ATTENZIONE: questo articolo contiene SPOILER sulla 7×16 di The 100
Nonostante i presentimenti tragici che si sono accumulati nelle puntate precedenti, il finale di serie di The 100 è riuscito nell’ardua impresa di concludere il tutto in maniera quantomeno logica. Riuscire a superare in una sola puntata tutti i problemi della stagione – che, a posteriori, possiamo considerare mal gestita e frettolosa – sarebbe stato prettamente impossibile, ma alcuni punti sono comunque risultati positivi. L’ultima scena, d’altro canto, ha superato qualsiasi aspettativa lasciando nel cuore degli spettatori un senso di pace e di infinita malinconia.
Meglio andare con ordine.
L’Ultima Guerra è finalmente iniziata: dopo aver aspettato e sperato si trattasse di qualcosa di diverso, Jordan aveva ovviamente individuato la falla nella modalità di traduzione dei Bardoniani che centinaia di anni di studiosi non avevano notato.
Se Cadogan viene fermato – o meglio, ucciso – prima di poter sottoporsi al giudizio di queste entità aliene, è Clarke che per l’ennesima volta rappresenta l’intera umanità nella lotta alla sopravvivenza. Il suo personaggio in questa settima stagione ha subito per molti versi una vera e propria involuzione: in The 100 è sempre stata una leader capace di fare le scelte difficili, ma nei precedenti quindici episodi ha pensato ossessivamente solo a se stessa, a Madi e a poco altro. Nel momento in cui viene posta sotto torchio, però, le risposte date sembrano lontane anni luce dalla protagonista che abbiamo imparato a conoscere: non c’è traccia di pentimento o sensi di colpa per quello che è stato fatto negli anni, non c’è volontà di assumersi le proprie responsabilità, c’è solo una logica miope che giustifica i peggiori errori compiuti in nome di una sopravvivenza che, dopo le azioni del precedente episodio (recensione qui), include soltanto chi sta parlando.
Non stupirà che il giudice – impersonato da Lexa, un personaggio così maltrattato dagli scrittori di The 100 che è sorprendente rivedere – decida che l’umanità non è degna di “trascendere”. Sembra che il personaggio di Clarke sia stato cambiato e rimodellato semplicemente per rientrare in questa specifica necessità di trama: non c’è più niente della Wanheda delle scorse stagioni e, in un certo senso, il suo fallimento risulta essere un momento secondario e minimo nella puntata.
A tentare di cambiare la condanna dell’Ultimo Test è, senza sorprendere nessuno, Raven: dopo aver portato Emori e gli altri su Sanctum, tocca a lei smuovere la volontà dell’ente alieno e salvare l’umanità dall’eterna dannazione.
Sorprendentemente la suddetta entità, che durante il test assume l’aspetto della persona che più si è amata, non diventa Finn: nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato – sicuramente gli scrittori di The 100, ma non molti spettatori – il ragazzo è stato il più grande propellente per il personaggio di Raven, il ragazzo che ha più amato e il lutto più forte che è stato affrontato. Scegliere Abby come sembianza è un’azione più di fanservice che altro: per quanto la madre di Clarke possa essere stata la sua mentore, la scelta risulta comunque stonata.
Il lavoro di Raven, in realtà, è molto più facile del previsto. L’unica motivazione che sembra servire è “l’umanità ha i suoi difetti, ma possiamo cambiare“. Spingere l’entità aliena a giudicare l’umanità esclusivamente in base allo stallo tra i discepoli di Cadogan e Wonkru è un’opzione tanto disperata quanto azzardata: come poteva sapere che non sarebbe finita nel sangue come altre centinaia di scene in The 100? È una scelta quanto meno peculiare.
In questo ambito Sheidheda ha finalmente ciò che si merita: dopo aver cercato di provocare una delle due fazioni sparando contro l’altra, viene ucciso da Indra. Nonostante la scena sia di per sè soddisfacente, è arrivata troppo tardi per avere un vero e proprio impatto emotivo sugli spettatori.
Anche il discorso di Octavia fa la stessa fine: teoricamente vedere la Blodreina porsi al centro tra i due schieramenti proponendo di abbassare le armi doveva essere il punto di maggiore pathos di tutta la stagione se non di tutta la serie, ma la continua monotematicità del personaggio rende il tutto stantio come fosse tutt’al più una ripetizione tediosa. Ovviamente le sue parole hanno presa su entrambi gli eserciti e ovviamente, per la prima volta nella serie, il bagno di sangue viene evitato. Proprio quando l’esito di questa scelta avrebbe decretato il futuro dell’umanità.
La trascendenza, di per sè, è una scelta molto simile a quella proposta da A.L.I.E. nell terza stagione: diventare pura coscienza, abbandonare il proprio corpo e non sentire più dolore, ma vivere in eterna gioia. Qual è la differenza tra gli alieni e un’intelligenza artificiale? Perchè la prima era un’antagonista, mentre in questo caso è la scelta giusta? Questi dubbi rimarranno per sempre come prova del pressapochismo con cui questo finale è stato scritto.
Nonostante queste scelte negative, il finale di The 100 ha saputo rendere giustizia ad alcuni personaggi, riuscendo nell’intento.
La tragica e romantica fine di Murphy ed Emori, ad esempio, è riuscita a sorprendere chiunque: visto il trattamento tutto sommato posivito che era stato loro riservato, gli spettatori non potevano credere davvero in un lieto fine. La morte di Emori, in questo senso, ha colpito nel segno perché aggravata dalla consapevolezza che, se anche il test fosse stato superato, non avrebbe comunque potuto trascendere. L’utilizzo del mind drive e il mantenimento in vita del Emori nella mente del suo amato è stato un piccolo dettaglio tale da salvare entrambi i personaggi che, dalla primo momento in cui si sono incontrati, sono sempre stati l’uno la spalla dell’altra.
Anche la dolce scena tra Jackson e Miller – in contrapposizione con quella di Murphy ed Emori – è stata breve, ma dolce (come nel terz’ultimo episodio). Un giusto modo per salutare entrambe le coppie guardandole salire in cielo e trasformarsi in luce dorata.
La scelta più riuscita e migliore, per moltissimi motivi, riguarda le scene finali: vedere Clarke vagare per i pianeti completamente sola ha posto un ulteriore tassello nell’isolamento e nella titanicità del suo personaggio. The 100, però, ha voluto ricordarci che nessuno è mai davvero solo perchè gli altri possono compiere scelte a noi ignote e rimanerci accanto: trovare i suoi amici sulla Terra che, per loro volontà, hanno rinunciato alla vita eterna per poter morire assieme è sicuramente un punto malinconico, ma ben riuscito.
Se in quello spazio fossero comparsi anche gli altri personaggi già morti nelle scorse puntate – da Bellamy a Gabriel, da Finn a Monty, Monroe e Jasper – il finale sarebbe stato molto meno logico, ma avrebbe avuto un impatto emotivo maggiore. D’altronde, tutto quello che questi ragazzi volevano era l’occasione di vivere, in pace, sul proprio Pianeta.
L’addio a The 100 è pieno di sentimenti contrastanti, ma la serie ci ha sicuramente insegnato qualcosa su vari temi riguardanti la sopravvivenza, i traumi, l’amicizia che può trasformarsi in famiglia e ciò che saremmo è pronti a fare per sopravvivere.
In poche parole:
Your fight is over. May we meet again.