Wrath. Furore. Ira divina. Questo chiede Homelander ai suoi “compatrioti” sul finale del quinto episodio di The Boys 4 ed è il segnale di una guerra che incombe sul mondo intero.
Furore, The Grapes of Wrath, i grappoli dell’ira nell’originale, è il titolo di una delle opere più illuminanti di quel genio di John Steinbeck. Un romanzo basato sulla storia reale della trasmigrazione di braccianti del sud verso la California durante la Grande Depressione. Espropriati delle terre, attratti da volantini che promettono una valle dell’Eden in cui la stagione della raccolta non finisce mai e c’è posto per tutti, la famiglia Joad insieme ad altre migliaia si mette in cammino. È un esodo biblico. Un viaggio disperato verso la libertà, verso un El Dorado che non vedranno mai.
In compenso la famiglia Joad sulla sua strada troverà sguardi sospettosi, sfruttamento e discriminazione. Finiranno ridotti alla fame, abusati dai padroni latifondisti e guardati con disprezzo -loro emigranti della stessa “grande” nazione- dagli americani del luogo. Quanta attualità c’è nel romanzo di Steinbeck, in quei biblici grappoli d’ira che nell’Apocalisse di Giovanni preannunciano la fine dei tempi, la grande ira di Dio che chiude la storia.
In The Boys 4, come nella nostra contemporaneità, vediamo la discriminazione.
Vediamo le lotte tra poveri, in nome di un’idea, di una fede, di una facile convinzione. Ma più di tutto in nome del profitto e del potere, da parte di chi non guarda in faccia alla vita di nessuno. E vediamo all’orizzonte l’Apocalisse, the wrath of God, l’ira di un dio che ha il nome di Patriota. Quelle guerre culturali che hanno occupato i primi episodi di questa quarta stagione adesso aprono alle dirette conseguenze. Aprono al furore divino. All’ira di Patriota.
Ognuno in questo episodio di The Boys 4 è emigrante in cerca della sua California, in cerca della libertà. La insegue disperatamente Butcher che libera il coniglio infestato dal Composto V ed è come se liberasse se stesso. Ma non passa molto perché quella libertà si trasformi in morte, mostrandogli profeticamente il destino che lo attende. Mostrandogli il Composto V che dilania dall’interno l’animaletto, che dilania dall’interno lui stesso.
È la libertà che Hughie concede a suo padre liberandolo dalle sofferenze e così facendo imparando ad accettare per la prima volta di lasciar andare qualcuno. Ma è anche la libertà che brama la Neuman per sé e soprattutto per sua figlia. “Mia figlia non dovrà mai vivere così“. La libertà di non doversi nascondere, di non doversi vergognare. È la libertà ben più pesante che Frenchie nega a se stesso perché “Certi peccati Dio non dovrebbe perdonarli. Alcuni peccati meritano la dannazione eterna“. Ed è allora lui stesso a impartirsi l’ira divina prendendo su di sé le proprie colpe e costituendosi alle autorità. Non più una California dorata ma una gabbia, un Inferno nel quale poter scontare eternamente i crimini di cui si è macchiato.
Ma è anche la libertà che Patriota immagina per Ryan.
“Ryan, è tutta la vita che vengo manipolato dalle persone. Mi hanno detto cosa dire, dove stare. È come essere uno schiavo ma peggio. Ho avuto modo di pensare e mi sono reso conto che ho fatto lo stesso con te. Ma ora basta. D’ora in poi niente più regole, per nessuno dei due. Siamo entrambi emancipati dalla schiavitù, siamo liberi“.
La libertà di un Dio che, come abbiamo sottolineato nella scorsa recensione, ha tolto tanti chiodi alla catena della sua prigionia, del suo bisogno disperato e patologico di amore. Per Patriota libertà significa farsi Dio del mondo, accogliere la sua onnipotenza e dare avvio all’Apocalisse spargendo nel mondo i grappoli dell’ira, del suo furore divino. Per lui la terra promessa, la terra della libertà, è una nazione nuova, un mondo in cui sia lui a stabilire ciò che è giusto e sbagliato.
È quella stessa potenza di controllo che fa assaporare a Ryan, animato, quest’ultimo, da un genuino senso di giustizia. Patriota canalizza questo nobile sentimento in ira divina. La dinamica che vede la punizione del regista Adam, reo di aver molestato l’assistente Bonnie, è quella di chi si crede depositario della giustizia divina. Di chi commina una punizione atta a farsi giustizia da sé. La scelta di Ryan è quella di un processo senza processo, una giustizia fai-da-te che troppo spesso vediamo sui social con ripercussioni nella realtà. “Niente più regole, per nessuno dei due… Siamo liberi“.
Sono queste le storture di The Boys 4, della nostra realtà, di Patriota, che inneggia al colpo di stato, che chiama a raccolta i suoi compatrioti.
In nome della libertà, in nome della giustizia, della salvezza dell’America, Patriota è pronto alla guerra. “Mi rivolgo a voi chiedendovi di fare la vostra parte. Non sarà facile, dovremo fare cose terribili, alcune cose violente, spietate, magari anche crudeli per il bene superiore. È la guerra. Non sarete più delle celebrità amate, la vostra sarà ira divina“. Wrath of God.
È quello che fece Hitler sfruttando l’incendio del Reichstag, dichiarando lo stato di emergenza contro la minaccia comunista e abolendo la maggior parte delle libertà costituzionali tedesche. È quello che si propone Patriota a cui però non basterà il braccio armato, quelle camice nere di Super pronti a pestare qualunque oppositore e traditore, vero o presunto. Il furore divino di Patriota necessiterà anche dell’appoggio dei potenti, dei leader nascosti di un’America dilaniata dalle guerre civili (proprio gli scontri sono tra le scene più disturbanti dei primi tre episodi di The Boys 4).
E non è difficile immaginare che davanti alla possibilità del golpe i potenti si piegheranno, come fece la classe dirigente tedesca, desiderosa di guadagni, di potenza e di indiscriminato controllo. La loro libertà di potere sarà schiavitù per tutti gli altri quando i grappoli del furore di Patriota si abbatteranno su un’America abbagliata dalle luci di una Terra Promessa che non esiste e non esisterà mai. “Bene, miei patrioti, fatemi vedere l’ira“.
L’angelo gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio
Apocalisse, 14, 19