Episodio interlocutorio questo Still There di This Is Us. L’organicità della trama che aveva accompagnato gli episodi passati sembra venire parzialmente a perdersi. I vari personaggi paiono ora indirizzati a seguire ognuno una sua strada autonoma. Dominante nell’economia dell’episodio la vicenda di Kevin. Ancora una volta This Is Us ci proietta nel passato del personaggio per scavarne a fondo le motivazioni e analizzare le componenti alla base dei suoi comportamenti.
Già nelle puntate precedenti era stata introdotta seppur in maniera embrionale la vicenda che aveva portato a un suo ricovero e all’ingessatura della gamba. Ora il riproporsi dell’infortunio diventa spunto per far riaffiorare il ricordo di quello che realmente era successo. Non solo: possiamo soffermarci anche sul suo modo di affrontare le malattie e il forte legame col padre sotteso a questo atteggiamento.
Le circostanze sono quelle di una patologia esantematica che colpisce il piccolo Kev. Il bambino si mostra più insofferente dei suoi fratelli per la varicella. Affronta con fastidio il problema e sembra non riuscire a venirne a capo. Più si concentra sul prurito più sente di non potercela fare. È qui che arriva la prima vera svolta della sua vita, l’evento che gli dà la forza di affrontare le difficoltà con spirito nuovo. La circostanza è molto semplice ma assai significativa. Il padre, compagno di giochi e amico di sempre, vedendolo così irrequieto lo prende da parte e gli rivolge queste parole:
“Sei più tosto di quel prurito. Guardami. Sei più forte di quel prurito. Non sei un semplice mortale: sei un Pearson! Guardami! Fammi sentire il tuo urlo da battaglia”.
Lo sfogo che segue, tutta la frustrazione cacciata fuori in quell’urlo, in quel grido carico di forza e combattività segnano profondamente Kevin.
La grinta che metterà sul campo nascerà da quel precedente. Da quel primo atto di coraggiosa risposta alla malattia. Non è un semplice rapporto padre-figlio quello che investe Jack e Kevin: è il legame tra un seguace e la sua guida. Una guida spirituale capace di accompagnare, sostenere e incoraggiare in ogni momento. Nella formazione di Kev il contributo paterno è fondamentale. Se Randall mostra un legame molto più profondo con la madre e da lei riprende certi suoi modi (come già sottolineato nella precedente recensione), Kevin è il figlio che mostra più somiglianze con Jack (come afferma Kate nella 2×03 guardando l’urna del padre: “È proprio come te”). A lui si ispira e lui prende come modello di riferimento in senso assoluto.
Il nuovo infortunio in cui incorre in età adulta lo catapulta nel suo passato. In quel fulgido futuro da giocatore di football che lo avrebbe atteso.
Nelle immagini che scorrono in rapida successione, ricordi di quei momenti, Kevin rivede l’orgoglio paterno. La fierezza nel suo sguardo. “Voglio dirvi che mio figlio è un campione. Mio figlio è un duro! Mio figlio è duro come l’acciaio! Forza Kevin! Vai, vai, vai! Il mio ragazzo è imbattibile!”. Ripetendo “mio figlio” e “mio ragazzo” Jack mostra il suo incontenibile apprezzamento per Kevin. Calca sul possessivo “mio” con l’orgoglio di chi vuole mettere in mostra la bravura del figlio.
Tale atteggiamento, come scopriamo in questo episodio di This Is Us, è però un’arma a doppio taglio.
Carica infatti Kevin di un illogico desiderio di primeggiare e di combattere a tutti i costi la malattia. Il che non sempre è la mossa giusta. A seguito del piccolo intervento chirurgico che subisce, il ragazzo vorrebbe tornare a camminare immediatamente forzando i tempi e non rispettando le indicazioni del medico (impacchi di ghiaccio e riposo). A muoverlo è anche il desiderio di non perdere un’altra grande occasione della sua vita. Nel nuovo infortunio vede infatti riattualizzato il trauma muscolare subito nell’adolescenza che ne aveva compromesso la carriera sportiva. Ora, il rischio di vedere ridimensionata la sua parte nel film di Ron Howard significherebbe una battuta d’arresto grave nella sua nuova strada da attore. Non può rimanere fermo a guardare. Non può rinunciare anche al mondo dello spettacolo.
Le aspettative paterne, inoltre, lo fanno sentire inadeguato, incapace di tenere testa all’immagine che Jack aveva di lui, tanto più dopo la morte del padre, nel desiderio che sente di rendere il giusto tributo alla sua memoria. Per questo ricorre ai farmaci: per mostrarsi abbastanza forte. Per giungere laddove il fisico (non la volontà) non glielo avrebbe permesso. Già sul finire dello scorso episodio lo avevamo visto ricorrere a medicinali, probabilmente anti-dolorifici. Ora continua su questa strada. Ne va della sua carriera.
Il peso delle aspettative è anche quello che investe Rebecca e il piccolo Randall.
Alla base del senso di inadeguatezza di entrambi è la madre di Rebecca, Janet. La sua presenza in casa Pearson appare ingombrante e non voluta. In tutti gli atteggiamenti della donna traspare quel senso di perfezionismo, pignoleria e capacità di far sentire l’altro non all’altezza. Non si può non rivedere in certi suoi modi la stessa Rebecca e il comportamento che ha con la figlia Kate. Nel primo episodio avevamo visto come queste movenze pesassero su Kate, costantemente costretta a far i conti con una madre che la surclassava in ogni aspetto (bellezza, doti canore, …). E come nella giovane donna si generasse un costante bisogno di mostrarsi adeguata alle aspettative materne e una conseguente frustrazione per non esserlo.
This Is Us ci mostra come spesso i difetti si trasferiscano ai figli e si finisca per assomigliare ai tanto vituperati genitori (come accade pure con Jake e il padre bevitore). Rebecca però, a parte lo smodato bisogno di perfezionismo e un compatimento svilente nei confronti di Kate, non fa propri tutti i gravi difetti materni. Sa venire meno e prendere le distanze da quei modi tanto odiosi.
Janet è una donna imbruttita dal tempo e legata a una visione tradizionalista del mondo e dei rapporti umani.
Il suo non è un semplice conservatorismo; è una vera e propria forma mentis che non può, forse, essere alterata. La sua idea di famiglia emerge a più riprese nel corso dell’episodio, quando ad esempio afferma: “Una donna deve saper cucinare se vuole avere un marito e dei figli”. Le sue parole (e i suoi comportamenti) sono costantemente fuori luogo e, come nota Rebecca, rischiano di avere conseguenze sugli stessi bambini. “Sicuramente farai venire a Kate dei complessi alimentari e Kevin finirà col pensare di valere qualcosa solo per il suo aspetto”. Janet infatti compra un costume decisamente troppo stretto a Kate e consiglia a Kevin di “non grattarti quel bel visino, Kev. Potrebbe farti fare carriera un giorno”.
Ma l’atto più grave che compie è quello nei confronti di Randall.
Il bambino cerca costantemente l’attenzione e l’approvazione dalla nonna. Ma riceve soltanto regali identici l’uno all’altro e un trattamento discriminatorio. La palla da basket è espressione del razzismo della donna (“Il fatto che sia di colore non implica che ami il basket! A lui piace il football!”), della sua chiusura mentale; dell’idea di definire Randall per il colore della pelle, non per i suoi gusti e inclinazioni.
This Is Us ci mette di fronte alla forma di razzismo più diffusa nei tempi attuali.
Quella sottile e latente che si manifesta in piccoli gesti, in riferimenti apparentemente casuali, in frecciatine e insulti mascherati da complimenti. “Sai, le persone non dicono cose cattive a chi è diverso da loro. Ciò che dicono può sembrare una cosa buona, ma c’è questa nota di cattiveria sotto”.
Nel finale di episodio il cambio di rotta di Janet è radicale e forse troppo poco credibile. Chissà però che in fondo non serva solo questo: la risolutezza nell’uscire dalle proprie certezze e dai luoghi comuni su cui si è modellata la propria vita (“Devi capire che io sono cresciuta in tempi completamente diversi”). E, messi di fronte alla realtà (“Sei una razzista, mamma. Sei una razzista”), accettare i propri errori e provare a venire meno ai preconcetti costruiti nel tempo (“Sei proprio un giovanotto speciale, eh?”). Magari, sembra dirci This Is Us, basterebbe la volontà.