme all’aiuto del buon Johnny (altra perdita che da spettatrice mi fa soffrire tremendamente) sembravano essere gli unici a comprendere che quegli ibridi erano bambini e non meritavano di essere uccisi, neppure per la cura al virus che ha sterminato quasi il mondo intero.
Perciò nel momento in cui a fine stagione vediamo Rani cavalcare verso nuovi orizzonti, finalmente scampata alla prigionia dei Last Men, ma anche di suo marito e della sua ossessione, va a godersi il breve tempo che le rimane da vivere in totale libertà. Idem per Johnny che con la morte trova anche lui la libertà, la libertà dal controllo del fratello e dalle pretese che aveva per lui. Certo, avremmo preferito saperlo vivo e vegeto cavalcare verso nuovi orizzonti assieme alla sua nuova amica Rani, ma purtroppo – e come diceva in quella canzone Loredana Bertè – “è andata così“.
Ci tengo a dire una cosa in merito a un altro personaggio e poi vi prometto che andrò avanti con questa recensione e smetterò di focalizzarmi su piccolezze. Voglio parlarvi di Birdie. La prossima stagione – abbiamo capito – sarà incentrata su di lei. I nostri eroi si sono messi in cammino per raggiungerla. E non sono gli unici. Viste le ultime due sequenze dell’episodio conclusivo di Sweet Tooth 2, è facile capire chi sarà il cattivo nella prossima stagione, il dottor Singh ed è chiaro che anche lui sia diretto in Alaska da Birdie. Non so esattamente cosa ci possiamo aspettare da lei nella prossima stagione però sono positiva. Sarà bello esplorare il rapporto tra lei e Gus e capire in che modo si collocherà nel gruppo.
Sweet Tooth 2 ci conferma di essere un buonissimo prodotto targato Netflix. Un prodotto stratificato con diverse chiavi di lettura ben raccontate da una scrittura che con ironia, leggerezza e anche intensità riesce a bilanciare bene lo stile fantastico della serie e a inserire nel racconto finzionale elementi estremamente reali, anche con l’uso di easter egg come ad esempio le battute sui pipistrelli che scatenano pandemie, un chiaro riferimento che ho accostato alla nostra personalissima e tremenda versione del morbo, la pandemia di Coronavirus. Non c’è bisogno di saperne un po’ di sceneggiatura per capire che nulla viene scritto per caso e sono certa che quei riferimenti fossero voluti.
Di questa serie apprezzo molto la scrittura perché è estremamente versatile. Scrive e racconta dei ragazzi con quello stile che ricorda film come Piccole Canaglie, tutti i Piccola Peste (come ho già citato prima), I Goonies e anche le prime due stagioni di Stranger Things, un modo di far vivere i personaggi sullo schermo con tutta la leggerezza della loro età, ma relazionandoli sempre al contesto surreale in cui si muovono e mai una volta sembrano fuori posto. Le liti, gli screzi, la collaborazione, tutte cose estremamente riconducibili a un gruppo di bambini che si ritrovano forzatamente a convivere in condizioni particolari, quasi come fosse una situazione più regolata e civile di uno scenario alla Il signore delle mosche.
Tra l’altro la scrittura di questa serie, proprio grazie a questa ottima scrittura dei personaggi più piccoli, riesce a passare da scenari più leggeri a quelli più impegnativi e pesanti, come il passato degli adulti della serie: la storia di Jepperd, quella di Aimee, quella del generale Abbot e del dottor Singh e Rani. E tutto questo, questa capacità di bilanciare i toni, le atmosfere e la pesantezza degli argomenti viene aiutato da una fotografia che non saprei come definire se non fantastica in tutte le accezioni e sfaccettature del termine. La fotografia, soprattutto negli ambienti esterni e/o naturali riesce a regalare quella sensazione di magia, di incanto tipica del genere fantasy. La stessa che poi riesce a diventare dura e spigolosa nelle scene più tragiche, nei flashback, negli scontri e negli ambienti di reclusione.
Ovviamente tutti questi elementi sono tenuti insieme da una regia ottima che seppure – come si usa fare negli Stati Uniti – è affidata a più di un regista, trova sempre una coesione e una coerenza di stile, cosa che non sempre accade. Possiamo concludere che Netflix con la seconda stagione di Sweet Tooth ha fatto centro. Ci ha portato un prodotto ben fatto e di qualità che si presta a una visione non troppo complessa, ma anzi lineare e facilmente comprensibile e che ci permette di goderci senza troppi sforzi una storia decisamente piacevole.