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The Girl from Plainville è brutalmente dolorosa

The Girl from Plainville
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A volte facciamo davvero fatica a scrivere di certe serie tv. Quelle serie di cui sembra impossibile parlare in maniera più o meno oggettiva, quei prodotti dove, alla fine, sembra che non ci sia niente da aggiungere. Eppure non si può, e anzi bisogna cercare di fare il contrario: bisogna parlare di queste storie. Dieci, cento, mille volte di più se sono vere. The Girl from Plainville, la serie con protagonista Elle Fanning, fa proprio questo. Ci costringe a confrontarci con qualcosa di impensabile: il male gratuito, davanti ai nostri occhi. The Girl from Plainville è brutalmente dolorosa, così tanto che si fa fatica guardarla. E proprio per questo va vista.

The Girl from Plainville
The Girl from Plainville (640×360)

Non trovate che sia a dir poco bizzarro pensare di conoscere un attore o un’attrice, credere di averlo visto in tutte le sue sfaccettature e di sapere che cosa è in grado di fare, per poi rendersi conto di aver sbagliato su tutta la linea? La Elle Fanning di questa serie crime ci mette infatti davvero poco a dimostrare di non essere più l’eterna principessa bionda di Hollywood dalla faccia pulita e gentile. In The Girl from Plainville, a differenza della comica The Great che anche la vede protagonista, non si parla di una “occasionally true story“. E’ tutto fin troppo vero.

La serie tv drammatica, uscita nel 2022 su Hulu e distribuita in Italia su Amazon Prime Video, segue le vicende di un terribile fatto di cronaca, avvenuto negli Stati Uniti nel 2014: il suicidio del diciottenne Conrad Roy e la successiva vicenda processuale che coinvolse la sua fidanzata del tempo, Michelle Carter, accusata di averlo istigato a suicidarsi. Attraverso le straordinarie performance di Elle Fanning e Colton Ryan assistiamo a continui salti temporali che raccontano la storia d’amore tra Michelle e Conrad: una storia complessa, impossibile da capire, eppure molto facile da inquadrare. Perché The Girl from Plainville non è una di quelle serie tv crime dove è difficile capire chi è il colpevole: ce l’abbiamo sbattuto davanti, in piena luce. E comunque facciamo ancora fatica a capire se si debba parlare di colpe, in questa vicenda. O quanto piuttosto di sofferenza, incapacità di comprensione, omertà e altri mille aspetti diversi.

The Girl from Plainville (640×360)

La serie prima di tutto dipinge un quadro fin troppo chiaro di come funziona la legge (e la giustizia) in un paese sempre pronto a schiaffare sulle prime pagine sui giornali un caso di cronaca, se questo risulta “abbastanza” attraente. The Girl from Plainville fa di tutto per depistarvi, per spingervi a riesaminare una vicenda apparentemente “semplice” per farla diventare una matassa complessa e informe, dove non è più così immediato capire chi sia il carnefice e chi la vittima. Addirittura, la serie si pone e ci pone una domanda scomodissima: si può parlare di colpe, da una parte o dall’altra, quando si tratta di disturbi mentali? Quando si tratta di depressione, uno dei mali più ostici e complessi che affligge i giovani?

Si, si può. Perché quello che parte come un suicidio, l’ultimo disperato atto di un giovane senza più alcuna speranza per il suo futuro, diventa una lunga, estenuante e terribile ricerca della verità. Quanta responsabilità hanno i genitori davanti alle silenziose grida di aiuto dei figli? Quanto conta l’amore, l’affetto, il supporto quando agli occhi di qualcun altro il mondo sembra solo una grossa voragine di dolore? Quando si può tracciare la linea tra omicidio e suicidio, e di quale linea si parla? E soprattutto: davanti a una bestialità del genere si può parlare di amore, anche quello giovanile? The Girl from Plainville non risponde a nessuna di queste domande e al tempo stesso le esamina tutte meccanicamente, una per una. E con otto episodi della durata di un’ora ci ricorda che, spesso, le risposte non ci sono. Anche quando vorremmo disperatamente trovarle.

Elle Fanning (640×360)

La serie è altrettanto brava nel spargere molliche di pane per tutto il percorso, aspetti della narrazione che visti una prima volta appaiono senza significato e che, quando vengono riesaminati con più attenzione, rivelano un mondo. Abbiamo Michelle, che dissemina negli episodi citazioni appartenenti a questo o a quell’altro media (tra cui Glee e romanzi come Colpa delle stelle) che ci fanno rabbrividire fino alle ossa perché nascondono la totale incapacità della ragazza di provare emozioni umane, vere. Emozioni che ruba dagli altri per farle proprie. Abbiamo il dolore di una madre, spezzata in due dalla morte del figlio: un dolore che ci appare fin troppo composto, silenzioso, quasi dimenticabile. Un dolore che semplicemente si rivela una sofferenza ancestrale, troppo forte per essere mostrata. Un indizio qua, uno là e un quadro che assume concretezza solo alla fine.

In The Girl from Plainville non c’è un protagonista, perché la vicenda raccontata sgomita, spinge e non lascia spazio a nessun altro. Elle Fanning è fenomenale, distruttiva e propria di un’espressività senza sforzo che non si vede spesso in televisione. Soprattutto, non ruba mai la scena al volto che rimane impresso alla fine della visione, il personaggio che deve essere ricordato se da questa storia dobbiamo imparare qualcosa: quello di Conrad (e di uno straordinario Colton Ryan). Un ragazzo che riesce a raccontarci la sua storia in silenzio, partecipando ad un paio di dialoghi a puntata, e che gioca molto più di sguardi, movimenti, frasi non dette.

Perché tutto quello che fa davvero paura della depressione non si vede, spesso fino a quando non è troppo tardi. Una serie brutale e al contempo fine, per raccontare di un male sottile, spaventoso e tremendamente difficile da capire. Un male che si affronta come si può, a tentoni. The Girl from Plainville i tentativi però non li conosce: sa cosa dire, sa come dirlo. E ce lo urla tutto in faccia.

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