Vai al contenuto
Home » Recensioni

Transatlantic purtroppo non somiglia a un period drama – Recensione della miniserie Netflix

Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Transatlantic, la miniserie storica di Netflix!!

Non vuole essere un period drama classico: questo, Transatlantic, lo chiarisce sin dalle primissime battute. Pur guardando ai riferimenti del genere di appartenenza, la miniserie di Netflix sulla Seconda Guerra mondiale assume una deriva del tutto sua, originale seppur poco funzionale. Stiamo parlando della creazione della sceneggiatrice Anna Winger – che ha già lavorato al ciclo di serie di Deutschland e all’acclamata miniserie Unorthodox -, la quale, insieme a Daniel Hendler, ha raccolto la sfida di mettere in scena il romanzo di Julie Orringer, The Flight Portfolio. Una storia basata su fatti realmente accaduti nella Francia dei primi anni Quaranta, durante l’occupazione tedesca. Si tratta di un progetto di respiro internazionale, con la partecipazione di attori e addetti ai lavori provenienti da diverse parti dell’Europa e dell’Africa. Un melting pot che ha saputo conferire alla serie un’anima cosmopolita, policroma e multiforme. L’autrice ha voluto impostare i sette episodi della miniserie portando la narrazione ad oscillare costantemente tra tragedia e umorismo, dando molto spazio ai filoni amorosi e alle relazioni interpersonali dei personaggi.

Transatlantic è una storia moderna.

Transatlantic

Lo è nella scelta narrativa, nello scheletro di base, nelle tematiche trattate. Non è il classico dramma storico, ma una storia contemporanea raccontata come fosse una pellicola degli anni Quaranta. Si ricercano quasi ossessivamente lo stile e le tendenze estetiche del cinema americano degli inizi. Con un approccio nuovo, più leggero, Transatlantic prova a scostarsi dalle tradizionali dinamiche del genere per guardare oltre e presentarsi sotto una veste nuova, inedita. L’idea di Anna Winger era quella di fare qualcosa di diverso, puntando però su una storia vera, realmente accaduta. La miniserie di Netflix racconta le vicende di Varian Fry, Mary Jayne Gold e dell’Emergency Rescue Committee, il comitato che, durante la Seconda Guerra mondiale, riuscì a mettere in salvo oltre 2000 persone tra ebrei, perseguitati politici e personaggi scomodi per i nazisti. Ci troviamo nella Francia meridionale, a Marsiglia, dove ogni giorno salpavano dal porto navi dirette in Marocco o negli Stati Uniti. Varian Fry e Mary Jayne Gold avevano la missione di fornire una via di fuga alle persone non gradite alla Repubblica di Vichy. Attraverso una rete di legami, contatti e scambi di favore, i due personaggi, con l’aiuto di altri fuggiaschi e membri della resistenza antinazista, fornivano documenti falsi, ottenevano permessi speciali, tracciavano rotte clandestine attraverso i Pirenei, caricavano persone ricercate sulle navi in partenza dal porto e riuscivano a regalare alla gente una seconda occasione. La stessa che, purtroppo, non a tutti fu concessa in quegli anni terribili.

Transatlantic

La fuga è il grande motore di questa miniserie.

Artisti, scrittori, filosofi, oppositori politici, grazie all’interessamento dell’Emergency Rescue Committee, riuscirono a scappare dalla Francia occupata e a mettersi in salvo in Spagna, in Africa o negli Stati Uniti – che all’inizio della guerra scelsero di rimanere neutrali. Personalità come André BretonMarcel Duchamp, Victor Serge ottennero un visto per poter lasciare il Paese proprio per l’iniziativa dei membri del comitato, che si dedicavano alla causa in maniera del tutto disinteressata. Tra loro, oltre a Varian Fry (Cory Michael Smith, già visto in Gotham) e Mary Jayne Gold (Gillian Jacobs), troviamo anche un combattivo ebreo tedesco (Lucas Englader), un’antifascista (Deleila Piasko), il concierge dell’Hotel Splendide Paul (Ralph Amoussou) e il proprietario di una villa (Amit Rahav), che servirà anche come quartier generale del comitato e punto d’appoggio per i fuggiaschi. Malgrado la delicatezza delle missioni – che, a un certo punto, prendono una deriva da spy story con l’ingresso in scena dei servizi segreti britannici -, non si ha quasi mai la percezione del pericolo. Le truppe delle SS arrivano solo in un secondo momento, ma sono lontane dal suscitare quella sensazione di minaccia che solitamente le accompagna al loro ingresso in scena. Il capo della polizia Philippe Frot (Grégory Montel, il Gabriel di Call My Agent), che dovrebbe essere il villain numero uno di Transatlantic, non si impegna più di tanto per scovare i ricercati, come pure il personaggio di Corey Stoll, il console americano a Marsiglia che mette i bastoni tra le ruote al comitato, non è mai veramente pericoloso.

Quest’assenza di pathos danneggia un po’ l’impianto della serie. Gli autori hanno provato a darle un tono leggero, fresco, ma questo tipo di impostazione collide con gli schemi del genere di appartenenza e con la drammaticità della storia narrata. Il racconto, di per sé piuttosto lento e privo di una certa profondità, non riesce mai ad essere incisivo come dovrebbe. Gira a vuoto tra le sue varie facce senza avere il coraggio di sceglierne una. L’oscurità è solo accennata, il senso di pericolo si percepisce debolmente e il grosso delle energie Transatlantic lo sperpera nel racconto delle trame amorose che legano tra loro i vari personaggi. C’è anche un tocco di espressionismo che, più che arricchire la serie, finisce per trasformarla in qualcosa di troppo distante dalle aspettative di quello che potrebbe essere il suo pubblico di riferimento. I titoli di coda girati in bianco e nero, a conferma di quanto dicevamo, ricalcano quel gusto per le pellicole degli anni Quaranta che gli autori vogliono tenere in bella vista, prediligendo questa scelta stilistica rispetto alla cura del corpaccione solido del racconto.

Altra protagonista di Transatlantic è la città di Marsiglia, set perfetto per mettere in scena una storia che fluttua tra drammaticità e frivolezza.

Transatlantic

La luminosità della città, la fusione delle sue varie anime, la vivacità delle sue strade, arricchiscono la scenografia, riuscendo a rendere forse più interessante l’intero racconto. Il tentativo di presentarsi come serie tv innovativa Transatlantic prova a farlo. Il progetto di Netflix puntava a far emergere dei fatti sconosciuti al grande pubblico, che meriterebbero attenzione e approfondimenti. Ma la resa finale non è sempre convincente. Transatlantic riporta una grande testimonianza di umanità e solidarietà e lo fa in tempi in cui purtroppo queste tematiche tornano ad essere estremamente attuali. La serie Netflix vuole accendere i riflettori su argomenti delicati e dibattuti come l’apolidia e l’esperienza dei profughi e in questo riesce ad essere davvero una serie moderna. Però la sua capacità di attrattiva si esaurisce qui, non va oltre. E, in definitiva, Transatlantic, malgrado le buone aspettative, purtroppo non riesce veramente a decollare.