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The Boys 4×08 – Una bara a forma di cuore: la recensione del mastodontico finale di stagione

Billy Butcher in The Boys 4
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Il finale di The Boys 4 è una scatola a forma di cuore che può trasformarsi in una prigione se non si ha il coraggio di rispondere all’ingiustizia senza violenza.

1992, Los Angeles. Kurt è chiuso in una cabina armadio. Ha un riff in testa, lo ripete e ripete. Sa che quel riff è qualcosa, più di qualcosa. In cinque minuti il movimento prende vita, si espande, assume forma di canzone nonostante non abbia ancora voce. L’avrà in Brasile, a Rio de Janeiro pochi mesi dopo. Kurt chiuso in quella sua bara a forma di cuore, isolato dal mondo ma prigioniero di se stesso scrive una delle canzoni più criptiche dei Nirvana.

Video ufficiale del singolo Heart-Shaped Box dei Nirvana

Impossibile però non vederci riferimenti a Courtney Love, a quella relazione intensa e morbosa che lo imprigiona in una bara a forma di cuore. Impossibile pure non vederci riferimenti all’America, all’ossessione consumistica di babbi natali crocifissi sull’altare del profitto e alle scatole di cioccolatini di San Valentino. Il cancro della società si fonde così all’interiorità sofferente di Kurt. L’America di The Boys 4 è l’evoluzione dell’America di Kurt, una scatola a forma di cuore che promette sicurezza, felicità e amore in cambio di devozione capitalistica e libertà.

Con Heart-Shaped Box si conclude The Boys 4.

Con la vittoria del morboso capitalismo nazionalista di Patriota, con una scatola a forma di cuore che dà protezione e potenza. “L’America sarà di nuovo al sicuro“, annuncia solenne Patriota. “Renderemo di nuovo forte l’America“, gli fa eco Firecracker. Come profetico era stato Kurt Cobain così riesce a esserlo Eric Kripke con questo finale di The Boys che si sovrappone paurosamente alla nostra realtà («l’inquietante somiglianza tra lo show e il mondo reale»).

Patriota in The Boys 4

Il piano di Sage è svelato, l’assassinio della Neuman e le parole del Presidente diventano nient’altro che la prova dell’esistenza di un deep state che complotta contro gli USA. L’attentato all’America che tanto ci ricorda gli eventi contemporanei diventa il pretesto per dichiarare la legge marziale. È la morte della democrazia, la fine della repubblica, come lo era già stato tanti secoli prima nel cuore del Mediterraneo. Nell’allora potenza mondiale che, in un lampo, dalla contraddizioni e libertà repubblicane passò alla dittatura di Silla.

Tutto lecito, tutto nella norma. La dittatura a Roma era carica straordinaria (forse) ma legittima (sicuramente). Come la legge marziale lo è negli Stati Uniti, almeno indirittamente, nell’articolo 1, sezione 9 che parla di diritto dell’Habeas Corpus sospeso in caso di ribellione o invasione per ragioni di sicurezza pubblica (e quindi sottintende la possibilità di arresti arbitrari senza spiegazione). Il primo atto di Silla e Patriota, il momento più doloroso delle guerre civili di Roma e dell’America coincide: sono le liste di proscrizione. Elenchi di cittadini considerati nemici e perciò arrestati, uccisi, oggetto di confisca dei beni. La storia si ripete.

Ma allora come ora, i nemici del nuovo stato, i difensori dei valori repubblicani non cessano di lottare.

Anche se il problema è sempre lo stesso: come deve avvenire questa lotta? Non con la violenza come dimostrano (se ancora ce ne fosse bisogno) i recenti accadimenti d’oltreoceano. Lo ha capito Hughie che fa un discorso accorato, vibrante: “La violenza non è coraggio, come non lo è odiare mia madre o A-Train o chiunque. Perdonare, lasciar andare, avere un po’ di fottuta pietà, quello è coraggio. È da pazzi ma è coraggioso. Per battere i mostri dobbiamo iniziare a essere umani“.

Hughie e il discorso di non violenza in The Boys 4

È questo il grande insegnamento che profeticamente ci dà The Boys 4 in un’epoca di lotte civili che si esasperano fino all’uso della violenza, da una parte e dell’altra. Ci sarà sempre chi sfrutterà strumentalmente queste violenze per assumere il potere, per gridare alla sicurezza e per togliere la libertà. Per questo la risposta non può essere il braccio armato. I Boys provano quindi una strada nuova. Lo fanno Hughie, Latte Materno e Annie accogliendo di nuovo la Neuman come un figliol prodigo. Lo fa inizialmente anche Butcher.

In lui nella prima parte di questo finale di The Boys 4 sembra dominare il bene, il perdono, la speranza in una redenzione. Ma c’è sempre quel Jeffrey Dean Morgan che sorride sornione in attesa dell’occasione buona. Che puntualmente si presenta quando un inevitabilmente confuso Ryan compie il suo secondo omicidio. La speranza fuoriesce dalla scatola a forma di cuore di Butcher e rimane solo il nero. La scatola si trasforma in bara.

La sua parte peggiore prende il sopravvento e la violenza indiscriminata favorisce l’ascesa di Patriota.

È costante, incessante il confronto interiore per tutti i protagonisti di The Boys 4. Non solo per Butcher con le sue due anime ma anche per Annie (monumentale la doppia interpretazione di Erin Moriarty), incerta e chiusa in una scatola a forma di cuore. Da un lato il cuore di cartone: l’immagine innocente, pura, di facciata, di chi, come le rinfaccia il mutaforma, pensa di “essere l’eroe della sua storia”. Di chi pensa di non avere mai colpe, di essere vittima e quindi giustificata in ogni suo sbaglio. Di chi pensa di essere dalla parte del bene e di potersi ergere moralmente sopra gli altri (una critica a cerca sinistra attuale). Dall’altro il senso di prigionia di questo heart-shaped box che le fa finalmente confessare: “Non so chi caz*o sono“.

Erin Moriarty in The Boys 4

La stessa confusione esistenziale, quella di Kurt, di Butcher, di Annie, di Ryan appartiene anche a Frenchie e Kimiko che si domandano come possano fare a perdonarsi. “Ci proviamo un po’ ogni giorno, immagino“, riflette Kimiko. Ecco che il quadro si completa, che in The Boys 4 le lotte interiori si affiancano e intrecciano con quelle sociali. La costante è sempre la stessa: dietro ogni complotto, dietro ogni giustificazione morale, dietro la legge marziale, dietro perfino l’omicidio c’è la paura. La paura di ciò che non si capisce (nel caso dei complottisti), del diverso (per i razzisti ma anche per certa ideologia woke, settaria e colpevolizzante), della violenza (che fa demandare le libertà in nome della sicurezza). E allora alla paura bisogna rispondere col coraggio. Col coraggio di perdonare. Per battere i mostri dobbiamo iniziare a essere umani.

È un grande finale quello di The Boys 4, attuale e potente come lo è stata Heart-Shaped Box nel 1993.

C’è una scatola a forma di cuore. Kurt ci si è chiuso dentro, protetto ma insieme prigioniero. In quella scatola è morto, incapace di vincere le contraddizioni della sua interiorità. Incapace di capire davvero chi fosse. Se vince la paura, ci dicono Heart-Shaped Box e The Boys 4, questa scatola diventa la nostra bara. Una dolce, dolcissima, protettiva e morbosamente opprimente bara a forma di cuore. Heart-Shaped Coffin.