*Attenzione, l’articolo contiene spoiler sulla miniserie BBC One The Victim *
The Victim è estenuante. Una visione tormentata, che annulla ogni certezza. Un thriller apparentemente ordinario che nasconde un dilemma morale, spinoso e complesso. Una miniserie scozzese in quattro parti che ci fa tifare per il colpevole, poi per la vittima, poi per entrambi. La domanda è sempre la stessa: chi è la vittima? Ma la risposta è mutevole e mai definitiva. Prodotta da STV Studios, trasmessa per la prima volta su BBC One nel 2019 e ora disponibile su Sky e Now, The Victim è angoscia pura. È fastidio e irrequietezza. L’angoscia, poi, è aggravata dall’uso compulsivo del flashback, che fino alla fine rende impossibile formulare un giudizio univoco sui personaggi. Come The Night Of, che ci ha tenuto col fiato sospeso anche dopo l’episodio finale, neanche la miniserie scozzese vuole rasserenare lo spettatore. Eppure, in qualche modo, il finale regala un barlume di speranza. Ci lascia devastati, è vero, ma racchiude comunque un prezioso insegnamento.
L’inquietudine che ci pervade lungo il corso dei faticosi quattro episodi, alla fine, si trasforma in qualcos’altro. Rompe il pianto e ci salva dall’odio incondizionato che abbiamo provato verso tutti i soggetti coinvolti. Non si tratta di una storia vera (anche se qualcuno ha notato un’affinità con l’omicidio di James Bulger, avvenuto nel 1993) ma è tristemente verosimile. All’indomani della notte di Halloween, Anna Dean viene accusata di istigazione all’omicidio per aver presumibilmente pubblicato online la nuova identità e l’indirizzo dell’uomo che lei crede abbia ucciso suo figlio. Un fatto brutale accaduto quindici anni prima. Dalle premesse sembrerebbe naturale schierarsi al fianco di una madre in lutto, ma The Victim non concede mai il lusso della certezza. E da questo momento, l’odio diventa il protagonista della vicenda. Per usare le parole del suo creatore, Rob Williams (The Man in the High Castle, Killing Eve):
The Victim è un thriller con un grande dilemma morale al centro. L’idea è nata dalla confluenza di più cose nello stesso momento. Stavo parlando con Sarah Brown della STV del caso di Oscar Pistorius e di come i casi giudiziari mantengano quel particolare potere di polarizzare l’opinione. Ho anche letto di diversi casi in cui i social media sono stati usati per diffamare le persone e di come, a causa del potere unico e senza precedenti dei media digitali, le loro vite siano cambiate per sempre.
Una madre in lutto può diventare il colpevole? Quando la giustizia diventa vendetta?
È possibile odiare una madre in lutto, e The Victim lo dimostra. Ma non certo per il gusto di trasformare la vittima in carnefice. Tantomeno per un sensazionalistico colpo di scena. L’essere stati delle vittime non ci mette mai al riparo dagli errori e trasformarci in colpevoli è più facile di quanto pensiamo. Una strepitosa Kelly Macdonald (Boardwalk Empire) è Anna Dean, una donna spezzata dalla perdita, che convive con la rabbia da troppo tempo. Il suo cuore è duro, come dichiarerà alla fine della storia, e ormai vede solo il peggio nelle persone. Liam (il figlio di otto anni avuto dal suo primo matrimonio con Christian Graham, interpretato da Cal MacAninch), è stato presumibilmente rapito, torturato, ucciso e abbandonato sotto a un cumulo di rifiuti da un ragazzino di 13 anni. Il giovane assassino è stato catturato, ma la famiglia della vittima non ha mai potuto incontrarlo. Sanno solo il suo nome: Eddie J. Turner. Il colpevole si è costituito spontaneamente, subito dopo il crimine, è stato processato e ha scontato la sua pena. Al contrario, la famiglia della vittima sente di non aver avuto giustizia. La figlia di Anna, Louise Graham (Isis Hainsworth), Lenny Dean (Jamie Sives), il suo secondo e tanto comprensivo marito, e il figlioletto Ben convivono con il dolore da 15 anni. L’ossessione tormenta Anna e il senso opprimente di non conoscere il volto del mostro che ha commesso quell’atrocità su un bambino (il suo) non la abbandonano mai.
Eddie J. Turner, al contrario, ha avuto una nuova identità – che da prassi può conoscere solo chi segue il suo caso – e ha ricominciato una nuova vita in un luogo sconosciuto. Ma Anna non hai mai smesso di cercarlo. Con l’aiuto dell’investigatrice Mo Buckley (Pooky Quesnel), ha setacciato il Paese alla ricerca di qualunque indizio potesse condurla all’assassino di Liam. Lei ha bisogno “che tutti lo vedano”. L’assassino di suo figlio merita la gogna, deve essere esposto pubblicamente. Non importa che all’epoca il colpevole fosse solo un ragazzino. Per lei è irrilevante l’impatto psicologico che questa tragedia può aver causato sul giovane colpevole. Che ricordiamo ha già scontato la sua pena. Lei vuole esporlo. E lo vuole morto.
Così, quando l’investigatrice le rivela che Eddie potrebbe vivere a pochi chilometri dalla sua famiglia, con il nome di Craig Myers (James Harkness), Anna sente di dover fare qualcosa. Ma solo alla fine, quando sarà condannata per istigazione all’omicidio, scopriremo che è stata lei a pubblicare identità, foto e indirizzo del presunto Eddie J. Turner. Senza averne le prove, senza esserne veramente certa. Anna non ha chiesto direttamente di aggredire Craig, ma ne è comunque responsabile. Durante i festeggiamenti di Halloween, sul pianerottolo di casa, il presunto killer viene colpito da un ragazzo mascherato (un paziente di Anna!). Quello che sembrava un padre e un marito tranquillo, amorevole e taciturno, potrebbe essere proprio il mostro.
Tutti devono vedere l’assassino
In questo momento le nostre simpatie si dividono. C’è chi si schiera dalla parte di Anna, ritenendo Craig Myers il vero Eddie, e chi non capisce perché la vera identità dell’assassino dovrebbe essere rilevante. Il dubbio è insidioso e non risparmia mai niente e nessuno. L’obiettivo di The Victim, infatti, è proprio questo: annullare ogni certezza perché la realtà è più complessa di come la percepiamo. È facile capire il dolore di Anna, ma fino a che punto possiamo legittimare le sue azioni? Immaginiamo, anche solo lontanamente, cosa significhi non vedere più tornare a casa il proprio figlio di otto anni, il quale è uscito all’imbrunire solo per compare delle figurine, dall’altro lato della strada.
In fondo Anna non ha avuto neanche l’occasione di guardare in faccia l’assassino. Non conosce le dinamiche e ha colmato quel vuoto con congetture e odio. Così si è indurita a tal punto da compiere un gesto che l’ha resa colpevole. Ora è lei quella davanti alla Corte Suprema di Edimburgo ad affrontare le accuse penali. Myers non è morto, ma ha riportato dei gravi danni sia fisici che personali. La sua vita, la sua famiglia e il suo equilibrio mentale sono stati sconvolti irrimediabilmente. Ma anche l’ossessione di Anna sta compromettendo il suo equilibrio familiare. Pubblicando una foto sui social, Anna ha scatenato un’infinita catena di eventi drammatici. The Victim diventa così una critica sul potere dei social media, che ci permettono di rovinare la vita di qualcuno con un click. The Independent, che ha promosso la miniserie definendola un dramma legale sfumato, fa notare la pericolosità del web:
Il potere che ci danno blog, Facebook e Netflix ha reso più facile il vigilantismo di ogni tipo. Per alcuni, l’anonimato del web è una licenza per pubblicare informazioni senza responsabilità. Per altri, Internet è un luogo in cui evaporare e diventare completamente qualcun altro. Il whistleblowing è più facile che mai, ma lo è anche rovinare la reputazione di qualcuno con una falsa accusa. Ad ogni modo, non sta andando via e, come mostra The Victim, le società devono trovare il modo di affrontare le asimmetrie che il web consente.
Comunque vada, non importa che Craig Myers sia Eddie J. Turner!
Il primo errore che compie lo spettatore, e la stessa Anna, è proprio quello di voler sapere chi è il mostro. La vera identità di Craig però non rende meno grave l’aggressione che Anna ha incoraggiato. Eddie J. Turner ha scontato la sua pena e ha tutto il diritto di ricominciare una nuova vita. Ciò che conta è che qualcuno ha rischiato di essere ucciso perché qualcun altro ha scelto la vendetta personale. Senza avere nemmeno le prove, Anna ha aizzato la comunità, ancora sconvolta dal brutale assassino di un bambino, e ha scatenato una caccia all’orco, con tanto di forconi. The Victim è beffarda, sottolinea la complessità della realtà mostrando i danni collaterali che può innescare l’odio. Che non è mai giustificabile.
Il faccia a faccia con il mostro
Nella puntata conclusiva, Craig Myers e Anna Dean si ritrovano faccia a faccia. La madre di Liam è stata giudicata colpevole, ma può ancora rimediare, sottoponendosi a un procedimento chiamato “giustizia riparativa”. Durante il confronto straziante, Craig cede: è lui Eddie J. Turner. E The Victim si prende di nuovo gioco di noi. Di nuovo, veniamo scaraventati in un vortice di emozioni contrastanti. Di nuovo, l’odio di Anna ci sommerge. Ma chi è veramente quel mostro? Dopo quindici anni, Anna può vederlo in faccia e sapere finalmente cosa è successo a suo figlio. Ma dietro all’assassino si nasconde un ragazzino arrabbiato: l’ennesima vittima. Un adolescente solo e accecato dall’odio che ha commesso un gravissimo errore di cui ancora paga le conseguenze. Anna lo ha visto e finalmente capisce le parole di suo marito Lenny: è facile odiare, ma per perdonare ci vuole coraggio.
È facile perdonare il perdonabile.
Nominata nel 2020 per un Bafta Award come migliore miniserie, The Victim fa male.
Le quattro puntate ci perseguitano con il dubbio e ci costringono a odiare con veemenza. Abbiamo odiato Anna e la sua ossessione. Abbiamo odiato Eddie J. Turner. Abbiamo odiato il gesto finale dell’ispettore Steven Grover (John Hannah), l’inganno di Danny Callaghan, Tom Carpenter e, in qualche modo, ogni personaggio che a un certo punto abbiamo ritenuto (affrettatamente!) il colpevole. Poi, sotto al ponte, quello dove anni prima il piccolo Liam è stato ucciso, abbiamo capito che nella stessa storia possiamo essere sia vittime, sia carnefici. Quel gesto di difesa tanto naturale che Anna compie sul finire della narrazione, finalmente, vanifica l’odio. Il dolore può trasformarsi in un forza distruttrice, cieca e vana, che induce le persone a compiere dei gesti mostruosi. Nell’odio non c’è comprensione, non c’è dialogo. L’odio divide, non risolve i conflitti. Questo sentimento è il carburante velenoso che alimenta la smania di tracciare sempre una linea di demarcazione netta. Ma l’esigenza di avere delle soluzioni facili conduce fuori strada.
Dopo averci torturato con il sospetto e con innumerevoli colpi di scena, alla fine The Victim ci lascia con una preziosa lezione di vita: l’odio fa male. È solo una risposta facile a una domanda complessa.
Sullo schermo vuoto ecco che appare la chiave di lettura dell’intera vicenda:
Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo.
Ti aspetterò laggiù.
Gialal al-Din Rumi