Ogni sabato sera, sempre alle 22.30, vi portiamo con noi all’interno di alcuni tra i momenti più significativi della storia recente e passata delle Serie Tv con le nostre recensioni ‘a posteriori’ di alcune puntate. Oggi è il turno della 1×01 di Twin Peaks.
Tornare alla 1×01 di Twin Peaks significa riavvolgere il nastro, compiere un traumatico viaggio circolare che ci riporta al punto di partenza. Significa soprattutto rendersi conto che non è mai finita, che quell’urlo in Twin Peaks: The Return, è ancora con noi e ci ha ricondotto all’origine del male. Siamo a Twin Peaks e ancora prima che il corpo di Laura appaia, ancora prima che tutti, compresi noi, sappiano che Laura è morta, sentiamo dentro di noi il dolore di un inconscio collettivo che investe spettatori e personaggi.
Pete e il suo sguardo, la percezione di qualcosa di orribile negli occhi della madre di Laura, in Andy, perfino in Benjamin Horne. Sappiamo. Sappiamo ancora prima di sapere. E di colpo ci rendiamo conto che quella attorno a noi è un’unica realtà, un microcosmo di cui facciamo parte anche noi, un inconscio che è forse quello di Laura. Siamo a Twin Peaks, siamo dentro e fuori di noi. Siamo nella psiche di Laura, che muore di nuovo, che rivive il suo trauma. Che da quell’urlo finale torna a ricostruire un intero mondo per nascondersi in un’illusione (è forse questa La spiegazione psicologica di Twin Peaks?).
Siamo nell’illusione di una città.
Tutto è troppo posticcio, grottesco, insensato: perché non è una realtà oggettiva ma fatta di spiriti che danzano, istanze interiori di un unico, grandioso inconscio. E allora ecco di nuovo Andy Brennan, adorabile imbranato, Lucy e il dottor Jacoby e la loro assurdità. Ecco Dale Cooper, eccolo annunciare di nuovo il suo arrivo, coniugare professionalità nel lavoro a insensata, bambinesca vitalità nell’assaporare un caffè o nell’ammirare gli abeti di Douglas. Siamo nella follia, nell’onirico che ha costruito tutto attorno a sé un mondo interiore.
Siamo a Twin Peaks e ci sentiamo di nuovo turbati ma insieme protetti, sicuri che in questo ciclico ripetersi della storia, possiamo di nuovo nascondere il nostro trauma. Dana piange, ancor prima che si sappia, e noi soffriamo con lei, riviviamo il lutto per qualcosa che è morto in noi, che è morto in loro, che è morto in Laura. È morta Laura. Tornerà a vivere in The Return, ma con la morte dentro, ricacciando e cancellando la sua morte e la causa di quella morte, di un orrore troppo grande per poter continuare a vivere.
Torniamo a Twin Peaks e siamo di nuovo inviluppati nell’eterno ciclo di distruzione e rinascita.
Riviviamo solo per soffrire e morire di nuovo, vedere infrangersi quelle speranze di superare l’orrore che Dale Cooper aveva provato a sconfiggere fallendo. C’è un’aria dolente in questa 1×01, prima ancora che l’assenza di Laura si faccia concreta. C’è il perturbante di una scuola desolata, di una ragazza che fugge solitaria gridando di dolore, di una scala che apre uno sguardo parziale su una cameretta. Un luogo che dovrebbe essere di conforto, di familiarità, una dolce casa e che invece ci incute terrore, angoscia, spasimi con un’inquadratura rigida che sembra sempre attendere qualcosa.
Perché quella cameretta che si intravede appena dal basso del salone, la camera di Laura, è il teatro dell’orrore, di una violenza reiterata, subdola, segreta. E noi lo sappiamo già in questa 1×01. Lo sappiamo prima di saperlo perché ce lo sentiamo dentro. Come Laura, abbiamo rimosso tutto ciò che è successo, non possiamo “sapere” razionalmente ma captiamo tutto, lo percepiamo nelle nostre ossa. Qualcosa non va lassù.
Prima ancora che appaia Bob, prima ancora che l’orrore rimosso faccia di nuovo capolino, prima che Dale Cooper provi a dipanare la matassa, in noi c’è il senso di perturbante di un ambiente normalmente rassicurante che ci appare invece terribile, noto ed estraneo nello stesso tempo. Spaventoso e familiare. Così è questa 1×01 di Twin Peaks: spaventosa e familiare nello stesso tempo, perturbante più della prima visione. Perché adesso il senso di straniamento non viene dalla novità ma dal già noto.
Vedere Twin Peaks 1×01 significa riaprire le porte dell’inconscio e scoprirsi ancora una volta incapaci di vincere.
Incapaci di affrontare il terrore di un grido. Siamo tornati e sentiamo qualcosa nell’aria, sentiamo una melodia tanto familiare, nostalgica e di pesante tristezza. Sentiamo Julee Cruise sussurrarci di riprovarci, don’t let yourself be hurt this time, ma non possiamo riuscirci. Tutto è già accaduto ed è destinato a ripetersi esattamente com’era. E allora cadiamo, precipitiamo nel vortice di Twin Peaks, in quel “tutto” fatto di erotismo, violenza, stupidità, follia e senso di melenso.
Torniamo a Twin Peaks e sentiamo di non esserne mai usciti e di non poterne mai uscire, bloccati nell’irreale attesa che una salvezza ci venga dal dio David Lynch (Twin Peaks 4, la produttrice: «David Lynch ha moltissime idee per una nuova stagione»). Che strappi il cielo di carta e ci liberi, noi marionette, da questo teatro dell’assurdo nel quale siamo imbrigliati. Anche se il cielo si è già squarciato una volta, in The Return, e non è finita bene. Ci ha riportati a Twin Peaks, a questa 1×01, forse consapevoli che solo di illusioni e sotto cieli di carta possiamo sperare di vivere. In un eterno samsara la cui alternativa è la nirvanica estinzione, la fine della finzione, la cinepresa riposta. E allora, che tutto ricominci.