Soltanto qualche giorno fa la piattaforma streaming Netflix ci proponeva un prodotto biografico che raccontava una folle storia americana. The Watcher ha infatti riesumato l’assurda vicenda accaduta a una famiglia statunitense che, dopo essersi trasferita in una nuova casa, ha iniziato a vivere nel terrore a causa di alcune lettere minatorie. La serie creata da Ryan Murphy non aveva però soddisfatto neanche i suoi fan più accaniti a causa di un finale estremamente aperto e privo di qualsivoglia tipo di risposta. E’ chiaro che il regista non avrebbe potuto cambiare le sorti della storia, ma il problema in quel caso risiedeva nello sviluppo fantasioso che alzava sempre di più le aspettative per la puntata finale. I diversi sospettati erano infatti una novità introdotta da Murphy, e fu proprio questo il dettaglio che ci ha lasciati totalmente spiazzati di fronte al finale inconcluso di The Watcher. Per questa ragione approcciarci a The Good Nurse, la nuova pellicola Netflix con a capo Eddie Redmayne e Jessica Chastain, ci ha fatto riflettere sul perché questo racconto biografico fosse migliore della Serie Tv di Ryan Murphy. I due prodotti non condividono assolutamente nulla, ma la loro distribuzione così vicina ci ha dato modo di riflettere sul motivo per cui, alla fine, The Good Nurse vince la sua scommessa facendo a meno dell’effetto sorpresa.
Quel che ha giocato un brutto scherzo in The Watcher è stata l’incoerenza con cui Murphy ha deciso di modificare lo sviluppo della storia salvo poi restituirle lo stesso finale. La sua voglia di giocare ha avuto la meglio rendendo The Watcher una Serie Tv incoerente che sceglie di ricordarsi dell’autenticità della storia soltanto alla fine. The Good Nurse, invece, è una pellicola coerente che si attiene ai fatti, rinunciando così a quella suspense che Murphy ha voluto creare a tutti i costi, e che poi l’ha sabotato.
The Good Nurse racconta un fatto di cronaca macabro e sconvolgente. Al centro della storia troviamo infatti Amy, una giovane infermiera che stringerà una forte amicizia con Charles Cullen, un infermiere all’apparenza generoso e altruista che in realtà nasconde un terribile lato oscuro: Cullen ha infatti preso servizio in ben nove ospedali diversi ed è sempre stato licenziato con delle ragioni che non corrispondevano alla realtà. Una volta giunto nell’ospedale di Amy, il ragazzo diventa bersaglio della polizia a causa di alcune assurde e improvvise morti tra i pazienti dell’ospedale. Anche chi non conosce la storia vera da cui è tratta la pellicola comprende immediatamente che dietro a questi eventi assurdi si nasconda in realtà lui, e la polizia farà di tutto pur di porre fine a questo massacro. Ad aiutarla ci sarà Amy, l’infermiera con cui Charles aveva stretto un buon legame, forse l’unica cui non fa mai del male.
La pellicola racconta così i giorni che precedettero l’arresto di Charlie senza mai strafare o inventare. Con fedeltà, The Good Nurse rimette insieme i pezzi accettando di dover narrare la storia di un killer travestito da infermiere che non conosce le ragioni per cui compie queste assurde azioni. Il film si lascia infatti andare alle incognite della storia senza aggiunger nulla di più durante lo sviluppo, accettando che un film biografico non possa far altro che ripercorrere gradualmente gli eventi. Per la stessa ragione, non capiamo come mai Charles abbia così tanto a cuore Amy e perché sia proprio lei l’unica a cui non fa del male. Indagare di più su questo legame o sulla psicologia di questo personaggio sarebbe di certo stato proficuo per The Good Nurse e il fatto di non averlo fatto potrebbe infastidire i telespettatori più curiosi, ma la verità è che nessuno – durante gli eventi reali – seppe mai cosa si celasse dietro la mente contorta e malata di Charles, e la pellicola non intende venir meno a questa realtà.
Anche a costo di risultare piatta – e non lo è – The Good Nurse non si lascia fregare dalla stessa intraprendenza di Murphy, e accetta di dover essere trasparente nelle sue incognite nonostante tutto. Nessuno negli anni capì mai perché Charles fece quel che fece, e questo è ben chiaro durante le due ore del film. Ma così com’è chiaro questo, è anche chiaro il fatto che The Good Nurse sia a tutti gli effetti un film che denuncia chiunque sapesse ma ha deciso di rimanere in silenzio: gli ospedali in cui egli lavorò.
The Good Nurse è infatti un film che, silenziosamente, denuncia la codardia e l’iporcrisia di tutti gli ospedali in cui prestò servizio. Licenziarlo senza mai denunciarlo per non infangare il nome dell’ospedale era una buona soluzione per tutti quanti, ma questo – ovviamente – non impedì a Charles di continuare a fare quel che faceva. Nessuno degli ospedali, una volta venuta a galla la faccenda, ricevette delle conseguenze per aver occultato la verità, nessuno pagò per aver assecondato la mente malata di un serial killer. Le pellicola cerca di raccontare questa indifferenza senza mai sfociare nel drammatico, anzi. Attraverso una fredda e distaccata narrazione, The Good Nurse lascia intravedere l’orrore di chi ha scelto di preservare il proprio ospedale a qualunque costo, anche quello della vita altrui. In un modo o nell’altro tutti, eccetto Amy, sono complici di Charles, anche chi lo licenziava. Allontanarlo dal proprio ospedale significava soltanto lavarsene le mani, come si soul dire, e non intervenire per far sì che le sue azioni cessassero.
Per questa ragione The Good Nurse si conferma come una pellicola estremamente discreta, attenta ai fatti, e rispettosa di chiunque abbia sofferto per questa storia. Senza mai cedere al dramma, il film segue gli eventi di questo scandalo americano facendo luce su una triste realtà: gli ospedali presi in causa hanno salvato diverse vite soltanto attraverso l’uso della medicina, e non della morale. Girarsi dall’altra parte in una faccenda come questa significa assecondare, anche se molti negavano fino all’impossibile questa condizione. In conclusione, The Good Nurse vince la propria impresa affermandosi come una biografia fedele e discreta. Probabilmente non godrà di un successo spropositato e verrà presto dimenticato, ma consapevole di aver sfruttato il suo momento di fama nel migliore dei modi. E, alla fine, va bene così.