ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla prima stagione di The Good Mothers
Sin dal suo annuncio, The Good Mothers è stata una serie molto attesa e la curiosità è cresciuta a dismisura poco più di un mese fa, quando la produzione di Disney Plus si è imposta alla Berlinale vincendo il prestigioso Series Award. La storia narrata è di quelle intense e drammatiche: la misteriosa scomparsa di Lea Garofalo, testimone di giustizia contro la ‘Ndrangheta, il destino di sua figlia Denise e, tra fiction e realtà, le vicende di altre donne che si sono ribellate alla malavita.
A primo impatto, The Good Mothers potrebbe sembrare l’ennesimo mafia drama sfornato dalla produzione italiana, ma è molto, ma molto, di più. È una storia d’amore, nella sua forma più potente e primigenia che ci sia, quella di una madre per i suoi figli, ma è anche una storia di violenza, di soprusi, di vittime di un sistema marcio e all’apparenza inscalfibile. Sono proprio queste madri, però, queste donne costantemente represse e disprezzate, a poter dare una bordata decisiva a quel mondo malato che tenta in ogni modo di fagocitarle. Ed è quindi anche una storia di riscatto, di rivincita. The Good Mothers è questo e molto altro: è una serie semplicemente necessaria e grandiosa.
The Good Mothers è un nuovo tipo di mafia drama
Nell’analisi della serie di Disney Plus partiamo da considerazioni di tipo strutturale, che servono a inquadrare bene il prodotto e il grande apporto che è in grado di dare. The Good Mothers rientra in un disegno più ampio che sta caratterizzando la serialità italiana negli ultimi tempi: quello del rinnovamento di quel format principe della nostra produzione che è il mafia drama. Per anni l’universo nostrano si è incardinato intorno a prodotti come Romanzo Criminale o Gomorra, esportando questo format in tutto il mondo e perfezionandolo, assurgendolo a simbolo d’eccellenza italiana nel globo. Come spesso accade, il panorama a un certo punto è divenuto saturo e difficile da migliorare e allora si è cominciato a lavorare sulle variazioni, con un percorso che porta dritto alla serie con Gaia Girace.
In tal senso, negli ultimi tempi abbiamo visto prodotti dalla forma innovativa molto pronunciata, come le serie di Prime Video Bang Bang Baby e The Bad Guy e ora The Good Mothers, anche se con un approccio decisamente diverso, rientra in quest’ottica più vasta, con la sua capacità di rinnovare profondamente il mafia drama offrendo un punto di vista ancora nuovo, estremamente crudo e realistico. Al centro di questo racconto ci sono le donne, ma nella loro dimensione più intima e il focus è puntato sulla loro sofferenza, che fa da contraltare al grande amore materno e alla forza che ne deriva. La drammaticità della serie è ampliata da quel clima di tensione continua che si percepisce sin dai primi istanti e il tutto viene inquadrato in un contesto estremamente delineato, alla cui definizione concorrono tantissimi fattori.
La storia nel suo complesso è calata in una cornice davvero azzeccata, in cui ogni minimo elemento è curato alla perfezione. Tra questi, ad esempio, c’è l’uso del dialetto, funzionale a contestualizzare il racconto, ma senza esagerare e limitarne la portata. Poi ci sono le straordinarie interpretazioni della sempre più prodigiosa Gaia Girace, che dopo L’Amica geniale si conferma alla grande, ma in generale di tutto un cast di altissimo livello, da Barbara Chiarichelli nei panni di Anna a Valentina Bellè in quelli di Giuseppina Pesce, arrivando a Simona Destefano e alla sempre splendida Micaela Ramazzotti. Ogni elemento contestuale fa da contorno a una trama che funziona alla grande e che mette in scena le storie drammatiche ed eroiche delle donne protagoniste
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Donne e madri
Abbiamo parlato di diversi elementi contestuali nel paragrafo precedente, ma The Good Mothers è innanzitutto una storia di donne e di madri. Sono loro le protagoniste della serie e intorno a loro ruota il racconto. Tutto parte dalla scomparsa di Lea e da qui s’innesca il dramma di Denise, cui poi si sovrappongono quelli di Giusy e di Concetta. Il mirino rimane sempre fisso sulla sofferenza che comporta il ruolo che queste donne sono chiamate a vivere nel sistema dominato dalla ‘Ndrangheta. La loro è una storia di violenza e di soprusi, di un destino già segnato dalla nascita, senza alcuna possibilità, almeno apparentemente, di riscatto. E allora, qual è l’unica forza per riuscire ad andare avanti in questa non vita? L’essere madre.
Ciò che muove tutte queste donne protagoniste è l‘amore materno, che sia quello di una madre per i figli o viceversa, poco cambia. Denise si batte per rendere giustizia a sua madre, allo stesso modo Giusy diventa una testimone di giustizia per i suoi figli e Concetta, per loro amore, rinuncia alla sua via di fuga. Nonostante tutto, queste donne non si arrendono. Vacillano, si piegano, ma non si spezzano mai. Anche quando tutto sembra perduto, basta poco per riaccendere una scintilla: una chat con uno sconosciuto sui social, una relazione clandestina. Ogni scusa è buona per ricordarsi di vivere, perché le madri non possono permettersi di smettere di farlo. Finché è possibile, si rimane in vita, perché queste donne non sono solo tali, ma sono madri, o figlie, e percepiscono che il loro destino non appartiene solo a loro, ma è legato a filo stretto a ciò che più amano.
Di contraltare, ci sono poi le madri di madri, le nonne, che in The Good Mothers hanno invece una connotazione più negativa, o quanto meno controversa. Queste donne non hanno più quella voglia di libertà, quella scintilla. Forse in passato l’hanno avuta, ma ormai si sono spezzate e sono divenute non solo parte dell’ordine costituito, ma anche fautrici a loro volta di un sistema patriarcale che non fanno altro che far prosperare col loro assenso. Impossibile dare un giudizio a riguardo, perché una vita di sofferenza e violenza può lasciare cicatrici enormi e inguaribili, ma quello che la serie di Disney Plus mostra con questo esempio è cosa succede se quella scintilla si spegne, se le donne smettono di essere madri, di lottare per i figli. Se si arrendono.
Gli uomini e la società patriarcale in The Good Mothers
La serie di Disney Plus offre un contrasto netto e vivido tra le donne e gli uomini. Quest’ultimi hanno dei connotati fortemente negativi, sono dipinti con accezione mostruosa, esseri violenti e prevaricatori. Per inquadrare al meglio la sofferenza delle protagoniste era necessario evidenziare questi tratti e la produzione con Gaia Girace centra il suo obiettivo, restituendo uno spaccato vivido della società patriarcale e machista che contrassegna il mondo della ‘Ndrangheta. Sono gli uomini a creare quel clima di costante tensione e pressione, di violenza che può essere sia fisica – e la serie non manca di farci vedere questi momenti prendendoci letteralmente a pugni dello stomaco – che psicologica, come quella esercitata su Giusy e Concetta dopo la fuga dalla loro stessa famiglia.
Essendo imperniate su un modello prettamente maschile, infatti, anche le famiglie costituiscono un ambiente tossico, tra gli uomini che esercitano la propria violenza e quelle nonne che ormai si sono alienate a un sistema del genere. Non c’è posto meno sicuro di casa per una donna, perché è il dominio degli uomini e in quanto tale del sopruso e della violenza.
Naturalmente, The Good Mothers è molto lontana dal generalizzare e offre anche una via alternativa, decisamente più sottile da cogliere, ma interessante. Una luce, anzi forse è più indicato dire una fiammella fioca, è offerta dalla figura di Carmine, che mantiene un velo di ambivalenza che lascia intravedere degli sviluppi. Il sentimento che il ragazzo prova per Denise mette in mostra delle crepe in quella cultura machista di cui è imbevuto. Carmine è lontano dall’essere una figura positiva, questo è chiaro, ma è impossibile non considerarlo semplicemente un prodotto dell’ambiente in cui è cresciuto. Non c’è un’attitudine violenta in lui, lo dimostra con Denise a più riprese, ma chiaramente c’è una forte tendenza a far parte di quel mondo criminale ed è una cosa comprensibile visto che è l’unica realtà che ha conosciuto nella sua vita. Ma una considerazione sorge spontanea: se Carmine venisse allontanato da quell’ambiente, saprebbe redimersi? Chi scrive scommette di sì e questo fascio di speranza, magari anche flebile, è sicuramente considerevole.
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La precarietà dei testimoni
Un altro tema delicato che la serie affronta è quello relativo alla questione dei testimoni. In apertura, Anna si chiede cosa abbia spinto Lea a tornare da Carlo e la risposta alla sua domanda la offre la parabola di Giusy. Tramite i flashback legati a Denise e sua madre vediamo alcuni lampi della difficile situazione che le due hanno vissuto nel periodo in cui sono state nel programma protezione testimoni, ma con la figlia del boss Pesce la viviamo in prima persona. Sono tanti i tormenti che affliggono i testimoni: la paura, la solitudine, il disagio che vivono i figli e gli affetti cari. A tutto questo, poi, si aggiunge, molto spesso, una parziale negligenza delle istituzioni, evidenziata dalla stessa Anna, che spesso non protegge al meglio quelle persone dopo la collaborazione.
Questo è un tema fondamentale perché è la chiave del cambiamento. Il pentimento deve essere sicuro, perché comporta dei rischi enormi e molto spesso a vincere è la paura, anche comprensibilmente. Questo timore non fa che aumentare quel circolo di violenza che alimenta la malavita e il caso di Giusy è un esempio chiaro di tutte le difficoltà che possono emergere in una situazione del genere. Al contrario, invece, Anna è la testimonianza di ciò che la giustizia deve dare a chi decide di collaborare, soprattuto se vive situazioni del genere.
Il trionfo di The Good Mothers
Riprendiamo, ora, le redini del discorso e stiliamo un po’ di considerazioni finali sulla produzione di Disney Plus. In apertura abbiamo definito The Good Mothers una serie necessaria e grandiosa e, alla luce di ciò che è emerso da questa analisi, è evidente perché lo sia. Questa è una storia che, semplicemente, andava raccontata, perché è una di quelle narrazioni universali ed esemplificative. La via scelta è stata quella giusta, una via cruda, diretta, molto forte, ma solo così una storia del genere poteva essere raccontata. Se si pensa che le vicende narrate risalgono a poco più di dieci anni fa, ciò che abbiamo visto diventa ancora più impressionante.
The Good Mothers prende letteralmente a schiaffi gli spettatori, gli sbatte addosso quella violenza e quella sofferenza che le donne protagoniste hanno assaggiato e subìto per tutta la loro vita. Lo spaccato emotivo offerto è vivido e impressionante, arricchito, ed è bene ribadirlo ancora una volta, da prove attoriali eccezionali e da un lavoro sulla trama e sul contesto efficacissimo.
Trionfale, doverosa, dolorosa: The Good Mothers è tutto questo. È anche, però, una dedica a tutte le madri del mondo, a quelle che lottano, in ogni contesto – perché questo della ‘Ndrangheta è solo uno – e che non si arrendono, anche quando sono piegate dalle botte, col sangue che gli riempie la bocca e la pelle che si fa nera di lividi. Anche quando sono minacciate, tormentate, insultate, disprezzate: con la forza del loro amore, le madri possono reagire, ma è importante che trovino chi sia disposto ad aiutarle.