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The Substance – La Recensione del body horror che unisce grottesco e fascinazione

The Substance
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ATTEZIONE! La recensione contiene SPOILERS del film The Substance.

REMEMBER. YOU ARE ONE.

Perché abbiamo paura dei film dell’orrore? Una domanda apparentemente innocua, che nasconde un mondo di sottostrati e interpretazioni attorno alle quali molti hanno dedicato i propri studi e le proprie ricerche. Se in origine fu il folklore, adesso tutto quello che rimane di questi racconti popolari è proprio il genere di serie B per eccellenza. Intrecciando tra loro ignoto e pericolo, l’horror si trasforma in una lente d’ingrandimento attraverso cui esplorare i lati più oscuri della nostra mente. Singola e collettiva. Laddove, infatti l’horror esplora le nostre paure più profonde, non si limita a farlo nella dimensione del singolo individuo ma allarga la sua sfera d’influenza sulla società intera. Avvolgendola in questo manto oscuro, il genere ci mette inesorabilmente di fronte a un terrore primordiale. Un terrore che parla di morte, di sangue e violenza richiamando alla memoria le paure primitive che attanagliano l’umanità fin dall’alba dei tempi.

Tutte le manifestazioni orrorifiche, se portate alla luce attraverso l’arte e la narrazione, possono venire comprese e gestite. I mostri, i fantasmi e i demoni appaiono dunque solo come metafore delle forze sconosciute e incontrollabili che ci circondano, e l’orrore offre uno spazio per confrontarsi con essi. E in quel momento ultimo, che si configura magari con il grido spaventato di fronte a un jumpscare, coincide la catarsi (ecco 15 film che fanno al caso vostro). La liberazione emotiva che serve a noi tutti per dare sfogo alle ansie del quotidiano.

Quando parliamo quindi di horror come medium intendiamo proprio la sua intrinseca e duplice capacità di educare ed esorcizzare.

Da un lato, infatti, il genere sia in letteratura che al cinema, usa il linguaggio della paura per raccontare storie che riflettono problematiche sociali o storiche. Dall’altro diventa specchio oscuro sulle nostre paure più recondite e su quelle macabre pulsioni non dette. E così come accaduto in letteratura, anche nel mondo cinematografico il genere horror ha trovato il suo spazio in cui poter prosperare ed evolvere. Un genere che, anche se bistrattato dai più, trova sempre il modo per sorprenderci.

IL BODY HORROR

Se negli anni Ottanta, l’horror diventa un fenomeno commerciale grazie agli slasher movie, negli anni Novanta riflette su se stesso cedendo spesso alla parodia. Come nel caso di Scream, una delle saghe cinematografiche di genere horror più rivoluzionarie di sempre. Due esempi di ramificazioni di un genere che al cinema ha trovato innumerevoli modi per adattarsi ai tempi e alle esigenze. Al termine di questo pippone arriveremo da qualche parte? Certo che si perché il punto è: dove si colloca allora The Substance? Beh, l’horror rivelazione di questo 2024, che ha vinto a Cannes la miglior sceneggiatura, si trova alla fine di un filone molto prolifico denominato body horror. Ora dovete sapere che la qui presente è un’accanita fan dell’horror e quindi vi tocca un altro piccolo excursus sul sottogenere in questione. Mettetevi comodi.

Che cosa è il body horror? Negli anni ’70 e ’80, registi come David Cronenberg e John Carpenter hanno trasformato questo sottogenere in una piattaforma potente per esplorare le paure legate alla carne e alla mente, dando vita a opere iconiche che avrebbero ridefinito il panorama del genere al cinema. A differenza dell’horror tradizionale, che spesso ruota attorno a minacce esterne, il body horror si concentra sul corpo umano stesso, trasformandolo nel principale “mostro”.

Sottoposto a mutazioni, deformazioni o trasformazioni radicali, che portano a un totale stravolgimento della sua forma naturale, il corpo divenuto irriconoscibile riflette un’alienazione che è innanzitutto interiore.

La mosca di David Cronenberg (tra le migliori interpretazioni di Jeff Goldblum) e The Thing di John Carpenter (autore di un b-movie che ha fatto la storia del cinema) si servono di immagini forti che provocano disgusto e fascinazione insieme, giocando con l’ambiguità del corpo e con il modo in cui ci relazioniamo con esso. Il pubblico prova una repulsione irresistibile, che lo costringe a guardare per comprendere fino a dove si spingeranno le trasformazioni.

Quelle che il body horror mette in scena sono paure primordiali legate alla fragilità del corpo fatto di carne e ossa e al vano tentativo dell’essere umano di superare quei limiti, mettendo in discussione l’identità e la percezione di sé. Trasgredendo ogni norma e ogni limite, il sottogenere cinematografico ci mostra una realtà in cui l’orrore è già dentro di noi, sotto la pelle.

Il monito fondamentale di The Substance

L’ORRORE DI THE SUBSTANCE

Coralie Fargeat, già regista del brillante Revenge (che potete trovare sul catalogo Midnight Factory qui), riporta il body horror ai fasti di un tempo.  Elisabeth Sparkle è ormai latte avariato. Almeno agli occhi di un’industria dell’intrattenimento dominata da uomini grassi e bavosi che hanno stabilito quando il tempo di una donna giunge al termine. L’ex reginetta del fitness televisivo ha ormai le ore contate. L’inesorabile macchina dello showbiz non ha più bisogno di lei e d’altronde lei stessa guardandosi allo specchio capisce bene il perché. Centinaia, anzi migliaia di belle ragazze dai culi e le tette sode sono appostate come iene in attesa di avventarsi sulla sua carcassa. Guardandosi allo specchio, l’immagine riflessa restituisce una donna che ha commesso il più grave dei peccati: invecchiare.

Un’occasione bussa alla porta. Una seconda possibilità in forma di boccetta che permetta a Elizabeth di creare una versione migliore di se stessa.

Più bella, più giovane. Come Alice, anche Elizabeth decide dunque di bere da quella boccetta ma i risultati sono decisamente più raccapriccianti. Dal copro di Elizabeth emerge un clone, Sue, che condivide la stessa mente e coscienza e allo stesso tempo non lo fa. Sue è effettivamente tutto quello che Elizabeth è stata un tempo. La giovinezza esplode con dirompente sensualità permettendole di riconquistare fama e successo con un semplice battito di ciglia.

Sette giorni a testa. Questa è l’unica condizione che il prodotto richiede. Sette giorni per Elizabeth e sette giorni per Sue. Uno scambio equo al quale bisogna attenersi senza eccezioni, perché “remember you are one”. Ma Sue contravviene alla regola, ingorda delle attenzioni che la travolgono e che rendono la sua parte di esistenza decisamente più appetibile rispetto a quella di Elizabeth. Così il corpo della matrice viene dimenticato e relegato all’interno di uno sgabuzzino, utilizzato solo fonte da spremere per prolungare l’esistenza del clone.

PARABOLA DEL CORPO

The Substance è una critica spietata, grottesca e disturbante sui falsi ideali di bellezza del nostro tempo. Su quella ricerca spasmodica di un corpo perfetto che sia messo al servizio delle masse per il loro mero intrattenimento. E così quello stesso corpo, in The Substance, si deforma e contorce riducendosi a un ammasso di carne indistinguibile. Letteralmente. Il finale di The Susbtance è uno dei momenti più scioccanti che il genere horror dei tempi recenti ci ha regalato. Una parabola discendente durante la quale Elizabeth non sacrifica solo il suo corpo ma la sua stessa vita e la sua anima. Il disperato bisogno di essere amata per sempre si realizza in maniera sempre più disgustosa.

Diviso in tre capitoli, The Substance si addentra nel body horror rendendo omaggio ai maestri che se ne sono serviti per primi.

Il corpo della protagonista diventa mezzo per rappresentare il degrado interiore. Sue prospera ai danni di Elizabeth, ridotta ormai a una vecchia strega rugosa che rifugge la società e vive rinchiusa nella sua dimora in cima a un grattacielo. I piatti preparati a tarda notte assomigliano più a pozioni mortali preparati dentro un calderone. E nel mentre Sue, la vera strega di questa narrazione, gode del decadimento della sua matrice fino ad arrivare a massacrarla brutalmente per rimanere unica sovrana indiscussa del regno.

Demi Moore in The Substance

Piuttosto che ribellarsi agli standard patriarcali del mondo dello spettacolo, Sue vi si immerge completamente. Al desiderio disperato di amore da parte di Elizabeth, la ragazza sostituisce l’ossessione per il sé. Altro tema fondamentale di questa pellicola. The Substance, infatti, si accanisce non solo contro le aspettative estetiche della società ma anche contro quelle che noi stessi abbiamo nei nostri confronti. Siamo noi i principali critici e sabotatori di noi stessi. In questo è esemplare la scena in Elizabeth si prepara per uscire a cena, salvo poi violentarsi il volto in un raptus furibondo di odio e disgusto verso se stessa. Il dismorfismo corporeo è il body horror del mondo reale.

Elizabeth si infligge del male fisico per soddisfare quello standard irrealistico di bellezza. Lo fa punendosi, flagellandosi e iniettandosi una sostanza che piano piano la porta alla morte. Anche di fronte al deperimento repentino del proprio corpo, la protagonista continua a non poter fare a meno di Sue tramutando il desiderio di validazione in un’ossessione senza via d’uscita.

ESTETICA GROTTESCA

C’è un’esagerazione lungo tutto il film che si traduce a livello narrativo ma anche estetico. Ogni scelta di Elizabeth porta a un risultato che è due volte peggiore rispetto a quello di prima. Un crescendo di effetti prostetici e scelte registiche che hanno inizio con una singola inquadratura minimalista per esplodere in un gargantuesco bagno di sangue sul finale. Quella di The Substance, e dunque della sua regista, è la scelta ben chiara ed efficace di esasperare il racconto e i suoi personaggi.

Ogni singolo elemento in The Substance è disgustoso. Dennis Quaid che mangia gamberetti, che parla di donne. Elizabeth che “attiva” il processo e dona la vita a Sue. Gli aghi e le siringhe costantemente utilizzate e infilzate per estrarre il succo della vita. E, infine, la creatura mostruosa che scatena il caos durante il terzo atto. La pellicola ci bombarda di primi piani delle cosce, del sedere, delle labbra della bella Sue. Ogni singolo angolo del suo corpo, sia esso vestito o nudo, viene ripreso dalla telecamera come fosse un idolo profano da venerare. Il culto della giovinezza trova il suo altare prediletto per tutta la durata del secondo atto. Ma l’orrore ci mostra, infine. che anche nel corpo, luogo intimo e quotidiano, possono annidarsi abissi inesplorati.