Il primo ottobre ha fatto la sua comparsa sul catalogo Netflix The Guilty, film con la regia di Antoine Fuqua e con protagonista Jake Gyllenhaal. Si tratta in tutto e per tutto di un thriller crime e psicologico, in grado di mantenere salda l’attenzione dello spettatore per tutta la sua ora e mezza, o quasi. È indubbio che nel film non tutto funzioni alla perfezione, ma contemporaneamente sono anche molto pochi i dettagli che possono far storcere il naso allo spettatore. A dare poi maggiore corpo e credibilità alla storia è sicuramente la sceneggiatura, affidata alle mani di Nic Pizzolatto, nome che di certo non suonerà nuovo ai fan di serie tv più accaniti.
Remake della pellicola danese omonima del 2018, The Guilty è stato un film sicuramente apprezzato e acclamato dalla critica, che l’ha però comunque considerato leggermente inferiore rispetto all’originale di tre anni fa. Premetto, prima di partire con la recensione vera e propria, che non conosco l’originale, perciò posso basarmi solo su quanto visto sul catalogo Netflix e sull’interpretazione di Jake Gyllenhaal, che è comunque davvero incredibile. Lo spettatore rimane catturato totalmente dalla sua rete, riuscendo se possibile ad avvertire le stesse emozioni e le stesse difficoltà del protagonista.
The Guilty riesce infatti ad analizzare un dato spettro emotivo dell’animo umano, inserendolo al tempo stesso in un contesto sociale che non sempre riesce a dare il giusto supporto all’individuo.
Poco c’è da dire per quel che riguarda la trama. The Guilty racconta la storia di Joe Baylor, agente della polizia di Los Angeles che lavora durante il turno di notte al call center del 911, smistando quindi le varie chiamate per emergenze ai diversi dipartimenti. In un momento di grande difficoltà per la città dato dall’imperversare di un incendio verso le Hollywood Hills, Joe riceve una chiamata di una donna, Emily Lighton, che sembra essere stata rapita e che chiede aiuto per essere trovata dalla polizia e mettere al sicuro i suoi figli. L’agente Baylor prende tutta la vicenda incredibilmente a cuore, abbastanza da fare il possibile per salvare la vita della donna e fare luce su ciò che le è accaduto.
Trattandosi di un thriller, la vicenda viene trattata con una tensione costante e palpabile, data principalmente da due fattori: da una parte Joe e dall’altra Emily. Il personaggio interpretato da Jake Gyllenhaal dimostra fin da subito di avere un passato tormentato, che nel tempo l’ha portato a soffrire di una sorta di disturbo post traumatico da stress, con ripetuti attacchi di panico e rabbia incontrollata. La sua sete di giustizia è molto forte nei confronti della vicenda che si trova ad affrontare, ed è evidente che sta cercando di fare ammenda per problemi da lui stesso combinati in passato. Dall’altra parte troviamo Emily, una donna che sta soffrendo, ma che dimostra di nascondere qualcosa di più profondo, che viene sviscerato solo nella seconda metà del film. Assistere dunque ai suoi cambi d’umore è di grande importanza per lo spettatore, che quindi sente crescere in sé l’attenzione e il desiderio di sapere come si conclude la storia.
Al tempo stesso però, nonostante la solida struttura della storia proposta, non si può negare che The Guilty abbia dei difetti. Ci sono momenti in cui la tensione percepita diventa più alta, e altri in cui invece sembra essere rilasciata per una manciata di minuti, per poi tornare al vertice. La sensazione è quella di stare sulle montagne russe, con la differenza che dopo un po’ diventa quasi noioso stare dietro a tutto, e questo perché sembra non si arrivi al punto. Intendiamoci, arrivati alla fine del film tutto viene spiegato, ma fino a quel momento la confusione nello spettatore è davvero tanta, anche perché ci si trova oltre la seconda metà del film. Vedere arrivare la chiarezza sul finale, in maniera anche molto veloce, ha smorzato leggermente tutta la tensione che invece si è percepita fino a quel momento.
A dare un’ulteriore senso di oppressione e staticità ci pensa l’ambientazione. Tutto il film è infatti ambientato all’interno del call center, e si svolge tutto in una notte. Ci concentriamo solo ed esclusivamente su Joe Baylor, mentre degli altri personaggi sentiamo solamente le voci dal telefono. La location inalterata per tutta la durata della pellicola non aiuta granché lo spettatore nel tenere alta la sua attenzione, ma contemporaneamente sarebbe davvero impossibile pensare a The Guilty gestito in una maniera diversa. Paradossalmente la staticità dell’ambientazione è sia un pregio che un difetto del film.
Nel corso della storia, accompagnata dai suoi costanti alti e bassi, riusciamo a conoscere anche le verità che si celano dietro gli atteggiamenti dei due protagonisti. Ciò che risulta molto interessante è il punto di svolta riguardo Emily, vista come vittima fino a un certo punto e poi improvvisamente come carnefice. Una situazione giocata molto bene e della quale lo spettatore non riesce a rendersi conto totalmente finché non ne prende coscienza lo stesso Joe. D’altronde, trattandosi di una ripresa quasi totalmente in soggettiva, si è portati a entrare in empatia totale con il personaggio di Gyllenhaal, abbastanza da sentirne la stessa tensione, la stessa rabbia e la stessa frustrazione.
Al tempo stesso, risulta purtroppo meno d’impatto la rivelazione relativa proprio al passato di Joe. Già dall’inizio, con le chiamate della giornalista sul suo cellulare, ci rendiamo conto che l’uomo ha un certo scheletro nell’armadio. La totale verità, per la quale si è cercato di creare aspettativa nel corso del film, si sviscera solo in uno dei momenti cruciali di The Guilty, ovvero quando Joe riesce a trarre in salvo Emily dai suoi stessi demoni, impedendole di suicidarsi. Ci interessa molto sapere cosa è successo al protagonista, beninteso, ma la velocità e parzialmente, purtroppo, la funzionalità con cui viene sviscerato risulta essere talmente tanto veloce che rischia di perdersi nell’insieme. Si tratta di una frase detta in un battito di ciglia, e se lo spettatore è un minimo distratto potrebbe mancarla in pieno.
Se proviamo poi a prestare attenzione al lato tecnico, ci rendiamo conto di quanta attenzione è stata messa nei singoli dettagli. Si utilizzano moltissimo inquadrature in primo piano, o addirittura sui dettagli del viso di Joe, risaltando così tutti i suoi micromovimenti e aumentando ulteriormente la tensione nel corso della visione. Non è casuale nemmeno la scelta dei colori primari nelle scene, ovvero rosso, nero, blu e bianco, e chiaramente delle loro sfumature. Non solo danno un’idea chiara e precisa di quale sia l’ambientazione e la durata della vicenda, ma aumentano il senso di pesantezza e di pericolo che si vive nella centrale, espandendo la gravità dell’azione che va poi a rischiararsi sul finale, quando vediamo Joe crollare nel bagno e ammettere la sua colpa, decidendo anche di scontarla a pieno. In questo caso, il cambio radicale dal nero della notte al bianco del giorno, risalta ancora di più il senso si rilassamento progressivo dello spettatore.
Nel complesso The Guilty risulta essere un film ben fatto, coinvolgente, avvincente e davvero interessante, in grado di far passare allo spettatore un’ora e mezza di forte attenzione e di grande intensità. Come detto non mancano alcune problematiche, ma i messaggi proposti lasciano comunque il segno. Come viene detto alla fine del film “chi soffre salva chi soffre“, un concetto abbastanza emblematico che ben riassume la vicenda di The Guilty. Joe, un uomo distrutto da un incidente del suo passato, riesce a salvare la vita non solo di Emily, ma anche dei suoi figli e delle persone che le stanno intorno. Una grandissima conquista e rivalsa, specie considerando che, prima di giungere alla verità finale, passiamo degli attimi di dubbio non indifferenti, con la paura che invece tutto vada nel peggiore dei modi. Il rendersi conto di essere riuscito, davvero, a fare la cosa giusta, lo porterà ad abbracciare il suo destino, per quanto amaro possa essere.