Ogni mercoledì e ogni sabato sera, sempre alle 22.30, vi portiamo con noi all’interno di alcuni tra i momenti più significativi della storia recente e passata delle Serie Tv con le nostre recensioni ‘a posteriori’ di alcune puntate. Oggi è il turno della 1×01 di The Leftovers.
The Leftovers 1×01 inizia con la quotidianità più semplice: con una donna impegnata nelle difficoltà di ogni giorno, con la frenesia della vita e con un figlio che piange. Probabilmente, colpevolmente, per un attimo appena, un pensiero deve aver sfiorato quella madre. Un pensiero imbarazzante ma che inevitabilmente, come un lampo incontrollato, è passato nelle nostre teste almeno una volta nella vita. Quanto vorrei che non fosse qui. Quanto vorrei che non rendesse tutto più difficile col suo pianto, con la sua dose di problemi, con quella pesantezza di cui dobbiamo occuparci. È un nanosecondo, niente di più, e subito dopo finiamo per provare vergogna per averlo anche solo pensato. Lo abbiamo pensato di un nostro parente, di un genitore, un figlio, un amico. È stata solo la rabbia, l’esasperazione del momento, ci diciamo, e ci affrettiamo a scacciare via il desiderio, a nasconderlo nel recesso più segreto e inconfessato del nostro cuore.
Così com’è comparso lo facciamo sparire e con tutto l’amore che abbiamo rimuoviamo la follia di un momento.
Ma in The Leftovers questo non è possibile. Quel secondo dura per sempre perché quel vergognoso, colpevole desiderio di un istante diventa realtà: nostro figlio scompare. E allora non ci resta altro che chiederci se ne siamo i veri responsabili. Non ci resta altro che convivere col peso della colpa perché chi soffre non è chi se ne va, ma chi resta. Si alza la musica, quella meravigliosa, struggente, devastante sinfonia che ci accompagnerà per tutto The Leftovers, che si imprimerà per sempre dentro di noi, erodendo una parte di noi, scoprendo quella parte inconfessata di noi e dei nostri desideri che pensavamo di aver seppellito per sempre.
Iniziano le grida, l’invocazione disperata dei nomi delle persone scomparse che mute come un Dio lontano e indifferente non osano rispondere né dare un solo segno della loro presenza. Siamo soli e siamo chiamati a convivere con questa solitudine. “We are living reminders“, campeggia a chiare lettere nella sede dei Colpevoli Sopravvissuti, di coloro che hanno scelto di rinunciare a vivere per non dimenticare mai. Si legano a quel ricordo, lo rendono eterno, immutato. Vivono del dolore, si alimentano di quel dolore perché si sentono colpevoli, perché quel pensiero orribile deve averli attraversati almeno una volta. Siamo promemoria viventi, ripetono a se stessi e agli altri. Vogliono che nessuno dimentichi perché non riescono ad accettare che si possa tornare alla vita di tutti i giorni, a quella quotidianità irrimediabilmente infranta dalla sparizione.
C’è tutto il senso di The Leftovers in questo pilot, in un episodio che condensa i diversi, perfino opposti modi di affrontare il lutto, di vivere la perdita irrimediabile e senza senso. Perché è questo il dolore più grande: non trovare un senso perché un senso non c’è. A essere spariti sono persone di ogni tipo, buoni e malvagi, fedeli e atei, uomini, donne e bambini. C’è chi si danna a cercare a tutti i costi una ragione, a provare a cogliere la costante dietro a tanto caos: così farà Nora consacrandosi alla ricerca della verità e giungendo poi a una verità che non può soddisfarla. C’è chi finge non sia mai accaduto, che la vita sia quella di sempre, che il dolore, ignorato, possa alla fine sparire. Ma sono proprio questi ultimi, messi di fronte alla protesta silenziosa dei Colpevoli Sopravvissuti durante l’Heroes Day, a far esplodere la loro rabbia, quella rabbia troppo a lungo repressa, nascosta tra le pieghe di un’angosciosa volontà di fingere che tutto vada bene.
Così fa anche Jill, la figlia di Kevin, che conduce una vita fatta di quotidianità ma che non riesce, semplicemente non può, essere in pace.
E così risponde alle provocazioni, annega negli scatti di rabbia improvvisi e nei fumi dell’incosciente ebbrezza di una festa. Salvo poi rendersi conto che a nulla serve, che quel dolore che giace sedimentato nel suo cuore non la lascerà mai. Non si è perso solo chi è scomparso ma soprattutto chi è rimasto. Ormai privo di certezze e di una guida c’è chi si affida ora alla speranza di una fede silenziosa, come Laurie che abbraccia il culto dei Colpevoli Sopravvissuti, ora all’idea di ordine e giustizia, come Kevin che si veste dell’abito del tutore della Legge nella convinzione poco convinta che una ricostruzione sia possibile.
Proprio lui, uno dei protagonisti principali di The Leftovers, dramma collettivo, ha su di sé il peso di una famiglia distrutta e disgregata che quella sua Legge civile non può ricompattare. Ha perso una moglie allontanatasi da lui e dai suoi figli. Ha perso Tommy legatosi al culto di Santo Wayne, mentre Jill è lontana emotivamente, chiusa nel suo dolore rabbioso. La frammentazione della vita familiare la sente come una colpa perché lui quel pensiero impronunciabile lo ha trasformato in un atto, tradendo la moglie, tradendo la sua famiglia. Ha desiderato per un istante di sensuale godimento di essere libero dalla sua famiglia, che la sua famiglia non esistesse. E quel desiderio si è trasformato in realtà, giorno dopo giorno, dolore su dolore. Anche lui vive la colpa di essere rimasto mentre gli altri se ne sono andati.
La disgregazione per Kevin non è soltanto quella del nucleo familiare ma una scissione esistenziale, interiore. Ha dei blackout che gli impediscono di rimanere cosciente, che gli fanno chiedere costantemente: “Sono sveglio ora?“. Vive il trauma di un evento senza senso, di un evento che nella sua irrazionalità fa impazzire gli animali, cani e cervi, come uomini. E così Kevin è chiamato a colmare i vuoti, i buchi neri di momenti che non ricorda, provando a ritessere tutto insieme, provando ad attirare in un moto centripeto insieme frammenti di memoria, figli e moglie. Ma tutto è lontano, incerto, confuso. Lui stesso è spaccato irrimediabilmente in due e lo sarà per sempre, fino al meraviglioso finale di The Leftovers quando riuscirà a tessere insieme i fili di una nuova famiglia.
Ma per ora, in questa 1×01 di The Leftovers è soltanto un uomo solo e scisso.
Un uomo che chiama ripetutamente un figlio scomparso, assente, che ha deciso di rompere ogni rapporto con lui. Tommy ha colto l’ipocrisia della sua famiglia, il germe del male che l’ha sfasciata per sempre e ha scelto di andarsene. Ha scelto di essere lui stesso uno degli scomparsi volatilizzandosi nell’aria. Tommy legge Lo straniero di Camus perché è lui stesso quello Straniero. Un ragazzo perso in ogni luogo, incapace di provare emozioni socialmente accettabili perché più di ogni altro capisce l’insensatezza del mondo, la follia che agita un universo che ha caoticamente, casualmente fatto sparire il 2% della popolazione.
Non c’è un senso, non ci sarà mai, in nessun episodio di The Leftovers. Neanche nel finale in cui sapremo cosa è successo ma non lo capiremo mai. Non lo capiremo noi, non lo capirà Nora che rinuncerà al ricordo di una vita che non può tornare abbracciando finalmente una nuova vita. The Leftovers: soffre solo chi resta. Perché chi resta è chiamato a convivere con l’insensatezza di quanto successo, col dolore di una perdita inspiegabile e ingiustificabile. È chiamato ad accettare che è semplicemente successo, senza un perché. È la pornografia del reale, il grottesco caos che agita un mondo nel quale chiunque abbia mai cercato una costante ha fallito irrimediabilmente. Accettare l’inaccettabile: a questo sono chiamati tutti i personaggi di The Leftovers. Ognuno sceglierà la sua strada che già intravediamo in questo primo episodio. Ognuno proverà a trovare la sua ragione di vita per poi semplicemente capire che la vita più autentica una ragione non può averla. Che non ci si può affidare a un culto o a una speranza per trovare la forza di vivere. Ma soltanto all’amore.
Solo l’amore riuscirà a sopravvivere. Incapace di sostituire il dolore, viaggerà al fianco di ogni personaggio, scontrandosi e sovrapponendosi alla sofferenza, lasciandole il posto e riprendendoselo. Quel dolore, infatti, è autentico, reale, assoluto quanto l’amore stesso. Insieme prodotto e conseguenza dell’amore. Esiste ed esisterà per sempre perché nessuno può tornare indietro. La materia subatomica si agita nel mondo, le particelle si aggregano e disaggregano e così svanisce e si ricompone ogni cosa. Kevin imparerà a capirlo, soffrendo e aprendosi all’amore, accettando di essere quella parte del tutto che per un istante si è aggregata e che è destinata un giorno, come tanti suoi cari, a disgregarsi.
Questo di tante speranze e gioie resta: la consapevolezza della caducità dell’uomo, del suo essere irrimediabilmente in balia di un universo che può farti scomparire in un istante.
Resta l’uomo: resta Kevin, Nora, Laurie, Jill. Resta Meg che vediamo ora abbracciare per la prima volta il suo pruriginoso senso di insoddisfazione. Anche lei non trova più senso e gioia, anche lei si lascia andare a scatti di rabbia. Anche lei vuole trovare un senso. Proverà a farlo in un processo di estremizzazione che la renderà una dei più fedeli, fanatici seguaci dei Colpevoli Sopravvissuti. In questo penserà di aver trovato un senso di vita.
Tutti in The Leftovers sono nient’altro che lo Straniero di Camus. Sopravvissuti ma irrimediabilmente persi, schegge impazzite che vagano nel mondo cercando un senso profondo, provando a erodere strato dopo strato le ipocrisie di convenzioni sociali, rapporti formali, giustificazioni morali. Provando, come lo Straniero di Camus a vivere davvero. E se questo non è possibile, a morire. Scrive Camus dando sostanza ai pensieri del suo Straniero:
Sembrava così sicuro, vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era neanche sicuro di essere vivo, perché viveva come un morto. Certo, io sembravo a mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e della morte che mi aspettava. Sì, non avevo altro. Ma almeno possedevo quella verità quanto lei possedeva me. Avevo avuto ragione, avevo ancora ragione, avevo sempre ragione. Avevo vissuto in un modo e avrei potuto vivere in un altro. Avevo fatto questo e non avevo fatto quello. Non avevo fatto quella cosa ma avevo fatto quest’altra. E dopo? Era come se avessi aspettato per tutta la vita quel minuto e quell’alba che mi avrebbero giustificato. Niente, assolutamente niente aveva importanza, e sapevo bene perché.
Se si accetta l’insensatezza del mondo anche la morte può diventare occasione di felicità, momento di uscita dall’apatia di un dolore che ti ha accompagnato troppo a lungo. Non è trovando un senso alla vita che si può allontanare da sé quel peso che ci ha colti ma al contrario accettando il non senso. Accettando che ogni certezza, ogni fede, ogni convinzione fanatica vale meno di un capello di donna. Di fronte a questa verità ultima giungeranno i Sopravvissuti, The Leftovers. Ma non è ancora quel giorno. Siamo ancora qui, al pilot, e siamo chiamati a soffrire, urlare, dannarci gridando al cielo di darci una spiegazione.
Ci affidiamo a un credo, proviamo a trovare forza in quel credo ma siamo irrimediabilmente soli in questa 1×01.
È l’inizio del viaggio, il primo passo verso quella verità che ci farà urlare di avere ragione, verso quel minuto e quell’alba che daranno giustificazione a tutta la nostra vita. Verso la consapevolezza che tutto e nulla ha importanza. Ma non siamo ancora là. Non siamo ancora a quel punto di non ritorno. Siamo solo al principio di tutto, anche se in questo inizio intravediamo già il finale. Non possiamo bruciare le tappe, dobbiamo iniziare daccapo, ripartire da qui, dall’inizio di The Leftovers. Dalla rabbia, dal dolore, dalla ricerca di un senso. Noi come i protagonisti. Perché non si è perso solo chi è scomparso ma soprattutto chi è rimasto. Noi.