Un carillon opaco fa da sottofondo all’eco di una storia lontana e di una canzone dai contorni sbiaditi che continua a riecheggiare nel vento con ostinazione e pervicacia. Con questa melodia iniziamo il nostro cammino sul sentiero di The Haunting of Bly Manor, secondo capitolo della serie tv antologica di Mike Flanagan che, dopo il grande successo di The Haunting of Hill House, si era fatto notare per l’ambiziosa trasposizione cinematografica di Doctor Sleep, sequel di Shining.
The Haunting of Bly Manor trae ispirazione da Giro di vite, romanzo di Henry James. Nel cast ritroviamo gran parte degli attori di Hill House, ma bastano pochi secondi affinchè il ricordo di quei personaggi svanisca lasciando spazio a nuova storia, del tutto diversa da quella di Hill House.
Il paragone è inutile. Flanagan ha mantenuto intatta la cornice ma ha radicalmente cambiato il dipinto.
La sigla è le stessa ma con immagini differenti, la caccia ai fantasmi è invariata, così come i colori leggermente desaturati e il contrasto tra gli sparuti momenti di serenità e il latente alone di macabro che aleggia nella casa immensa. Ma Bly Manor non è Hill House ed è giusto così.
Certo è che, come potete leggere qui, Mike Flanagan ci aveva promesso una stagione ancora più paurosa della precedente e mi duole ammettere che sotto questo punto di vista siamo davvero fuori strada. The Haunting of Bly Manor fa decisamente meno paura di The Haunting of Hill House. Flanagan con una scelta controcorrente decide di non focalizzarsi tanto sui jumpscare, ma sulla recondita e perdurante attesa degli stessi. Con l’espandersi della narrazione riesce a instillare un’angoscia insidiosa nel nostro animo, turbarlo gradualmente finché non rimaniamo intrappolati tra le mura di quel maniero come un topo nella colla della sua trappola.
D’altronde The Haunting of Bly Manor non è una storia di fantasmi, è una storia d’amore.
Ci sembra quasi di sedere immersi nella luce scoppiettante di un falò, con il fiato sospeso e le orecchie tese ad ascoltare qualcuno che ci racconta una storia. La colonna sonora ci accompagna setosa in questo viaggio, ci trasporta nel mondo ovattato dei ricordi e riusciamo a carpirne tutta la bellezza, tutta la poesia. Perché è la poesia a regnare a Bly Manor, dietro lo scolorirsi di un volto, lo sfiorire di un fiore e lo stropicciarsi del lago c’è tanta poesia.
Flanagan utilizza lo strumento della paura per tessere il suo personale romanzo, indugia maggiormente sui dialoghi e sui personaggi, ognuno dei quali ha le sue “ossa da bruciare”. Ci insegna che l’amore ha i suoi fantasmi in ogni sua declinazione. I sentimenti sono la cosa più terrificante. Ma bisogna avere l’ardire di amare e di lasciare andare i ricordi per non esserne vincolati, lasciare andare il passato e vivere, finalmente vivere.
non possiamo contare sul passato
Tutto questo, però, non sarebbe stato possibile senza la straordinaria performance di tutto il cast di The Haunting of Bly Manor.
In particolare ritroviamo una Victoria Pedretti (qui potete leggere 7 curiosità sull’attrice) che ci fa immediatamente dimenticare della fragile Nell. Si trasforma in Dani, ragazza tanto giovane quanto tormentata che impara a conoscere se stessa e i suoi spettri. Un personaggio forte e dalle mille sfaccettature, che trova il coraggio di fronteggiare il proprio riflesso e di amare, questa volta per sempre.
It is you. It is me. It is us
Ed è impossibile non citare anche Amelie Bea Smith e Benjamin Evan Ainsworth: i piccoli fratelli Wingrave, dal passato travagliato e l’umore volubile. Nonostante la giovane età di entrambi, hanno dominato la scena riuscendo a intenerirci e inquietarci allo stesso tempo.
Ma forse il pregio più grande di questa serie consiste nel dilatare la storia senza renderla noiosa. Riescono a scombussolare le carte all’occorrenza in modo da tenere lo spettatore all’erta. A dispetto delle apparenze non è la solita storia della casa infestata, è una storia che cresce e respira come la casa stessa, rendendoci sempre più curiosi del passato allarmante e terrificante che si nasconde sotto il velo delle apparenze, rendendo tutto perfectly splendid.