C’è Maisie Williams con una lista di cose da fare e nomi da depennare e già questo potrebbe essere un grosso incentivo a guardare Two Weeks to Live, la nuova miniserie sbarcata il 26 dicembre su Sky e NOW. Creata da Gaby Hull e diretta da Al Campbell, la serie annovera nel cast anche Sian Clifford (la Claire di Fleabag), Sean Pertwee (Gotham) e i giovani Mawaan Rizwan e Taheen Modak. Si tratta di una black comedy, che poi diventa action e si mescola con il gangster, inglobando una serie di sottogeneri che rendono difficoltosa una catalogazione precisa. Uscita il giorno di Santo Stefano, nel bel mezzo delle feste, ci si aspetterebbe qualche richiamo al clima natalizio, quantomeno nell’ambientazione: invece Two Weeks to Live è la perfetta commedia antinatalizia, con tanti spari, una scenografia scarna e buia, una buona dose di black humor, dettagli volutamente truculenti e cervi ammazzati dentro casa.
Protagonista di quella che si presenta nel primo episodio come una road adventure, è Maisie Williams, l’indomabile Arya Stark del Trono di Spade.
Il suo personaggio è una giovane disadattata e ingenua, Kim Noakes, una ragazzina che sa poco o nulla del mondo perché segregata in un capanno nel bel mezzo di una foresta da sua madre Tina (Sian Clifford), donna senza fronzoli che ha educato sua figlia a bugie e mine esplosive. Arrivata alle soglie dei vent’anni, Kim sente l’esigenza di scappare dalla campana protettiva costruita con tanta pazienza da sua madre e di mettere finalmente il naso fuori di casa, animata dal tipico entusiasmo di chi scopre il mondo per la prima volta. Il primo episodio incuriosisce e getta ottime premesse per il seguito: Kim, dopo averle suonate a un venditore arrogante e profittatore, fa capolino in un pub senza avere la minima idea di come ci si comporti al bancone. Lì incontra Nicky e suo fratello Jay, due ragazzi con aspirazioni diverse già segnati in qualche modo dalla vita. Il contrasto tra i personaggi è lampante ed è uno dei fili conduttori di Two Weeks to Live: da una parte c’è la ragazzetta ingenua che si approccia alla realtà con sconcertante naturalezza, dall’altra ci sono invece due giovani già allenati alla vita, che poi siamo noi.
Innocenza ed esperienza, stranezza e normalità, spontaneità e convenzioni sociali: l’elemento comico di Two Weeks to Live si innesca proprio sull’esistenza di forti contrasti, ravvisabili non solo nei personaggi ma anche nelle situazioni che vengono a crearsi.
La serie prende quota quando Nicky e Jay, approfittando della totale ingenuità di Kim – che prende le pillole “anti-inquinamento” ed è convinta che l’apocalisse sia vicina -, le fanno credere che un disastro nucleare sia imminente. La ragazza, completamente all’oscuro delle potenzialità di internet e delle fake news, finisce per convincersi che la tanto attesa fine del mondo sia finalmente arrivata e cerca di darsi una mossa per depennare i punti sulla lista delle cose da fare prima di morire, almeno quelli più importanti. Da qui in poi, Two Weeks to Live prende una strada leggermente diversa, avventurandosi nel genere action senza mai perdere la forte connotazione di black comedy. È una storia che si sviluppa attraverso una serie di situazioni esilaranti, rese ancora più folli dalla contrapposizione tra due modi diversi di percepire la realtà, uno “normale”, ordinario, l’altro completamente alienato e per questo distaccato, quasi imperturbabile.
Si intrecciano omicidi e bugie, sangue e fughe adrenaliniche, proprio come in un film thriller. Ma tutto viene sempre ridimensionato da una battuta o da una situazione surreale che riporta le corde della serie sui riferimenti della commedia.
Two Weeks to Live è una storia originale e di difficile collocazione. Lo spettatore però non fa neanche in tempo a calarsi nella trama che la serie è già finita. Gli episodi sono infatti solo sei, da mezzora ciascuno. In questo senso, Two Weeks to Live ricorda un po’ The End of the F***ing World, non solo per la brevità delle puntate e la predisposizione al binge watching, ma anche e soprattutto per quei toni dark e un po’ cupi e per quella vena di umorismo nero che ne hanno fatto una serie tv del tutto particolare. Chi si aspetta una storia canonica, resterà certamente deluso. Gaby Hull aveva in mente tutt’altro e si può dire che l’obiettivo sia stato pienamente raggiunto.
Kim è intrappolata in una vita che funziona un po’ come una di quelle macchinette acchiappa pupazzi con le quali si ritrova a giocare insieme a Nicky: per quanto si impegni a pescare l’obiettivo, quello sfugge sempre. Non perché lei non sia brava, ma perché la macchina è truccata. Le claw machine vendono illusioni e sembrano essere la metafora perfetta della società che questa miniserie vuole raccontare. Eppure, qualcuno ogni tanto vince.
Il lavoro di Hull è apprezzabile, anche se Two Weeks to Live non resta impressa nella memoria di chi guarda.
I sei episodi volano via in tre ore di visione, ma cosa ne resta alla fine? L’impressione è che l’impasto di sottogeneri privi lo show di una sua reale collocazione. Il risultato finale sembra frettoloso e in alcuni casi approssimativo, come se chi l’ha progettato non avesse avuto la voglia di andare fino in fondo. È una serie che sotto le feste si guarda senza porsi troppe domande. Difficile innamorarsene, ma difficile anche decidere di cambiare immediatamente canale. L’indubbio elemento di forza è costituito dagli interpreti: se non ci fosse stata Maisie Williams tra i protagonisti, la miniserie non avrebbe destato la stessa curiosità. Ma questo non è un punto a sfavore, tutt’altro. Kim è un personaggio ben congegnato e l’interpretazione di Maisie Williams non fa che impreziosirlo, con la sua mimica facciale, lo sguardo irriverente, le espressioni naturalmente ironiche. Il bilancio conclusivo che tracciamo di Two Weeks to Live è tutto sommato positivo, anche se non indimenticabile. Il finale lascia aperto uno spiraglio per la seconda stagione, della quale però non si è ancora parlato ufficialmente.