The Walking Dead 10×19 è il terzo degli speciali della decima stagione che si propongono di approfondire determinate parti della storia. I protagonisti indiscussi di questo episodio sono Aaron e Padre Gabriel con le loro brillanti capacità di autocritica e di fedeltà.
L’idea che ci viene imposta fin da subito, anche in questa puntata, è quella della disperazione. E’ marcata, è violenta. Fa sospirare, fa sbuffare, fa rassegnare. La disperazione c’è. Si sente. I nostri protagonisti la temono, talvolta la affrontano, talvolta ne sono sopraffatti.
La volontà di sopravvivere galleggia tra l’inerzia e il senso di protezione che i due uomini hanno verso le loro bambine, Gracie e Coco. Più di una volta abbiamo la sensazione che stiano tenendo duro solo con quella motivazione.
Forse da qualche parte ci sarebbe anche la forza di ricostruire la comunità, di raccogliere o osservare quei bellissimi fiori nei campi senza doverli sporcare del sangue dei vaganti. Forse ci vorrebbe un segno diverso rispetto alla costruzione di una tomba in quella che doveva essere una scorta di cibo segnalata da Maggie.
Più la puntata prosegue, più i segni di disperazione si fanno importanti, più si sente la mancanza di qualcosa. C’è un fortissimo parallelismo anche con la quinta stagione, quando i nostri vagavano ancora alla ricerca di Alexandria.
Non c’è più niente a fare? E’ tutto qui? Viene naturale chiedersi guardando le scene tra Andrea e Gabriel. E’ tutto ridotto a zombie ovunque di cui non si riescono più a sentire i versi? A un barattolo bucato? A un tetto con cadaveri abbracciati e una scritta “Save us” che suona come una presa in giro?
I nostri protagonisti sono stanchi, spossati. La sensazione di amarezza dei due episodi precedenti si conferma e raddoppia in questa. Gabriel e Aaron stanno seguendo una mappa tracciata da Maggie alla ricerca di scorte di cibo, ma tutto ciò che trovano sono vaganti, bibbie usate come carta igienica, libri usati per accendere il fuoco, segni scuri, di carbone, di morte.
Provano a ingannare noi e loro stessi imitando due vecchi amici al bar. L’atmosfera è immediata: carne arrosto, giochi a carte, alcool, scommesse. Poi anche discorsi più seri, confidenze incitate dai bicchieri sempre pieni.
“Parla con il cuore e non preoccuparti di ciò che pensi vogliano sentire“.
L’invito di Aaron e l’alone di speranza dato dal “devi ricominciare a predicare” per Gabriel ci traggono quasi in inganno. La sequenza di scene con Mays è costruita per farci credere, ancora una volta, che sia possibile agire senza violenza. La roulette russa ci confonde perché non sappiamo cosa aspettarci. Sappiamo che i nostri due non punteranno mai la pistola l’uno verso l’altro, ma ci chiediamo perché siano così disposti accettare un simile affronto.
Forse perché manca uno scopo, manca aiutare le persone, manca qualcosa che faccia stare davvero bene. Forse perché manca un leader in grado di prendere certe decisioni. Sì, perché non tutti sono in grado di portare determinati pesi. Non per sempre, almeno. about:blankLa risposta non è una risposta JSON valida.ImmagineCarica una immagine, scegline una dalla tua libreria dei media o aggiungine una con un URL.CaricaLibreria mediaInserisci dall’URL
–Pensi davvero che le cose torneranno come prima?
-Deve essere così.
-Il mondo non è fatto per quelli che eravamo prima
Così quando Mays ci rivela il suo nome siamo a un bivio. Il bivio di Aaron, ancora alla ricerca di un buon motivo per uscire dai cancelli di Alexandria e allontanarsi da Gracie, si riversa nel suo sguardo deluso, forse rassegnato, e nella decisione di “provare ancora con uno“. Il bivio di Gabriel è più crudo, molto meno incline ai patti: le persone sono cattive, non c’è più niente da fare. E’ inutile fingere, è inutile predicare, è inutile dare valore al nome di uomo che altrimenti sarebbe uno semplice sconosciuto.
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