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The Handmaid’s Tale 2×03: di madre in figlia

The Handmaid's Tale
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“Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.”

La nuova stagione telefilmica iniziata in autunno è stata fortemente influenzata dai movimenti Time’s Up e #MeToo, nati e allevati nel vivaio artistico americano. Dentro e fuori gli schermi, in maniera più o meno palese, quasi tutte le Serie Tv hanno abbracciato i movimenti. Questo però non significa che tutti ci abbiano preso in pieno, con un messaggio importante trasformatosi in noioso cliché o propaganda ossessiva, come nella seconda stagione di Jessica Jones. Una Serie Tv come The Handmaid’s Tale, che potremmo definire anticipatrice del movimento e suo manifesto più chiaro, calca il piede sull’acceleratore in questa seconda stagione ma senza cadere nella propaganda.

No, la Serie Tv pluripremiata agli Emmy continua a parlare delle donne nelle loro molteplici sfaccettature. Non solo di donne che ostentano la propria emancipazione e nemmeno della ricerca di un’arrogante superiorità che mal si sposa con il concetto di femminismo.

The Handmaid’s Tale ha per protagonista una donna che sbaglia, ripetutamente, ma sa vdi sbagliare. È una donna che ha trovato la propria indipendenza e poi anche una famiglia, le due cose non si escludono.

June è figlia, madre, moglie, amica, amante. June è, nella sua complessità e contraddizione, una donna. 

The Handmaid's Tale

Sono passati due mesi da quando Nick ha portato June nel suo nuovo rifugio e qui la donna ha trovato una sua routine, in attesa, raccogliendo informazioni sull’ascesa dei figli di Giacobbe grazie all’archivio del giornale. La ricerca della verità è uno dei fili rossi di questa seconda stagione di The Handmaid’s Tale, l’interrogativo al quale June non riesce a dare una risposta: come è potuto accadere senza che ce ne accorgessimo?

Non sono forse anche i nostri i tempi per domandarcelo? 

Dopo due mesi passati quindi nascosta e al sicuro, June viene spostata con la promessa di essere finalmente portata in Canada. Seppur con grande fatica, June rinuncia alla possibilità di recuperare Hannah e questa sua scelta le viene ricordata ben presto quando per una serie di circostanze si ritrova in casa di Omar e della sua Economoglie. June cambia così una prigione per un’altra, in una casa che le ricorda la propria, quella appartenuta a un’altra vita. Di fronte a un altro dei tanti volti di Gilead, June riflette amaramente che:

 “this is where I’d live if I hadn’t been an adultress, if I’d gone to church. If I’d played my cards right. If I’d known I was supposed to be playing cards.”

 

The Handmaid's Tale

Nel grigiore dei vestiti delle Economogli, June diventa un volto tra la folla, un’insignificante altra donna senza identità o valore se non quello di adempiere al proprio ruolo di moglie.

June ritorna, seppur con altre vesti, a essere un’Ancella. Quando la libertà è ormai a un passo, ecco che tutto va in frantumi e la donna viene catturata. June viene strappata al suo rifugio come un bambino lo sarebbe con la madre. In una drammatica metafora della nascita, June nasce quindi per la terza volta. 

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Una puntata che si interroga sul significato di libertà ma soprattutto su quello dell’essere madri. I flashback parlano di una vita pre-Gilead ma anche di una vita pre-Hannah, quando June era solo figlia e non madre o moglie. Nei flashback incontriamo così la madre di June, Holly (Cherry Jones), dottoressa in una clinica per aborti e simbolismo di quel femminismo strenuo e a volte cieco. Holly è una donna che incoraggia, supporta e combatte per tutte le donne. O meglio, tutte tranne sua figlia.

Holly ha cercato di crescere la figlia secondo un codice: le donne non devono essere ingabbiate da nessuno perché la loro libertà di scelta è solo loro. Allo stesso tempo, però, critica e disapprova tutto ciò che riguarda la figlia. Il lavoro e soprattutto Luke. I ricordi dolorosi di una madre che sembrava tenere poco a lei, che pareva non capirla e per niente supportarla si concludono con un ricordo di pura complicità e June finalmente capisce. Il rapporto tra una madre e una figlia è il più complesso che esista forse, e si ripete come un cerchio perché le parti a un certo punto si invertono.

“No mother is evere competely a child’s idea of what a mother should be and I suppose it works the other way around as well. But, despite everything, we didn’t do badly by one another. We did as well as most. I wish my mother were here so I could finally tell her I know this. So I could tell her I forgive her. And then I could tell Hannah to forgive me.”

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