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The 100 7×09 – Il gregge e la pecorella smarrita

The 100
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ATTENZIONE: questo articolo contiene SPOILER sulla 7×09 di The 100.

Annunciare l’ultima stagione di una serie è sempre un passo molto importante: se da un lato si pone fine a un racconto e una storia amata dai fan, dall’altro bisogna organizzare un qualcosa di più incisivo capace di chiudere le trame ancora rimaste e lasciare un bel ricordo ai propri spettatori.

La 7×09 di The 100 è ormai la prova che tutto questo non è stato recepito dallo showrunner Jason Rothenberg. I personaggi su cui ci stiamo concentrando non solo sono assolutamente secondari, ma non sono neanche così importanti per noi da farci tenere davvero al loro destino.

Una scelta audace, ma che può facilmente deludere: dopo tutti gli errori, tutte le scelte affrontate e le responsabilità prese è da molti considerato dovuto un finale decente per i protagonisti assoluti della serie come Bellamy, Clarke e Octavia. Quella che sta avvenendo sotto i nostri occhi, invece, è una storia completamente diversa: lenta, piena di salti temporali di fatto inutili (che senso ha puntare sui flash-forward in una puntata se poi le due successive servono a raccontare cosa si è saltato? Non è meglio raccontare gli avvenimenti in maniera più lineare?) e con una trama sempre più slegata dai propri personaggi e dalle loro personalità.

Vediamo, nel dettaglio, quali sono i punti salienti di questo episodio.

Octavia ed Echo

Molto dello screentime della puntata, come in generale di tutte le puntate uscite fino a ora, è dedicato a Echo e Hope: se la prima è un personaggio che i fan conoscono ormai da molteplici stagioni, la seconda è una new entry vera e propria. Le due ragazze, insieme a Dyioza e Octavia, vengono reclutate dagli abitanti di Bardo per diventare delle guerriere. L’addestramento punta a coinvolgere psicologicamente le candidate, permettendo loro di reprimere le proprie emozioni a favore di un’unica causa, ovvero la grande Guerra che starebbe arrivando. L’abnegazione per un obiettivo comune viene inculcata nei discepoli del pianeta sin da piccoli, ma le quattro donne si ritrovano a dover ricominciare ex novo e ad abbracciare un vero e proprio culto per poter sopravvivere.

Se l’ex NAVY Seal e Octavia riescono senza non troppi intoppi (anche se non ci è dato sapere perchè riescano così bene: sono più disciplinate? Hanno meno da perdere? Sono abituate a doversi reinventare?), Hope ha dei seri problemi nel superare le proprie remore e i propri pregiudizi sul pianeta e i suoi abitanti, dimostrando più di una volta di essere estremamente emotiva e, tratto fatale, interessata solo a salvare la vita delle persone a cui vuole bene. Nella prova finale la ragazza viene sottoposta a un test di fedeltà alla causa dove, tramite una realtà virtuale, le viene offerta la possibilità di scappare dal pianeta assieme a sua madre e i suoi amici.

Hope non esita un secondo e prende al volo l’opportunità per scappare. Oltre a compiere quindi un errore di tipo emotivo, attua un vero e proprio tradimento nei confronti di Bardo. Questi lati del suo carattere erano sotto gli occhi di tutti, ma per quanto sua madre e Octavia abbiano cercato di instruirla sul da farsi e correggere la sua impulsività, la ragazza non riesce a superare la prova (motivo per cui nella scorsa puntata non è presente all’arrivo di Clarke). Questo errore le costerà il proprio posto come discepola e una punizione non indifferente: dovrà passare su Skyring, il pianeta che viene utilizzato come prigione, almeno cinque anni da sola.

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Una punizione di questo tipo è estremamente adatta al personaggio di Hope che ha dovuto attendere su quello stesso pianeta il ritorno di sua madre per dieci anni e nuovamente altri cinque anni per poterla salvare. L’accuratezza di questo tipo di punzione deriva dall’essere stata scelta da Echo.

Molta di questa stagione si sta concentrando sull’ex spia dell’Ice Nation. È palese ormai che il suo arco narrativo è quello che occupa più screentime e che rappresenta una variazione del topos di “antagonista che prova a essere buona, ma fallisce“. Il suo personaggio ha subito un’evoluzione discutibile: le sue capacità sono sempre state messe in discussione sul punto morale, portandola a diventare “buona” solo tramite l’amore sbocciato con Bellamy. Nel momento in cui questo amore è venuto meno, Echo sembra tornata al punto di partenza.

La sua capacità di adattarsi è strabiliante, ma desta non pochi sospetti: come afferma Hope, è vero che la spia sta cercando un leader a cui aggrapparsi per non affrontare il proprio lutto? I motivi per pensarla in questo modo sono molti: non solo Echo è convincente nella propria abnegazione nei confronti dell’addestramento di Bardo, ma sembra eccellere in tutto. Le sue capacità camaleontiche sono il punto forte del suo personaggio, ma possiamo immaginare come la morte di Bellamy (vera? presunta? Non è dato saperlo ancora) abbia fatto scattare qualcosa in lei, portandola vicino a un baratro in cui sembra voler sprofondare.

Echo

La parte dell’episodio che ha meno mordente è nuovamente incentrata sulla storyline di Sanctum: senza la presenza carismatica di Sheidheda e di Murphy questi avvenimenti risulterebbero assolutamente piatti e secondari.

La situazione di stallo con cui avevamo lasciato il pianeta si risolve, di fatto, in pochissimo tempo: Indra riesce ad accedere alla sala in cui erano concentrati gli ostaggi togliendo le armi ai galeotti dell’Eligius e i figli di Gabriel. Per riuscire in questa impresa, però, è costretta a dover rilasciare nella sala Sheidheda. In maniera un po’ ingenua la nuova Comandante crede che questa libertà possa risultare vantaggiosa, ma la realtà dei fatti è molto diversa. In questo caso la capacità attoriale di JR Bourne è innegabile in quanto riesce a trasmettere la sadica soddisfazione che il personaggio ottiene nel vedere i propri piani avere successo di fronte ai tentativi maldestri di sabotaggio messi in atto dagli altri (Sheidheda del resto rimane il personaggio più interessante della stagione, ma ne avevamo già parlato qui).

Quando Murphy annuncia che i Prime sono tutti morti e che nel corpo di Russell c’è in realtà Sheidheda la reazione di quest’ultimo ci fa capire come avesse calcolato tutto. Una rivelazione del genere cambia sensibilmente le dinamiche di potere in atto, mettendo in dubbio il controllo appena acquisito con la forza da Indra.

In generale questa parentesi di Sanctum sembra procedere molto più lentamente e risente della mancanza dei veri protagonisti di The 100. Si spera che queste trame si uniscano tra di loro il prima possibile.

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La pausa intrapresa da The 100 dà tempo di riflettere e fare un punto della situazione ahimè non molto positivo: i personaggi principali sono assolutamente assenti (come Bellamy) o inutili a livello di trama (come Clarke e Octavia). Nessuna grande rivelazione ci ha permesso di capire qual è l’idea finale a cui vogliono arrivare, lasciandoci brancolare nel buio più profondo. In una stagione che dovrebbe concludere le tattiche di potere e sopravvivenza a cui siamo abiutati è davvero successo poco per volontà e scelta dei personaggi: la storyline di Bardo è molto interessante, ma viene sviluppata un po’ troppo in fretta, diventando troppo ingombrante sebbene sia stata introdotta solo in questa stessa stagione. Hope è un personaggio ben scritto, ma a cui non possiamo affezionarci più di tanto. Non conoscendolo bene come gli altri, i suoi problemi e dubbi risultano meno d’impatto sugli spettatori.

In più, abbiamo ancora altri problemi che rischiano di diventare buchi di trama se non vengono trattati al più presto: dov’è Gaia (che non vediamo da ormai 5 puntate)? Qual è il collegamento tra Madi e i monoliti che collegano i pianeti? Perchè Clarke risulta essere la Chiave misteriosa per l’ultima Guerra, ma non ha ancora nessun ruolo preciso?

Bisogna dare risposte a queste domande per poter considerare la stagione conclusa. I grandi quesiti che riguardano la serie, invece, molto probabilmente rimarranno irrisolti.

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