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The Handmaid’s Tale 2×12: l’amore che sconfigge ogni fanatismo

The Handmaid's Tale
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La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.

La prima lettera di Paolo ai Corinzi è uno dei testi più profondi del Nuovo Testamento. Paolo vede le divisioni nella neonata comunità di Corinto, le brutture di un messaggio evangelico strumentalizzato e stravolto. Gli ebrei sono esclusi dall’Eucarestia, perfino perseguitati. Si adorano idoli e si segue chi un predicatore chi un altro. La lettera si propone perciò l’obiettivo di correggere le storture di una fede che rischiava di trasformarsi in fanatismo. Il messaggio di fondo, l’accorato, emotivo grido di Paolo è attraversato da un unico, costante elemento: l’amore. The Handmaid’s Tale: episodio dodicesimo – e penultimo – della seconda stagione. Cos’è l’amore?

Nella lettera ai Corinzi c’è un passo. Questo passo è universalmente conosciuto come “Inno all’amore”. L’autore con uno slancio assurdo e anacronistico per l’epoca ci mostra la profondità di qualcosa, di un sentimento che fino a quel momento, fino a quel minuscolo, insignificante attimo della storia dell’umanità sembrava non poter trovare spazio.The Handmaid's Tale

Questo sentimento è espresso, come tutti i Vangeli, con termine greco (lingua ‘internazionale’ di allora): agápē. L’agápē non è né la philia, il sentimento d’amicizia, né l’eros, l’attrazione carnale. L’agápē è nient’altro che l’amore. L’amore più profondo e sincero. Il sentimento in cui nel corso dell’intera storia biblica si manifesta Dio, insieme padre e madre. È il sentimento di un genitore per il figlio, di un innamorato per l’amata. È la più alta forma di carità, di dono di sé all’altro.

In questo episodio di The Handmaid’s Tale l’agápē è il grande e indiscusso protagonista.

Io credo che in questo posto ci si debba aggrappare all’amore ovunque lo si trovi”, afferma June. La forza del suo racconto sta tutta nell’amore che nutre per la figlia, l’amore sincero, autentico, profondissimo e indissolubile che una madre rivolge alla vita che ha messo al mondo. “Si dimentica forse una donna del suo bambino, / così da non commuoversi per il figlio del suo seno? / Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, / io invece non ti dimenticherò mai”. Così Dio si rivolge all’uomo, proprio in quel libro di Isaia che Serena cita a fine episodio. L’amore di una madre: questo è l’amore di Dio. Questo è il primo, unico, grandioso comandamento. Amare.

Questo è l’amore che Eden persegue tenacemente e disperatamente. Proprio lei che più di ogni altro sembrava disperatamente indottrinata alla perversa religiosità di Gilead. Lei che, nell’intervallo di un bacio, in quello sparuto, incostante attimo di bellezza scopre la Verità. L’autenticità del significato di amore. È lei che cita l’Inno all’amore di Paolo. Lei che, poco più che adolescente, va volontariamente incontro alla morte. Per amore. Eden diventa così “martire”, dal greco martyros, “testimone”.

Testimone coerente, disperato e ostinato dell’amore. Dell’unico vero sentimento in cui si manifesta Dio nell’uomo.

Così anche il fanatismo viene meno, cade, crolla sotto il peso di un’umanità che si rinsalda attorno all’autenticità più piena della sua natura, a quell’amore finale e insuperabile. “Eppure dice il Signore: / «Anche il prigioniero sarà strappato al forte, / la preda sfuggirà al tiranno. / Io avverserò i tuoi avversari; / io salverò i tuoi figli”.The Handmaid's Tale

Serena in The Handmaid’s Tale cita Isaia e in quel momento fa veramente sue le parole bibliche. In quell’attimo si rende realmente conto che Dio si rivolge al debole, all’oppresso e che Gilead è nient’altro che una tirannia. L’amore di Eden, il suo sacrificio, il martirio, fanno aprire gli occhi anche a lei. Così è da quegli stessi versetti fino ad allora strumentalizzati a uso e consumo di un regime autoritario e oppressivo infarinato di fanatismo che passa per bocca di Eden e Serena la salvezza. La finale ricomposizione dell’uomo con se stesso, col messaggio d’amore di Dio Padre.

Isaia scrive in un tempo difficile e incerto. Gli ebrei, finalmente liberi, dovranno intraprendere un lungo cammino, un nuovo Esodo che li riporterà da Babilonia nella terra degli avi. C’è scoramento, il popolo è ridotto a poche migliaia di persone e Dio sembra essersi eclissato. Isaia è consolatore degli ebrei, ricorda e provoca affermando che Dio è come una madre che non può dimenticare suo figlio.

Deus Caritas est, afferma Giovanni nella prima lettera: Dio è amore.

Gli abitanti di Gilead, come i Corinzi e gli Ebrei, hanno dimenticato il valore ultimo e più grande. Hanno permesso che interpretazioni arbitrarie e manipolate si imponessero sulla Parola. June ed Eden, come Isaia e Paolo, si fanno testimoni. Testimoni della fede vera e umanissima di chi “tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” in nome di quell’amore che “non avrà mai fine”. Destinato, com’è, a trionfare su qualunque regime violento.

Così, come un germoglio in mezzo ai rovi, rinasce l’umanità affidandosi a quelle straordinarie interpreti femminili che hanno dominato in lungo e largo The Handmaid’s Tale. Nella Bibbia d’altronde Dio dà la vita ed è quindi ruakh, “Spirito” declinato al femminile. June è allora profeta, annunciatrice d’amore. Eden è martire, testimone fino alla morte, di quell’amore.The Handmaid's Tale

Infine Serena: la più complessa e sfaccettata personalità di The Handmaid’s Tale è insieme donna e persecutrice delle donne. Ma, come Paolo, oppressore dei cristiani, anche Serena riceve la sua conversione sulla via di Damasco. Anche lei, ora più che mai, si rende conto delle storture del regime in cui ha vissuto e che ha aiutato a consolidarsi.

L’uomo è destinato al fraintendimento, portato a piegare secondo bisogno il messaggio religioso. Ma in lui, imprescindibile e inestirpabile legaccio, è anche un sentimento che non viene mai meno. Un sentimento sempre pronto a riaffiorare: nella nascita di un figlio; nella tenerezza di un bacio tra innamorati; nel sacrificio. Questo sentimento è in greco l’agápē. Ma non commetteremo errore a chiamarlo, molto più semplicemente, col nome di Amore.

E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sono nulla”.

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