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The Buccaneers – La Recensione: la serie di cui non sapevamo di avere bisogno

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The Buccaneers è la serie tv targata Apple Tv+ e tratta dall’omonimo romanzo di Edith Wharton. Uno sciame rumoroso di ricche donzelle americane si dirige alla volta dell’Inghilterra alla ricerca di marito. In questa serie tv in costume ambientata alla fine dell’Ottocento, spicca una meravigliosa Christina Hendricks nei panni di Mrs. St. George, scaltra e coraggiosa madre della protagonista Nan St. George.

Ci siamo goduti The Buccaneers puntata dopo puntata a rilascio settimanale su Apple Tv+, in una relazione che da parte mia si è rivelata di amore e odio seppur squisitamente irresistibile.

D’altronde, The Buccaneers non ci propone nulla di nuovo, se non un cast in cui spuntano molti interessanti volti nuovi e qualche vecchia conoscenza alla ricerca di una riconferma (tranne Christina Hendricks che è meravigliosa a prescindere). Il cliché della giovane e ingenua ragazza incastrata in un triangolo amoroso è un grande classico della letteratura, del cinema e del piccolo schermo, ma se qualche anno fa eravamo in bilico tra il Team Edward e il Team Jacob di Twilight, in questo caso la situazione è molto meno dark e i rapporti tra le due parti maschili meno rancorosi.

Personalmente non devo pensarci due volte per schierarmi con il Team Theo, ma sono comprensibili anche le ragioni che portano a propendere per il team Guy. Insomma, l’imporante è schierarsi con tutti tranne che con Nan, la quale continua imperterrita a voler stare con due piedi in una scarpa (o forse è il caso di dire con un piede in due scarpe).

Ma la carta vincente di The Buccaneers è proprio il riuscire ad estendere l’occhio di bue su una vasta gamma di personaggi, avvicinando la serie tv Apple Tv+ a un prodotto corale in cui le vere protagoniste sono le donne.

The Buccaneers (640×360)

A giocare abilmente con i fili del destino sono personaggi testardi e libertini, e la cornice delle differenze culturali tra l’America e l’Inghilterra di fine Ottocento sono solo un pretesto per puntare la lente di ingrandimento su donne che, pur temendo il giudizio altrui, riescono in qualche modo ad abbracciare il loro Io anche sotto il peso della vergogna.

Ecco, proprio la vergogna è l’aspetto più pregnante e attuale di The Buccaneers. Dietro la patina giocosa e superficiale di una serie tv leggera ho intravisto lo sforzo ben ripagato del volersi spingere oltre. Ogni donna, a prescindere dall’epoca di riferimento o dall’estrazione sociale, si ritrova a fare i conti con il concetto di vergogna e pudore. Come un’ombra sinistra lo scorrere degli eventi ci incastra in etichette e preconcetti e non è scontato o semplice avere la forza di divincolarsi.

Ce lo insegnano Honoria (Mia Threapleton) e Mabel (Josie Totah) con il loro ribelle atto d’amore; ce lo insegna Conchita (Alisha Boe), caparbia nel suo intento di essere se stessa rumorosa e strabordante di vita; ce lo insegna Mrs. St. George con la testa alta a sovrastare i sussurri e il chiacchiericcio; ma soprattutto ce lo insegna Lizzy (Aubri Ibrag) capace di sopportare il dolore dell’umiliazione per poi convincersi di non meritarlo. Da personaggio secondario, Lizzy diventa il più grande simbolo della profondità nascosta di questa serie tv.

Tralasciando gli amori travagliati, il romanticismo stantìo e la protagonista che ci fa ringraziare il cielo che nell’Ottocento non avessero accesso a Tinder, la perla nascosta di The Buccaneers sono le donne di confine: quelle che durante le feste si nascondono in un angolo, quelle che si nascondono in un armadio, e quelle che a un certo punto della loro vita smettono di nascondersi.

Anche i personaggi maschili di The Buccaneers hanno qualcosa da dire, e lo fanno con estremo equilibrio.

The Buccaneers (640×360)

Se il principe alla ricerca della sua Cenerentola non ci dice nulla di nuovo, la voce di chi non parla è la più rumorosa nella stanza. Mi riferisco ovviamente del controverso Lord James Seadown (Barney Fishwick), aka il villain di questa prima stagione. Lord James è semplicemente un uomo che abusa del suo essere uomo. Combatte il disprezzo per la “volgarità” americana con la violenza in ogni sua forma, e ancora una volta scorgiamo una realtà senza tempo dietro la patina di leggerezza.

La violenza apporta lividi sulla pelle e fratture sulla mente, la vergogna di cui la donna sente il peso sulle spalle non è altro che il riflesso di una vergogna più grande, che non può essere cancellata e che appartiene all’uomo. Certo, continuando l’analisi sugli altri ruoli maschili sembra quasi ovvio come il complesso gruppo di personaggi manchi di tridimensionalità, ma è anche vero che una sola stagione non è sufficiente per analizzare il complesso spettro di una personalità.

Infatti, se spostiamo l’attenzione sul fratello Lord Richard (Josh Dylan) ritroviamo un animo più gioviale e fanciullesco, il quale sembra rappresentare il trionfo del vero amore sulla complessa e travagliata realtà esteriore. Ma il dissidio interiore di Richard rimane, anche in questo caso, in uno stadio embrionale che riduce il personaggio a uno stato bambinesco intrappolato tra il volere e il dovere.

Un discorso a parte va fatto per i due protagonisti di The Buccaneers: Theo (Guy Remmers) e Guy (Matthew Broome), i due migliori amici che si ritrovano a lottare per la conquista del cuore di Nan

The Buccaneers (640 x 360)
The Buccaneers (640×360)

La prima legge dell’amicizia è quella di avere gusti opposti in fatto di amore, evidentemente nell’Ottocento di The Buccaneers non lo sapevano ancora, e hanno fatto i conti con un’altra massima intramontabile: come è piccolo il mondo. Certo, tutto sarebbe stato un po’ più semplice se Nan si fosse concessa il lusso di pensare prima di agire, ma questa è un’altra storia. Fatto sta che, in fin dei conti, non possiamo fare altro che ringraziare Apple Tv+ per averci fatto conoscere Guy e Matthew, due attori che hanno del potenziale per farsi notare.

In definitiva, non avevamo assolutamente bisogno di The Buccaneers, ma perché privarsi del lusso della leggerezza quando ci viene servita su un piatto d’argento (per poi scoprire che proprio così leggera non è)?! La seconda domanda che sorge spontanea è: abbiamo bisogno di una seconda stagione? Assolutamente sì.