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The Bear 3 – La recensione in anteprima della terza stagione

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The Bear 3 sta per essere rilasciata su Disney+ (appuntamento a domani, mercoledì 14 agosto) ma noi di Hall of Series abbiamo avuto l’opportunità di vedere in anteprima, grazie a Disney+, gli episodi della nuova stagione. Ecco le nostre impressioni (naturalmente spoiler free, quindi non troverete spoiler in questa recensione) sull’attesissima season 3.

Il countdown sta per terminare: The Bear 3 è finalmente pronta a tornare sui nostri schermi, riprendendo da dove si era fermata un anno fa. Risollevate le sorti del ristorante di famiglia The Beef, Carmy Berzatto (Jeremy Allen White) era riuscito, nella stagione precedente, ad aprire il nuovissimo ristorante The Bear, coronando il suo sogno e onorando la memoria del suo defunto fratello Michael. Il successo, tuttavia, trova sempre il modo di allontanarsi dal tormentato chef, la cui sindrome dell’impostore unita alla sua capacità di autosabotaggio, avevano fatto in modo che rimanesse intrappolato nella cella frigorifera del suo nuovo ristorante durante la serata inaugurale. Trovate qui la nostra recensione della seconda stagione.

Il simbolismo della gabbia/trappola che impedisce a Carmy di progredire torna centrale in The Bear 3, reso ancor più evidente dalle scelte stilistiche e registiche adottate in questa nuova stagione. La narrazione è infatti arricchita da numerosi flashback che, se da un lato chiariscono il background di ciascuno dei personaggi protagonisti della vicenda, dall’altro frenano (apparentemente) un reale avanzamento della trama.

Carmy Berzatto è bloccato nel passato dalle situazioni rimaste irrisolte nella sua vita che gli impediscono di guardare avanti: l’intera terza stagione di The Bear è un’allegoria del dramma del suo protagonista.

Jeremy Allen White nei panni di Carmy Berzatto in una scena tratta da The Bear 3

Al ritmo veloce e ansiogeno dei piani sequenza delle prime stagioni, The Bear 3 sostituisce tagli netti e stacchi neri. Il focus della vicenda non è più (solo) sulla frenesia della cucina, ma sulla psiche dei suoi protagonisti. Le scene ripetute, la musica che accompagna ininterrottamente talvolta interi episodi, enfatizzano il ciclico ripetersi degli errori commessi da Carmy, raffigurandone i pensieri ossessivi. Pensieri che spesso ritornano sulla sua relazione con Claire, finita codardamente tra le mura di quella cella frigorifera in cui si è rinchiuso da solo.

Se nelle stagioni precedenti risollevare le sorti del fatiscente The Beef era il modo in cui il protagonista sopperiva alla mancanza di controllo sulle sue emozioni e su come affrontarle, in The Bear 3 il tormentato universo interiore di Carmy torna alla deriva. Esercitare il controllo sul suo ristorante torna quindi a essere essenziale per placare la sua ansia scaturita dalla fine della sua relazione; ora che il The Bear ha spalancato le sue porte ai clienti, Carmy punta alla stella Michelin e al totale rinnovamento del menu. L’ambizione cieca lo porta a sacrificare ancora una volta la sua salute mentale, l’amore, l’amicizia e la lealtà dei suoi collaboratori. Carmy è nuovamente chiuso in se stesso e, insieme a lui, lo è The Bear 3.

Attraverso una successione di episodi che, se ci si limita a una visione globale della trama, sembrano non portare da nessuna parte, la straordinaria scrittura di The Bear ci racconta invece tutto: i disturbi d’ansia e depressivi di Carmy, la ciclicità del male, l’eredità del trauma.

Jeremy Allen White nei panni di Carmy Berzatto

La staticità della terza stagione di The Bear è infatti perfettamente funzionale alla caratterizzazione del suo protagonista, bloccato dalle proprie distorsioni cognitive e ossessionato dagli eventi passati tanto quanto da quelli futuri. Emblematiche in tal senso sono le scene in cui appare sullo schermo la caotica successione di titoli di giornali che osannano o demoliscono il The Bear. Tali sequenze rappresentano infatti i pensieri dicotomici e ossessivi dello chef, la sua visione in bianco e nero della vita e del suo lavoro. La psiche di Carmy – di cui potete leggere qui un approfondimento – contempla unicamente il successo o il fallimento, ignorando completamente la zona grigia che intercorre tra le due cose. Il montaggio e la fotografia di The Bear 3 riescono a rappresentare perfettamente la periodica sequenza dei pensieri che tormentano il protagonista, offrendo ancora una volta un fedelissimo affresco del disturbo d’ansia.

Centrale in questa stagione è inoltre il tema dell’eredità. Gli insegnamenti che ciascun cuoco tramanda all’altro, sia in termini pratici che dal punto di vista emotivo, rappresentano il leitmotiv dell’intera vicenda. Carmy Berzatto si ritrova a fare i conti con lo stress psicofisico trasmessogli dal suo mentore a New York, attuando inconsapevolmente gli stessi comportamenti tossici di colui che l’ha formato sui suoi sous chef.

Il trauma di Carmy si riversa infatti su Sydney (Ayo Edebiri), chiamata in questa stagione a decidere se diventare parte integrante di quel ciclico ripetersi degli eventi, o bloccare definitivamente il cerchio.

Il lascito emotivo più importante è però quello derivato dalla famiglia, rappresentato dall’indissolubile legame madre/figlio. Se la stagione precedente ci aveva fornito un assaggio dell’eredità del trauma attraverso l’episodio Fishes, la terza stagione di The Bear mostra il tentativo di riconciliazione tra Donna (la ancora-una-volta-straordinaria Jamie Lee Curtis) e sua figlia Sugar durante il parto di quest’ultima. L’importanza dei legami e di come quest’ultimi possano deviare il corso degli eventi è centrale anche nel sesto episodio, Napkins, in assoluto tra i migliori e più toccanti della terza stagione.

Jamie Lee Curtis e Abby Elliot in una scena dell'ottavo episodio di The Bear 3

Sebbene in apparenza possa sembrare una stagione meno incisiva delle precedenti, The Bear si riconferma una delle migliori serie tv del panorama televisivo attuale. La sua impeccabile scrittura, l’eccellente prova attoriale di tutti i suoi protagonisti (da segnalare la sorprendente direzione di Ayo Edebiri nell’episodio Napkins sopracitato) e l’ormai consolidato affetto del suo pubblico, hanno concesso a The Bear 3 di prendersi dei rischi, osando con una struttura e un montaggio totalmente diversi da quanto mostrato in precedenza, ma non per questo meno ineccepibili.

Mediante una narrazione più introspettiva e meno caotica, la terza stagione di The Bear si presenta come il delicato piatto di un ristorante stellato, i cui differenti sapori non sono immediatamente percepibili ma emergono lentamente, morso dopo morso. L’avanzamento della trama è esiguo ma al contempo fondamentale per comprendere al meglio ciò che è stato e ciò che sarà. Il finale di The Bear 3 prefigura infatti ciò che ci attende nella prossima stagione e ci conferma che, se l’introspezione ha momentaneamente sostituito il caos, sarà meglio non illudersi: è solo la quiete prima della tempesta.