Il gran finale si avvicina. Questa puntata di The Walking Dead segue i percorsi di due personaggi in cerca di riscatto che, puntando sulle loro riscoperte capacità, provano a rendersi utili per il resto della grande comunità di cui fanno parte.
The Walking Dead ci ha abituato all’approfondimento di tutti i personaggi diversi tra loro e questo gli rende onore perché non è facile gestire un gruppo così numeroso dando una fetta di spazio ad ognuno. Questo episodio si concentra sui percorsi di due team differenti sia per composizione che per scopi. Da una parte abbiamo Eugene che, fedelissimo al fumetto, vuole trovare un modo di rendersi utile grazie alle sue altissime conoscenze, e Abraham che decide di accompagnarlo. Dall’altra parte abbiamo Denise che ricorda l’ubicazione di una farmacia ed è praticamente sicura che nessuno ci sia mai andato. Lei sceglie di chiedere aiuto a Daryl e Rosita per diverse motivazioni e loro, anche se contrariati dalle sue modalità, acconsentono.
All’apertura della puntata ci viene offerto, con speciali inquadrature, un rapido panorama sulla quotidianità di Alexandria. La ripetizione dei gesti, la sfumatura dello sfondo dopo i passaggi importanti, tutto fa pensare che dal rapimento di Carol e Maggie sia passata almeno una settimana (mi affido al conteggio delle sigarette di Carol nel posacenere). Ogni scena ha ovviamente il suo perché. Dapprima vediamo Olivia aprire la dispensa e osservare soddisfatta gli scaffali pieni; dopo i rifornimenti di Hilltop la situazione delle scorte di cibo è notevolmente migliorata. Poi vediamo Padre Gabriel camminare con il suo fucile ben in vista e non più appendere cartelli per ritrovi di preghiera, segno che quella notte all’avamposto dei Salvatori ha lasciato un profondo cambiamento. Possiamo notare che Sasha è sempre di vedetta per la sua ottima mira e che Eugene è incluso nei turni di controllo del cancello principale. Morgan, solitario e più che mai silenzioso, si allena tutti i giorni con l’arte dell’Aikido e completa la costruzione della cella nella sua casa in perfetto stile Eastman. Quando infatti Rick gli domanda il perché, nella sua unica apparizione della puntata, la risposta è tutt’altro che enigmatica “così avrai una scelta“.
Il tema dell’Arte dell’Aikido e del Perdono ritorna in quelle parole, ma non solo. Ritorna negli sguardi di Morgan a Carol sotto il portico di Tobin, ritorna in lei che stringe fra le mani quel rosario e abbraccia definitivamente la sua nuova volontà, ritorna nell’allenamento mattutino con il bastone, nella costruzione della cella e nella ricerca costante di nuove possibilità che non comprendano la violenza.
Il giro della quotidianità continua e la scena riguarda proprio lei, Carol, la protagonista delle ultime puntate. Il suo viaggio interiore è imprevedibile. Sigarette e rosario. “Ciò che uccide” e “ciò che mi ha salvata“, parole sue. La contrapposizione come l’angioletto e il diavoletto sulla spalla destra e sinistra. Seduta sul portico di Tobin con uno sguardo enigmatico sembra voler scegliere che persona essere di nuovo, sembra accettare molto pacificamente la questione. Le scelte che ha fatto l’hanno trasformata in quella che credeva di esser diventata e quelle che farà stabiliranno chi è veramente.
“Non possiamo liberarci di questo” dice appunto a Daryl riferendosi alla loro umanità, a quello che sono davvero. Rispetto a lei, l’arciere di trova in una situazione diversa. Lo vediamo estrarre dal marsupio della moto la statuetta di Dwight (segno inconfondibile che nell’episodio l’avremmo rivisto) e buttarla a terra come se non significasse più niente. Il gesto, per quanto a molti possa esser sembrato banale, ha un valore ben preciso. Quando Daryl salvò Dwight nel bosco incendiato chiese come “pagamento” una qualsiasi cosa perché ciò che contava non era lo scambio, ma il valore della sua azione. Quella statuetta divenne importante e si caricò di un significato tutto suo: una nuova possibilità, una chance, la fiducia reciproca. In questo episodio invece, Daryl guarda attentamente l’oggetto e poi lo butta a terra svuotandolo così di tutto il suo valore e di tutte le sue promesse.
Da qui in poi, come detto all’inizio, questa puntata di The Walking Dead si sdoppia e corre su due binari paralleli che si incrociano nel finale.
Eugene è conscio di poter creare dei proiettili così che le munizioni non rappresentino più un problema per il suo gruppo ma solo per i loro nemici. Le sue conoscenze sono la cosa più importante che lui può regalare alla comunità di Alexandria, ma non sono tutto ciò che lo rendono necessario. Dopo la “notte dell’assalto degli zombie” Eugene ha scoperto di poter superare la sua paura, esattamente come lo ha scoperto Denise. Essi hanno capito, uso le parole di Rick, “quello che sono in grado di fare“, come sfruttare le loro capacità per il bene di tutti.
Non si tratta solo di saper uccidere o no uno zombie, ma di essere convinti di ciò che si è. Entrambi i personaggi, nel corso della puntata, tengono testa ai loro “accompagnatori” come mai successo prima. Eugene ha sempre chinato la testa davanti agli ordini e ai discorsi intimidatori di Abraham, ma ora sa che non dipende più da lui e si permette non solo di mandarlo a quel paese, ma di chiedergli delle scuse e di dirgli che la sua protezione non gli serve più. Denise invece si fa sgridare e sballottare da Daryl e Rosita, sembra chiedere la loro presenza come guardie del corpo, ma poi alla fine dell’episodio si arrabbia perché sa di potercela fare, sa di voler diventare forte e di non voler avere più paura. Soprattutto sa che sta aiutando Daryl e Rosita almeno tanto quanto loro stanno aiutando lei.
E’ evidente che loro conoscenze e le loro abilità nel mondo esterno non possano essere messe in discussione; lo si nota nel fatto che Abraham decida comunque di seguire Eugene, ma soprattutto nello sguardo che Denise ha quando Daryl e Rosita sentono un lievissimo rumore e capiscono che c’è un solo zombie e che è incastrato. Ciò non toglie però che sia lei che Eugene trovino il modo di riscattarsi. Dapprima lei vuole affrontare lo zombie nella stanzino, ma rimane sconvolta da ciò che vede. La scritta HUSH (far tacere) sul muro lasciata quasi sicuramente dalla persona con la gamba ingessata che “giustifica” il crimine commesso contro il bambino affogato sono un colpo grosso per la dottoressa, ma lei non cede. Sceglie comunque di riprovarci successivamente e impedisce ai suoi accompagnatori di aiutarla. Denise ce la fa, supera la sua paura, tiene testa agli sopravvissuti e, grazie alla scoperta della farmacia, riesce anche a tenere in vita Eugene più tardi. Quest’ultimo non solo se ne va in giro da solo sicuro di poter sconfiggere eventuali zombie, ma entra ufficialmente nel secondo livello facendo del male ad una persona per difendere i suoi amici.
L’episodio si concentra anche su un sottile filo conduttore dei pensieri di Daryl grazie ad una serie di piccoli segni e dialoghi messi a punto per farci riflettere. A parte la statuetta di Dwight di cui abbiamo parlato sopra, ripercorriamo al contrario il percorso che ha portato il nostro arciere a perdere (quasi) completamente la sua fiducia nelle altre persone esterne al gruppo. La scena del viaggio sul furgoncino è quasi identica al ritorno ad Alexandria con Abraham e Sasha. In quell’occasione fu proprio Sasha a catturare l’attenzione di Daryl richiamandolo per segnalargli la presenza dei Salvatori sulla strada; questa volta invece Rosita lo avverte per l’albero. Un altro spunto ci è offerto dallo zaino arancione che lui stesso porta sulle spalle, uguale a quello che a Terminus rubarono a Bob. L’ultimo parallelismo interessante (solo per i fortunati che hanno guardato la puntata in lingua originale e/o con i sottotitoli) è nella frase “fate quello che volete, io non seguo i binari“, tradotta malamente in “io non seguo nessun sentiero” che ci riporta nuovamente sulla strada verso i cannibali di cui nessuno conserva un buon ricordo. Non a caso, infatti, anche questa volta i binari si rivelano essere una pessima strada, perché permettono a Dwight di uccidere Denise. Daryl, come Carol, come Abraham e come molti altri personaggi, sta arrivando ad un punto di svolta decisivo. Parafrasando la frase di Denise “non aveva paura di niente, era molto coraggioso e molto arrabbiato…una combinazione pericolosa” non è difficile pensare che prima del finale di stagione scopriremo se saprà incanalare la sua personalità in una decisione mortale o in una rinnovata speranza d’aiuto per il gruppo.
La morte di Denise durante un discorso così importante, la ricomparsa di Dwight e la fuga dei Salvatori aprono definitivamente l’inevitabile scontro che tutti stanno aspettando. La sua scomparsa ci lascia con l’amaro in bocca perché avviene proprio quando stavamo imparando ad amarla non solo per le sue competenze mediche, ma anche per il suo carattere forte e particolare.
Poco prima di morire stava dicendo a Rosita e a Daryl che avere paura era sbagliato, che dovevano affrontare i loro demoni e rialzarsi in piedi. “Non l’ho fatto perché avevo paura. Ecco che cosa è stupido! Non lo è venire qui fuori, non lo è affrontare i miei guai..”. Vale la pena affrontare le proprie paure anche solo per una bibita se quella bibita significa qualcosa di importante, vale la pena rischiare la propria vita e la propria umanità per uccidere i Salvatori se questo può garantire la sopravvivenza delle persone che si amano, vale la pena arrivare al secondo livello per la comunità, vale la pena scegliere con chi vivere o per che cosa si è disposti a combattere.
“Dovrei uccidere per voi, ma non posso, non voglio”
La realtà dei fatti è sempre più chiara. Far parte di un gruppo nel mondo di The Walking Dead significa essere disposti ad uccidere per la sicurezza di tutti. Amare qualcuno significa ammazzare altre persone. Non puoi volere delle persone accanto se non sei sicuro di poter fare di tutto per tenerle in vita. Questa è la verità. Questo è quello che Carol cerca di spiegare.
Lei ci ha provato. Ha provato ad indossare una maschera da fredda assassina che non le apparteneva, ha provato ad instaurare un legame con Tobin che la tenesse ancorata alla volontà di difendere tutti quelli che ama, ha provato a fare cose orribili e voltarsi, ma non ci è evidentemente riuscita. L’incontro con Paula, il rapimento insieme a Maggie sono state delle piccole scintille che, insieme alla filosofia di Morgan hanno riacceso la fede di Carol e la sua vera personalità. Non ci è dato sapere, per ora, se la sua sia solo una fuga passeggera o se sia la volontà di chiudere da sola la faccenda Negan o se voglia intraprendere un viaggio alla ricerca di sé stessa.
Certo è che Carol non ha lasciato solo Tobin, ma, simbolicamente, anche la panchina (la casa, Alexandria) che ora dondola da sola al vento in balia di quello che può succedere da un momento all’altro. Lo sguardo di Morgan che si accorge della sua assenza è significativo, perché sa di aver insinuato in quella donna i dubbi e/o la verità, proprio come fece Eastman con lui.
Così, quando Daryl beve la bottiglietta trovata insieme a Rosita mentre seppellisce Denise, Carol inizia il suo discorso dicendogli che quello che ha detto era vero. Daryl avrebbe dovuto uccidere Dwight, così Denise non sarebbe morta e così ora non avrebbero ingaggiato un altro scontro imminente. E’ così e basta. Carol lo sa e dà ragione a Daryl.
Forse però, almeno per il momento, per Carol è giunta l’ora di scendere di un livello.
Un grazie a Davide e ad Andrea che mi supportano /sopportano sempre e alle pagine: The Walking Dead Italia, The Walking Dead ITA, Caryl Italia, TWD – Am I the only one Zen around here? Good Lord ! Passate a vederle!