Le seconde stagioni sono sempre complesse da realizzare, soprattutto in serie tv la cui prima è stata un autentico successo. Ogni tanto, però, capita che la situazione si ribalti. Che il primo ciclo di episodi mostri solo un assaggio delle potenzialità tecnico-narrative di uno spettacolo televisivo, superando nettamente sé stessa e alzando un livello già qualitativamente alto. E quell’eccezione, quella rarità, stavolta, si chiama proprio The Bear 2. Scendiamo dalle frenetiche montagne russe dei fornelli del The Bear e dell’animo tormentato di Carmy, abbandoniamo la tensione e lo stress di una brigata la cui realtà viene narrata come fosse un film di guerra. Il ritmo rallenta, lo sport diviene il nuovo modo di raccontare gli eventi e ogni episodio ci accompagna verso l’apertura del nuovo ristorante con ambizioni da stelle Michelin.
Certo, la frenesia non manca, soprattutto nel finale, terreno di un piano sequenza mozzafiato. Ma è chiara la voglia di attraversare le quattro mura della cucina (e del presente), per dare respiro alla narrazione e per mostrarci chi siano davvero i personaggi che popolano The Bear 2. Diventando così un variegato e magnifico racconto corale.
Nella prima stagione della serie Disney+, ognuno di loro era in conflitto con sé stesso, con traumi mai superati e con dolori a cui si aggrappavano per paura di andare avanti; il tutto chiuso all’interno del The Beef in cui aleggiava lo spettro di Michael. Il caos della cucina rispecchiava quello dei personaggi, la loro mancanza di comunicazione o di altruismo verso i colleghi. La demolizione totale del vecchio ristorante permette loro di ricostruire pezzo per pezzo una vita migliore, quella sognata da sempre, e un’identità ormai perduta, forse mai trovata. Certo, di ostacoli ce ne sono fin troppi, mai messi lì inutilmente. Del resto, è la vita a non evolversi in maniera lineare, a chiederci continuamente di rimetterci in gioco. Allora, è necessario quel salto nel vuoto, compiuto grazie alla fiducia ritrovata nell’altro e che si tramuta in accettazione di sé stessi.
Seguiamo gli sforzi di Sydney, il suo rapporto con il padre, l’evoluzione del bellissimo legame con Tina – che, con coraggio, affronta la scuola al fianco dei più giovani – e la fiducia che ripone in Carmy nonostante lui non sia sempre presente, ma anche il blocco creativo che questa nuova avventura le provoca. Di Marcus, sempre solare e calmo, scopriamo l’oscurità di una vita non così dolce, soprattutto per quella madre malata di cui si prende cura amorevolmente. E l’opportunità di andare in Danimarca per imparare da un famoso pasticciere – magnifico il cameo di Will Poulter – è una boccata d’ossigeno per lui in una delle puntate più toccanti di The Bear 2. Ma è Richie una delle evoluzioni più belle non solo dello show Disney+, ma dell’intera serialità. Lo stage presso un ristorante stellato lo costringe a smussare gli spigoli del suo pessimo carattere, a imparare la disciplina e a confrontarsi con sé stesso; lo scuote così nel profondo da riuscire a rispondere alla domanda delle domande: qual è il mio scopo nella vita? E a rendere il tutto più memorabile non ci sono solo le canzoni di Taylor Swift, ma anche il profondo dialogo con la chef Terry interpretata da una grandissima Olivia Colman.
Seppur più centellinato, è ancora il Carmy di uno strepitoso Jeremy Allen White il fulcro di The Bear 2. Importantissimo è lo scambio di battute quando incontra Clarie:
“Come ti sono andate le cose?”
“Non ne ho idea”
Esso rappresenta in pieno le contraddizioni di un enfant prodige, che ha vinto il massimo riconoscimento culinario in giovane età e che, dunque, conosce gli sforzi, lo stress, la pressione e il dolore per ottenere e, soprattutto, mantenere quelle tre stelle, tanto da definirle “una trappola”. Perché sa quali ne siano le tragiche conseguenze. Ma adesso, nonostante fronteggi quotidianamente i suoi demoni, questo concentrato di genio e sregolatezza prova a darsi una speranza sia tra i fornelli, sia nella vita al di fuori del ristorante. Grazie a Claire ne vediamo un lato diverso, che riesce a vincere timori che non pensava mai di poter superare. Fino al finale, chiuso in una cella frigorifero in cui riaffiorano traumi e paure, dicendo di non essere tagliato per una relazione. Che, tradotto, vuol dire non concedersi un attimo di pura felicità. O pensare di non meritarsela, come sua madre. E quel Donna che Richie gli sbatte in faccia fa sì male più di mille insulti, ma era necessario. Doveva sentirlo, per scuotersi, per capire.
Un parallelo madre-figlio che osserviamo nell’incredibile sesto episodio, un’autentica e veritiera decostruzione delle classiche puntate natalizie delle serie tv.
Apice dello show Disney+, è un lunghissimo flashback da cui emerge un mix di caos, delusione, infelicità e tossicità. Un’ora della frenesia e dell’ansia della prima stagione, fatta di urla, scatti d’ira e parole mai dette, in cui entriamo in questa famiglia in cui non è ben chiaro chi è imparentato con chi e dove tutti sono pronti a esplodere da un momento all’altro. La casa è una prigione claustrofobica, la famiglia toglie il respiro e i fratelli Berzetto non possono far altro che uscire fuori, per respirare di nuovo. Ed è qui che capiamo l’origine dei traumi dei personaggi di The Bear 2, come il desiderio di fuga di Carmy, la fine del matrimonio di Richie, la gentilezza esasperante di Sugar (che vuole essere l’opposto di sua madre), la depressione di Michael. E senza dubbio, spiccano le guest star: Sarah Paulson è la cugina Michelle, John Mulaney suo marito, Gillian Jacobs è l’ex moglie di Richie, Bob Odenkirk lo zio Lee, Jon Bernthal Michael e una magnifica Jamie Lee Curits è Donna, l’indimenticabile e umanamente fragile madre dei Berzetto. Tanto che, se vincesse l’Emmy, sarebbe decisamente più meritato del suo Oscar per Everything Everywhere All at Once.
Fishes è l’emblema dell’eccellente scrittura di The Bear 2. Superba, sperimentale, dal ritmo impeccabile, con una capacità disarmante di alternare dramma e commedia, quasi shakespeariana, non sbaglia una virgola. Niente è buttato al caso e viene sempre mantenuto quell’equilibrio narrativo a cui basta davvero poco per rompersi, ma non succede mai. Ed è sempre grazie alla scrittura, accompagnata da un linguaggio cinematografico e un sonoro perfetti, che The Bear 2 riesce a delineare quei personaggi complessi, segnati da sconfitte e ingiustizie, indimenticabili e che cercano il loro scopo nel mondo. È un’umanità così variegata che è impossibile non immedesimarsi nelle loro fragilità, narrate con cruda naturalezza e un realismo che fa male. Già, perché ognuno di loro avrebbe mille motivi per mollare. Però non lo fanno. Resistono, hanno una ragione per tirare avanti, senza che ci sia niente di eroico in ciò. Semplicemente è reale ed è questo quello che ci cattura nel profondo. Il vederli provare, sfidando le maglie della burocrazia, gli errori e i problemi, con lo spettro del grande fallimento sopra le loro teste. E tutti – anche noi – l’hanno conosciuto, perché nessuno ha più 20 anni e hanno affrontato almeno una sconfitta in vita loro, che ancora li tormenta, con quelle voci che gli ripetono continuamente di mollare, di trovarsi un vero lavoro, più sicuro.
Ma The Bear 2 è un racconto di perseveranza, di sfida, di riscatto tramite quel ristorante che diviene un qualcosa di sacro per loro. Attraverso sangue, sudore e lacrime la serie Disney+ vuole mostrare il costo dei sogni delle persone a cui non è mai stato regalato nulla, che si giocano tutto, che si rialzano a ogni caduta, che non trovano pace nemmeno nel sonno. E il senso del duro lavoro dietro un sogno è racchiuso nel profondo scambio tra Marcus e Luca:
“Ne è valsa la pena?”
“Chiedimelo domani”.
Perché, in fondo, la realizzazione di un sogno non è davvero la felicità, se non si condivide con gli altri. È dalla condivisione che nasce qualcosa di veramente bello e autentico. Che sia un rapporto platonico che ci cambia in positivo o un cannolo che ci fa far pace con il nostro passato. È allora, così come succede nello sport, la cucina diviene metafora della vita; una squadra umanissima, vera, che vince o perde insieme. Dove il migliore è quello che non molla, dove un palloncino determina intere esistenze e ogni secondo conta per cambiare la sorte avversa. Secondi fondamentali, come quelli che ci separano da un’eventuale e obbligatoria terza stagione, che non vediamo l’ora di vedere su Disney+.