Vi è mai capitato di guardare negli occhi la persona che credevate di conoscere più di voi stessi e chiedervi “che cosa so, in fondo, di lei”? Quella con cui vi aspettavate di passare tutta la vita, invecchiare, in cui vi sembrava di specchiarvi e di riconoscervi meravigliosamente simili? Quella che, in un battito d’ali, può diventare una completa estranea, un mostro sconosciuto venuto dalle fiabe per darvi la faccia. E’ da questa premessa, questo strisciante senso di impotenza e terrore che si prova davanti alla perdita di qualsiasi certezza, che parte la narrazione di The Last Thing He Told Me, miniserie aspettata con emozione, sbarcata su AppleTV+ qualche giorno fa e rapidamente diventata fonte inesauribile di discussione all’interno del mondo televisivo; c’è chi l’ha condannata, etichettandola come banale, e chi la elogia per la capacità di raccontare sapientemente il dolore all’interno di una cornice più crime. La nostra recensione di The Last Thing He Told Me, che altro non è se non un buon dramma travestito da thriller, parte da una premessa ben precisa: parliamo di un prodotto che nel complesso funziona, ma non come dovrebbe. E, soprattutto, vorrebbe.
Facciamo un passo indietro. Trasposizione televisiva dell’omonimo romanzo di Laura Dave (bestseller del New York Times e gioiellino consigliato niente po’ po’ di meno che dalla frizzante Reese Whiterspoon, qua nei vesti di produttore esecutivo, per il suo esclusivo club del libro), la serie risente in positivo dell’impronta data dalla scrittrice (che si è occupata di adattare il libro allo schermo) e da un entourage tutto al femminile che molto bene si inserisce nella dinamica della serie. Perché The Last Thing He Told Me, sotto sotto, è prima di tutto una bella storia di donne.
Nella buona e nella cattiva sorte. Una Jennifer Garner tornata sotto i riflettori dopo la fortunatissima Alias e un nuovo (ma forse sempre uguale?) Nikolaj Coster-Waldau interpretano rispettivamente Hannah e Owen, una coppia di novelli sposi che vive una vita apparentemente perfetta. La favola, però, non fa nemmeno in tempo a prendere forma che già si sgretola: un giorno il marito scompare nel nulla e tutto ciò che lascia dietro di sé è un biglietto. Un pezzo di carta qualunque, una parola sola: “proteggila”. Chi deve essere protetta è Bailey, la figlia di Owen (interpretata da una straordinaria Angourie Rice, forse la vera stella di questo prodotto), adolescente sui generis legatissima al padre da un lato, ancora bambina sofferente per la morte della madre dall’altro. Soprattutto, Bailey non ha mai accettato Hannah, alla quale è legata da un rapporto fatto di silenzi ostinati e intolleranza malcelata, e che vede solo come un’intrusa venuta a turbare un equilibrio che credeva imperituro. A peggiorare il tutto, lo scandalo di una possibile frode finanziaria coinvolge l’azienda di Owen: le due si ritrovano sole contro tutto e tutti e, braccate dai giornalisti e dalla polizia, tenteranno di risolvere un mistero che sembra più grande di loro.
In un’America che sembra uscita da un quadro, perfetta eppure sottilmente corrotta, assistiamo ad una narrazione abbastanza coinvolgente, intervallata da numerosi flashback che esplorano il passato dei personaggi e il rapporto nato nel corso degli anni tra un marito e una moglie che sembravano destinati a trovarsi e a non lasciarsi mai più. Bastano una manciata di episodi per capire che Hannah non è altro che mera spettatrice di una storia più complessa e decisamente più esplorata: quella del meraviglioso rapporto tra padre e figlia, vera spina dorsale di una serie che punta tutto sui drammi personali e lascia poco spazio all’azione. Bailey si fida incondizionatamente del padre (“tra me e lui non ci sono segreti“, afferma rabbiosa più di una volta); perché non dovrebbe? Quanto si sbaglia, la povera Bailey, a pensare che tutti i figli conoscano a fondo i propri genitori, e quanto ci sbagliamo noi, spettatori di una vicenda che ricorda più una tragica saga familiare che il thriller al cardiopalma di cui indossa le vesti.
Cosa succede quando tutto attorno a noi sembra crollare? Ci si aggrappa alle piccole cose, forse in maniera ossessiva ma comunque giustificata, per arrivare ad un barlume di quella verità che le due donne protagoniste cercano di raggiungere per tutta la durata della serie. Così, mentre Bailey affronta a fatica i propri demoni interiori e impara a confrontarsi con lo stigma di un padre scomparso, Hannah fa a pezzi una storia d’amore che credeva impeccabile in cerca di un segno, un avvertimento, un qualcosa che risolva la matassa ingarbugliata che è ormai la sua vita.
The Last Thing He Told Me insegna che chiunque di noi nasconde qualcosa. E che, spesso e volentieri, sono i segreti (e non l’amore) a tenere in piedi un matrimonio.
Il grosso problema della serie rimane, davanti a tutto, il peso di un’etichetta sbagliata. Scuote l’anima come dramma e non come thriller, finendo per scomparire in un mare di prodotti molto simili tra di loro e rischiando di finire dimenticata troppo in fretta. La tensione viene mantenuta, ma non abbastanza da assicurare una narrazione angosciante, e la tensione finisce spesso sacrificata per esplorare tutti quei dettagli infiniti e minuscoli che fanno di The Last Thing He Told Me un buon ritratto di quell’America di cui abbiamo ancora voglia di sentir parlare.
Davanti a tutti brilla Angourie Rice (che bello rivederla dopo Omicidio a Easttown), perfetta nel suo ruolo di ragazza che si finge adulta, sempre troppo impegnata a rifuggire un amore che in realtà brama disperatamente. Un po’ meno il nostro affezionato Jaime Lannister, che senza spada e scudo perde la metà del suo fascino e anche parte dell’attrattiva; Jennifer Garner sempre precisa e puntuale, forse un po’ poco avvicinabile ma comunque affascinante. Nel complesso la serie finisce anche per commuovere e per veicolare qualche insegnamento interessante, congedandosi con un finale che arriva preciso e al momento giusto, più scontato di quanto vorrebbe ma comunque coerente con il senso di fondo della serie.
Sicuramente a The Last Thing He Told Me va dato il merito, un po’ come l’incipit del capolavoro di Saviano Zero Zero Zero, di riuscire a insegnare ancora qualcosa sulla psiche umana. Guardatevi intorno e riflettete: chi siete davvero? Ma soprattutto chiedetevi: chi sono davvero gli altri?
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