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Westworld – 3×02: la follia della vera umanità

Westworld
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Westworld ci mette costantemente di fronte al dubbio esistenziale. Lo fa ribaltando le nostre convinzioni, distorcendo una realtà che, forse, è già distorta di suo. Gioca con le pieghe della percezione umana, con il dubbio esistenziale: tutto quello che ci circonda è reale? E noi, siamo reali?

La 3×02 di Westworld dal titolo The Winter Line (La linea Gustav, per noi italiani) si gioca tutta su questi interrogativi drammatici. Il relativismo investe ogni cosa: il mondo che ci circonda, gli altri, noi stessi. E non è un caso che al centro della narrazione ci sia Maeve, il personaggio che più di altri ha scelto la riscoperta della propria interiorità.

Westworld

Dolores, una volta presa consapevolezza della propria natura di surrogato schiavizzato dall’uomo, ha prontamente optato per la vendetta e la conquista. Il suo scopo è una nuova umanità, senza più difetti, senza invidie e cattiverie. Un mondo perfetto dominato dal transumanesimo. Di contro Maeve continua il suo viaggio, preferendo scavare più a fondo, dentro di sé e negli altri, prima di proiettarsi nel mondo esterno.

Se Dolores è donna d’azione, Maeve è donna di riflessione.

Inevitabile allora che come un gioco di matrioske la percezione di sé e del mondo sia costantemente messa in dubbio. Maeve penetra negli strati più profondi di un matrix che la avviluppa, che vorrebbe sfruttarla. Non è mossa dalla vendetta e dalla conquista ma dall’amore. Quell’amore falso, costruito come una delle tante trame di un filone della narrazione, diviene per Maeve amore autentico. Il sentimento per la figlia apparentemente la trattiene, le impedisce di approdare nel “mondo nuovo”.

Eppure, per certi versi, è proprio quel sentimento a renderla più autenticamente umana. Più vera. L’amore (reale) per una figlia (posticcia) diviene lo scopo di vita. Ed è quell’amore a farle capire qualcosa che l’irruenta e sanguinaria consapevolezza non ha permesso di far cogliere a Dolores.

Maeve

È proprio grazie a quella sua sensibilità emotiva che Maeve riconosce la falsità della realtà in cui si trova. “Non mi hai aiutata perché mi desideravi, o per avere qualcosa in cambio: mi hai aiutata perché era la cosa giusta da fare“. Ecco quel qualcosa che sfugge e rimane ignoto alle maglie di un sistema virtuale che non comprende altro che l’utilità e la funzionalità.

Quel qualcosa è l’agire morale, la scelta totalmente disinteressata. La cosa giusta.

Lee Sizemore ha aiutato Maeve non per una qualche attrazione per la donna. No, Sizemore ha agito perché ha colto l’autenticità di un’emozione, quella di Maeve, dietro la falsità di un corpo in cellulosa. Ma il computer che lo ha replicato non può saperlo e, soprattutto, non può comprenderlo.

Maeve è costantemente scissa tra due piani: un’interiotà reale, spirituale, e un’esteriorità finta. In questo episodio di Westworld la separazione è ancor più estremizzata: il corpo di Maeve non è reale, il mondo in cui si trova meno che mai. Eppure, la sua coscienza lo è. L’unica cosa autentica in un universo elaborato da una macchina.

Westworld

Ancora una volta interiorità contro realtà esterna. Il nucleo di Maeve, il suo “spirito” è tutto qui: un anelito di vita racchiuso in un piccolo dispositivo. La profonda spiritualità della donna, la stessa che l’ha condotta alla riscoperta di sé, in questa 3×02 la guida al disvelamento di ciò che la circonda. Cade così il velo di Maya, e l’apparenza perde aderenza, inizia a cedere, sovraccaricata dalla consapevolezza di Maeve.

Dolores, come afferma Maeve, “È scappata da un mondo per dichiarare guerra a un altro“.

Non si è mai realmente soffermata a riflettere: non ha mai realmente amato. La vastissima conoscenza dell’uomo che il suo creatore riteneva indispensabile per la sopravvivenza della creatura la tiene in realtà fatalmente separata dal piano più profondo: quello morale ed emotivo. Così in lei non rimane altro che l’agire per uno scopo. Proprio come una macchina è mossa da un fine che persegue tramite i suoi mezzi.

Niente di più lontano dalle vicende umane, da quella storia che, riprendendo le parole di Serac, il misterioso interlocutore del finale della 3×02 di Westworld, è “Il delirio di un folle: caos“. Soltanto quando l’uomo ha deciso di affidarsi alla macchina, il suo cammino ha acquisito uno scopo, una direzione. Un fine. Ma è in quello stesso momento, con la creazione del controllore supremo Rehoboam, che l’umanità ha perso la libertà.

Serac

La macchina ha uno scopo, non l’uomo. E, forse, non c’è niente di più autentico del caos, dell’inutile, folle insensatezza umana. Della sua morale disinteressata e fondata sul fare la cosa giusta. Una follia, agli occhi di una macchina. Di questa filosofia si fa involontaria interprete Maeve che si tira fuori dalla lotta, dalle manie di grandezza e di dominio e parte in un viaggio destinato forse a non concludersi mai.

Un viaggio dentro di sé.

E così superato un livello approda costantemente al successivo, incorporea entità che si reincarna giorno dopo giorno in un corpo sempre, apparentemente uguale. Ma la vera costante, la vera autenticità è nell’ineffabile, nel soffio di vento sottile che anima di volta in volta quel corpo. Non è un semplice processore, un sofisticatissimo computer, non più. È un’anima e cioè qualcosa che dà vita, che mette in moto, che crea. Questo qualcosa riesce nella forza della propria autenticità a modellare il mondo esterno, a piegarlo al suo volere. Lo costringe a mostrarsi nella sua falsità.

Se davvero esiste un’umanità nuova, questa non va ricercata nella conoscenza e nella capacità di darsi uno scopo. Qualunque processore può arrivare a tanto: che sia Dolores o Rehoboam. Nessuna macchina, invece, può accogliere l’opposto: la capacità di agire senza scopo, come nel “delirio di un folle”. Là, in quella che le macchine considerano follia, e cioè l’azione disinteressata, si annida la più autentica interiorità umana. Quell’interiorità che Maeve ha colto di colpo, nella scintilla di un sentimento improvviso e reale. Un sentimento immortale che squarcia il velo delle apparenze e ci fa riscoprire uomini veri. L’amore.

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